Le porcellane di Sèvres, 1752-1870
Parte terza. I falsi e i marchi apocrifi nel XVIII secolo
di Gianni Giancane
Premessa
Dopo aver visto i sistemi di marcatura usati dalla Manifattura di Sèvres (nota 1) e le particolari caratteristiche (corpo ceramico, dipinture, fondi colorati …) che un manufatto ivi prodotto dovrebbe presentare (nota 2), occupiamoci adesso del grosso problema delle falsificazioni delle porcellane di Sèvres, spesso presenti sul mercato antiquario, e delle principali accortezze che dovrebbe avere qualsiasi collezionista dinanzi ad un oggetto che si presume possa aver avuto paternità nella prestigiosa fornace parigina.
Andremo a scoprire le principali tipologie di contraffazione, da alcune più subdole ad altre più eclatanti, passando dai cosiddetti falsi parziali ad altri totali che di Sèvres non hanno niente, ma proprio niente!
Nel farlo coinvolgeremo in questa sede lo studio critico dei marchi (nelle loro forme ed espressioni), con particolare attenzione verso il riconoscimento di un marchio apocrifo (distinguendolo da uno genuino), in un contestuale sforzo sinergico nel quale l’intersecarsi dei differenti parametri conoscitivi convogli possibilmente verso una certezza risolutiva.
Nell’ottica di un interattivo supporto logistico – relativamente ai marchi di fabbricazione, di doratura, di decorazione – si consiglia far riferimento alle tabelle già pubblicate nella prima parte del presente lavoro (dettagliatamente descritte e commentate) e, in particolare, alle differenti modalità dell’apposizione dei marchi nei vari periodi: dipinti, stampati, apposti sotto o sopra vernice, ed ai colori all’uopo utilizzati (vedi ancora nota 1).
In questa sede ci occuperemo del periodo che va dalle origini della Manifattura di Sèvres sino agli ultimi anni del Settecento.
La casistica
I marchi del XVIII secolo sono rappresentati nelle diverse forme ed espressioni dalle famose “deux elles entrelecèes” (due lettere L intrecciate) o come sarebbe più corretto definire “deux L affrontés” (contrapposte), vale a dire il cosiddetto Chiffre royal (vedi ancora Parte prima citata nella nota 1, ivi Figure 1 e 2), elemento la cui semplice presenza (a prescindere da qualsiasi studio critico) facilmente e frettolosamente induce l’incauto collezionista (e talvolta non solo lui, purtroppo…) ad assegnare un manufatto alla Manifattura di Sèvres.
Sono questi i marchi maggiormente falsificati, non sempre facilissimi da individuare, e che necessitano di particolari attenzioni e studi talvolta avanzati.
Si ricorda che tale marchio veniva apposto dall’autore delle dipinture alla fine del suo operato e pertanto sarà sempre un unicum, corredato, laddove contemplato, dalle cifre dell’anno di esecuzione, dalla sua firma (generalmente un monogramma); l’oggetto poteva poi presentare il marchio del doratore (sempre dipinto) e dei marchi incisi o incussi nella pasta ceramica, attribuibili agli esecutori materiali del manufatto grezzo (tornianti, formatori, modellatori, ed altri).
In uno studio razionale e scientificamente ineccepibile che miri all’accertamento della verità, tutti questi elementi devono concordare per congruenza, modalità e tempi di esecuzione e comunque in accordo con il disciplinare della fabbrica vigente nei diversi periodi storici.
Vediamo a tal proposito alcuni oggetti che ci consentono di mettere a confronto marchi originali ed apocrifi.
Partendo dai primi, occupiamoci di una splendida Ecuelle ronde ” nouvelle forme “, avec son couvercle et son plateau à anses (ciotola, oppure tazza da puerpera, rotonda “nuovo modello”, con il suo coperchio e il suo piattino ad anse) facente parte delle collezioni del Museo del Louvre a Parigi [Figura 1].
Figura 1. Ciotola con coperchio e piattino, cm. 16 (altezza) x 12,7 (non meglio specificati), Manifattura di Sèvres 1776, pasta tenera, decorazioni tratte da dipinti di François Boucher, Parigi, Museo del Louvre (fonte https://collections.louvre.fr/ark:/53355/cl010113415).
Nel set, in impeccabile stato di conservazione, palesi espressioni baroccheggianti modulate dai fondi colorati bleu nouveau (o beau bleu) ospitano delicate riserve miniate a vivaci cromie e scandite da notevoli dorature.
Elegante e sontuoso al tempo stesso, previsto sicuramente per una grande committenza oggi non conosciuta, dimostra la particolare bravura degli artefici che ne consentirono la realizzazione – modellatori, tornianti, pittori, doratori, etc. – che la Manifattura di Sèvres accuratamente selezionava a tutela della propria immagine.
Nella superba ecuelle, in una riserva dal profilo curvilineo spessamente dorato e contornato da girali nastriformi e campanule, la finezza della stesura pittorica esalta il pacato senso autunnale della scena in un clima di armonioso respiro sui registri di vivaci quinte arboree e luminoso sfondo prospettico [Figura 1a].
Figura 1a. Dettaglio di una delle miniature presenti sulla ciotoletta; sul fondo della stessa si intravede parte del marchio.
Tutte le altre scene rappresentate, tanto sulla ciotoletta con relativo coperchio, quanto sul piattino, confermano l’elevato livello qualitativo, superbo nelle cromie e dorature, che ne fanno un oggetto prettamente “museale”.
Analizziamo ora il sistema di marcatura osservando quanto presente sul fondo della ciotola [Figura 1b].
Figura 1b. Marchi originali di fabbrica apposti al verso della ciotola in blu e oro sopra vernice. Non esistono, come è corretto che sia, marchi nella parte interna del coperchio.
Partendo dall’alto, dipinte in blu, troviamo: le “due L intrecciate” con al centro la lettera dataria “y” per il 1776 e la lettera “k” monogramma del pittore Charles-Nicolas Dodin (Versailles, 1734 – Sèvres, 1803) attivo a Sèvres sin dal 1754; al di sotto compare, dipinto in oro, il simbolo di Michel-Barnabé Chauvaux, doratore nella manifattura sin dalle origini a Vincennes (Dauterman 1986, pp. 60, 72, 147, 154).
Allo stesso modo, proseguiamo con il piattino sottocoppa [Figura 1c].
Figura 1c. I marchi presenti sul verso del piattino, così come da documentazione fotografica del Louvre.
Stesso decoratore e doratore, cambia soltanto la lettera dataria, troviamo la “z” per il 1777, a testimonianza di come manufatti di uno stesso servizio potessero essere realizzati e/o dipinti anche a distanza di un anno o più.
Come facilmente evincibile l’ecuelle, oltre a presentare tutti gli elementi stilistico-formali e composito-costruttivi (corpo ceramico, dipinture, dorature) in linea con i dettami della Manifattura di Sèvres, è corredato da marchi assolutamente congruenti tra di loro per epoca e tipologia, ritenuti pertanto originali.
Vediamo ora un secondo esemplare, un cache-pot (o un secchiello se vogliamo) proveniente dal mercato antiquario cercando di cogliere la bontà del sistema di marcatura e le sue caratteristiche [Figura 2].
Figura 2. Piccolo ma elegante cache-pot dal sobrio decoro floreale, Sèvres, porcellana dura, 1781, altezza cm.11) (Roseberys, Londra).
Si colga nel secchiello l’armonioso contrasto tra il bianco della pasta ceramica e le vivide cromie fitomorfe, il tutto aggraziato da delicate proiezioni dorate e filetti blu.
I marchi presenti nella parte sottostante la base [Figura 2a], così come presentati nel canale di vendita (unica foto disponibile), consentono inoltre una sicura disamina tecnica.
Figura 2a. L’insieme dei marchi dipinti in blu sopra vernice con il particolare della corona sovrastante le famose due lettere L intrecciate.
La corona dipinta ed apposta sopra il marchio di Sèvres testimonia la natura della pasta ceramica utilizzata, la “porcellana dura” (vedi articolo citato nella nota 1, ivi Figura 2); troviamo inoltre, internamente al logo di fabbrica, una coppia di lettere “d” per il 1781 ed il sottostante monogramma, “ch”, riferibile al decoratore Jean Étienne Chabry II, attivo a Sèvres tra il 1764 ed il 1787 (Dauterman 1986, pp. 56, 145).
Anche in questo caso, natura della porcellana, anno di dipintura (nota 3) e firma dell’artista sono del tutto congruenti tanto per contenuto quanto per modalità di apposizione. La foto parziale del fondo non consente di rilevare anche il marchio del doratore (probabilmente presente).
Nulla da eccepire, quindi: manufatto originale prodotto dalla manifattura di Sèvres nel 1781 con marchi assolutamente originali.
Casi di falsificazione
Analizziamo ora tre distinti casi di falsificazione.
Nel primo studiamo una coppia di vasi [Figura 3] proposti da una nota casa d’aste come generica “manifattura francese del XIX secolo, di gusto settecentesco e recanti, nei coperchi, marchi di Sèvres…”.
Correttamente, non viene attribuita alla nota manifattura parigina la fabbricazione dei due vasi!
Figura 3. Vaso (uno di una) coppia, porcellana, cm. 15,5 x 45,5 (altezza), manifattura francese del XIX secolo, Wannenes aprile 2024.
Per quanto ampiamente discusso nella parte seconda (cfr. articolo citato nella nota 2) il vaso ha ben poco di Sèvres: le parti metalliche e loro pseudo doratura, la scena fortemente “romantica” e di modesto livello pittorico [Figura 3a], le dorature “sorde”, risultano tutti elementi molto lontani dalle peculiari espressioni dell’opificio parigino.
Figura 3a. Dettaglio del vaso con scena galante dipinta su uno dei fronti.
Il confronto con quanto presentato nelle Figure 1 e 1a è a tal proposito impietoso …
Ma certamente il colpo di grazia viene inferto dai marchi che lo sprovveduto falsario ha apposto, bontà sua, allo scopo di far passare per Sèvres qualcosa di impossibile.
Innanzitutto, così come oggettivamente presentato dalla casa d’aste [Figura 3b], li troviamo all’interno dei coperchi, e questa è già di per sé un’assurdità: infatti, come affermato da autorevoli studiosi (ad esempio M. Brunet – T. Préaud 1978, p. 340) mai i coperchi dei vasi presentano marchi al loro interno (tantomeno all’esterno), ma non basta …
Figura 3b. All’interno del coperchio compaiono due fantomatici marchi: le due L con una lettera dataria S, per 1771, e un ancor più improbabile sigillo (cachet) de Chateau des Tuileries.
Oltre all’impossibile comparsa di qualsiasi marchio nel posto appena indicato, risulta sconcertante la contemporanea presenza di marchi temporalmente molto distanti tra di loro, uno tipicamente settecentesco (ma con grafia ed apposizioni lontane dagli originali), l’altro, un falso cachet, qui “Chateau des Tuileries”, che invece compare, unitamente a quelli delle altre residenze reali, solo nel periodo 1845-1848 e che venivano utilizzati esclusivamente sui pezzi destinati a tali magioni (vedi articolo citato nella nota 1, ivi Figura 7b).
La coppia di vasi, realizzata nel secondo Ottocento in una non meglio identificabile area geografica europea, probabilmente francese, avrebbe avuto idonea identità se solo il falsario si fosse astenuto di arricchire impropriamente ed incongruamente le opere palesando eclatanti anacronismi storici e scarsa conoscenza della materia.
Il secondo caso, più complesso, è meritevole di maggior attenzione.
Anche qui presentati sul mercato antiquario da una nota piattaforma, viene proposta una brocca con catino, belli ed apparentemente interessanti, come Manifattura di Sèvres, pasta tenera, 1757 [Figura 4].
Figura 4. Insieme di un bacile con versatoio in porcellana policroma su fondo bianco a fiori (catino) e fiori ed uccelli (brocca) (fonte Catawiki).
Il primo impatto visivo ci consegna un set piuttosto bello e sicuramente accattivante, di buon livello esecutivo, ma suggerisce anche allo specialista opportune riflessioni che, miranti alla conferma o meno della presunta paternità, obbligano verso necessari approfondimenti.
Premesso, per onestà intellettuale, che lo studio dei due pezzi è stato effettuato dallo scrivente solo “da remoto”, non risulta convincente, al primo impatto, lo scarso nitore del fondo bianco (il bianco purissimo è una tipicità della manifattura di Sèvres), tendendo quest’ultimo ad una tonalità meno “pulita”, quasi lattiginosa (nota 4); anche le dipinture non convincono: nel senso che, pur belle e ben eseguite, risultano “separate”, quasi non facessero parte dello stesso insieme, presentando una stesura pittorica differente, evincibile dalla nutrita documentazione fotografica esaminata (qui non presentata per ovvie ragioni di spazio). Unico elemento legante è la profilatura dei bordi, che parrebbe identica, ma con doratura apparentemente “sorda”.
Analizziamo, pertanto, i marchi presenti al verso degli oggetti e cerchiamo di capirci di più.
Partiamo dal bacile [Figura 4a].
Figura 4a. Su un corpo ceramico piuttosto “fresco” compaiono il marchio della manifattura, la lettera dataria ed un monogramma; manca il segno distintivo del doratore e non appare traccia di marchi incisi e/o incussi.
Innanzitutto, dall’immagine non è affatto possibile certificare la pasta “tenera” del corpo ceramico, anzi, pur legata ad una sensazione visiva, l’impressione di fondo è che si tratti, probabilmente, di pasta dura.
Occupiamoci allora del marchio [Figura 4b], lo studio del quale conduce verso interessanti scoperte.
Figura 4b. Particolare ingrandito della Figura precedente.
Nella sua conformazione e contenuti esso presenta una forte incongruenza: la lettera dataria D direbbe 1756, ma il monogramma così come rappresentato è indubbiamente riferibile a quello del pittore Apprien-Julien Hirel de Choisy, attivo presso l’opificio di Sèvres dal 1770 al 1812 (Dauterman 1986, pp. 61, 151).
Ne scaturisce l’impossibile mano del de Choisy – visto che egli stesso avrebbe dovuto al termine del suo intervento pittorico apporre tanto le due L incrociate, tanto la lettera dataria, quanto il suo stesso monogramma – ben 14 anni prima della sua assunzione a Sèvres (!).
Passiamo ora ai marchi della brocca [Figura 4c].
Figura 4c. Il fondo del versatoio con il marchio di fabbrica, la lettera dataria ed un monogramma, tutti decentrati; anche in questo caso mancanza assoluta del doratore e, per quanto visibile, di qualsiasi marchio inciso e/o incusso (tornianti, formatori, ecc.).
Il marchio in esame conferma la lettera dataria per il 1756 ma compare il monogramma di un altro decoratore, identificabile con il pittore Claude Couturier I, attivo a Sèvres dal 1762 al 1775 (Dauterman 1986, pp. 64, 144) e che pertanto non avrebbe, neanche lui, potuto dipingere la brocca sei anni prima del suo ingresso nella Manifattura di Sèvres.
Ora, che un set venga oggi reperito in maniera composita, con interventi di diversi decoratori nelle varie componenti, non è cosa poi tanto strana e/o infrequente, ma che i decoratori appongano delle firme ancor prima dell’inizio della loro attività artistica presso una qualsiasi manifattura, beh allora…
A mio parere, per tutte le considerazioni sopra esposte, ritengo entrambi i pezzi dell’insieme di buon livello esecutivo (come già premesso), fabbricati non si sa dove, con marchi apocrifi, dipinti probabilmente nella prima parte del XIX secolo, ma non a Sèvres.
Anche in questo caso, brocca e catino avrebbero avuto buona identità antiquariale (e anche commerciale), senza nessuna forzatura e incongruenti artifici.
Nel terzo caso, proveniente dal mercato antiquario, prendiamo in esame un trittico (classica guarnitura da camino o servante) composto da una coppa e due vasi con decoro policromi e montature in bronzo dorato [Figura 5], correttamente proposto come: “Une garniture de trois pièces en porcelaine dans le style de Sèvres aux montures en bronze doré, France, 19ème siècle (Insieme di tre pezzi di guarnitura in porcellana nello stile di Sèvres con montature in bronzo dorato, Francia, 19° secolo).
Figura 5. Trittico in porcellana nello stile di Sèvres: la grande coppa cm. 26,5 x 52 x 38,7 (altezza) e i vasi cm. 31 (altezza) (fonte coronariauctions).
L’insieme si presenta con buona doratura e colore di fondo bleu lapis, arricchito da discrete espressioni pittoriche, eppure non appartiene certamente alla produzione di Sèvres, tanto meno a quella settecentesca, vediamo perché.
Le foto dei marchi e della miniatura centrale, firmata, non lasciano infatti adito a dubbio alcuno.
Occupiamoci dei marchi [Figure 5a e 5b].
Figura 5a. Marchi relativi al trittico di Figura 5.
Figura 5b. Pseudo marchio di Sèvres all’interno di uno dei vasi (presente in entrambi).
Anche in questi esemplari troviamo i marchi in posizioni “impossibili”: all’interno dei coperchi, e ancora sulla parte lignea di ancoraggio della grande coppa, dove si legge perfino pâte tendre (pasta tenera), un’aggiunta che mai ci aspetteremmo di trovare su un pezzo originale).
Teoricamente la lettera dataria “H” direbbe 1760 con decorazione pittorica a opera di un artista dal monogramma G L ed ipotetico doratore D (con puntino a destra).
Ora la porcellana, per quanto visibile dalle foto, sembra pasta dura e non tenera, inoltre tutte le fonti consultate: Chavagnac – de Groiller 1906; Lechevallier 1908; Brunet 1953; Tilmans 1953; Brunet-Préaud 1978; Dauterman 1986, non riportano né un pittore con monogramma “G L”, né un doratore con firma “D.” così come ci appaiono; e ancora, la grafia (il carattere diremmo oggi) è piuttosto moderna, ben lungi dalle originali stesure settecentesche.
Come se non bastasse la scena dipinta è anche firmata da tal D.P. Lancret [Figura 5c].
Figura 5c. Il fronte della grande coppa con scena galante, scandita da un esuberante romanticismo, firmata in basso a destra D.P. Lancret.
Anche in questo caso una febbrile ricerca personalmente effettuata non ha ricondotto a nessun D.P. Lancret quale possibile pittore attivo nella Manifattura di Sèvres (nota 5).
Quanto alla firma sul fronte delle miniature occorre, inoltre e in generale, prestare accurata attenzione.
Molti falsi (tipo quello appena descritto) presenti sul mercato antiquario riportano fantomatiche firme sul fronte del decoro, spesso scene bucoliche “alla Watteau” a nome di tal Poitevin, o ancora Desprez per scene napoleoniche, niente di più falso (M. Brunet – T. Préaud 1978, p. 340).
Un decoratore del Settecento avrebbe apposto il suo monogramma vicino alle due L intrecciate al verso del manufatto e non sulla vignetta!
Solo con l’avanzare del XIX secolo diversi pittori iniziarono a siglare la scena dipinta con la loro firma in un angolo della stessa, quasi sempre per esteso, così come avveniva più comunemente per le tele (Brunet, 1953, p. 11).
Resta il fatto che tali artisti erano repertoriati pubblicamente negli archivi della manifattura, oggi disponibili sui numerosi testi specializzati e pertanto facilmente verificabili.
Alla fine della nostra disamina l’insieme si conferma come un trittico con un ricco cocktail di incongruenze e possa essere correttamente licenziato quale manufatto ottocentesco (direi tardo ottocentesco) “nello stile di Sèvres”, così come giustamente e professionalmente proposto dal venditore.
Ma è sempre così? Purtroppo, no.
Venditori poco preparati da un lato e collezionisti poco accorti dall’altro spesso possono infatti condurre ad affrettate considerazioni e conclusioni di incauti acquisti.
La casistica dei falsi Sèvres settecenteschi non si esaurisce certamente qui, molteplici sono le altre possibili contraffazioni, una tra tutte quella di utilizzare un oggetto originale sfornato nel XVIII secolo dalla manifattura (o realizzato presso altri opifici) lasciato bianco o al massimo con un semplice filetto dorato (come avverrà in particolare per numerosi pezzi della prima parte del XIX secolo) e arricchito altrove in tempi più o meno coevi; oppure ancora ridipinto anche fortemente in epoca molto più tarda, spesso con “sovraccarichi romantici”, ridondanti decori e dorature che appesantendo l’oggetto ne denunciano inequivocabilmente l’alterazione tardiva [Figura 6, nota 6].
Figura 6. Vassoio in porcellana, cm. 31 x 22, passato in aste Rouillac a Parigi presentato come “Jatte polylobée en porcelaine … Dans le goût de Sèvres” (nello stile di Sèvres) con porcellana originale del XVIII secolo a fondo bleu celeste, ma decoro successivo (fonte Rouillac).
Assolutamente corretta, a mio parere, la descrizione del vassoio proposta dalla casa d’aste.
Si colga l’eccessiva decorazione, quasi a piena campitura, tipica del XIX secolo con ridondanti intrecci di ghirlande floreali ed elementi fito e zoomorfi, mazzi di fiori nella riserva centrale e nelle due laterali, in una sorta di accanimento iconografico senza soluzione di continuità.
L’oggetto, originariamente bianco, è stato in seguito dipinto nel gusto del famoso servizio per Luigi XV (1749 pezzi realizzati tra il 1753 ed il 1755) utilizzando come colore di fondo il famoso bleu céleste scoperto per la prima volta da Jean Hellot nel 1753 (vedi il paragrafo relativo ai fondi colorati nell’articolo citato nella nota 2).
A sigillo della presunta autenticità dello stesso, il falsario ha ben pensato di apporvi un marchio che riconducesse facilmente alla manifattura di Sèvres [Figura 6a].
Figura 6a. Marchio apocrifo sul retro del vassoio di Figura 6.
Anche in questo oggetto, nessuna traccia visibile di segni incisi e/o incussi, elemento tutt’altro che confortante
Le due lettere L contrapposte, con coppie di puntini nei punti di intersezione, contengono all’interno una coppia di lettere datarie non meglio distinte ma probabilmente “e e” per il 1782 (a pensarla come una lettera “u” saremmo nel 1773); sottostante un improbabile monogramma “a m”, dalla chiarissima grafia moderna, comunque inesistente nei differenti repertori bibliografici consultati (Lechevallier 1908, Tilmans 1953, Brunet, Brunet – Préaud 1978, Dauterman 1986).
Il falsario ha voluto pertanto far passare come prodotto e dipinto a Sèvres nel XVIII secolo un manufatto che pur fabbricato, dove non è dato sapere, in tempi più o meno coevi (tra il terzo e l’ultimo quarto del Settecento) è stato da egli dipinto molti decenni dopo.
E potremmo continuare con numerosissimi altri casi, ma occorrerebbero centinaia e centinaia di pagine per rappresentare comunque soltanto un piccolo insieme dei falsi Sèvres del XVIII secolo.
A conclusione del presente contributo vogliamo, tuttavia, soffermarci su una particolare vicenda che vede protagonista un’importante fabbrica parigina di porcellane del XIX secolo.
Il caso Samson
La Maison Samson, fabbrica di porcellane, terrecotte, terraglie, bronzi, smalti, etc. fu fondata a Parigi nel 1845 da Edmé Samson (Parigi, 1810 – Parigi 1891) al n° 38 di rue de Saintonge per trasferirsi pochi anni dopo al n° 25 di rue de Vendôme.
Per diversi anni Edmé si occupò esclusivamente della decorazione di pezzi bianchi in porcellana sfornati da altre manifatture, ma tra il 1879 ed il 1884, parallelamente alla fortissima richiesta di opere antiche (o loro copie) da parte dei mercati – richiesta che non poteva essere totalmente soddisfatta da opere originali – avviò una produzione “Samson” in un edificio appositamente costruito a Montreuil-sous-Bois (immediatamente ad est della grande metropoli).
Qui venivano realizzate porcellane, terrecotte, terraglie e smalti, a imitazione dell’antico, sotto l’importante (e di fatto determinante) spinta innovativo-imprenditoriale apportata dal figlio Émile (1837-1913), entrato già in società con il padre sin dal 1863 circa.
L’atelier originario paterno, che in quegli anni si trovava al n° 7 di rue Béranger, anticamente rue de Vendôme, restò funzionale al laboratorio di pittura (dei manufatti fabbricati a Montreuil) e a quello dei bronzi, oltre che punto vendita dell’intera produzione.
Il livello molto elevato dei prodotti e la loro ampia disponibilità ne tracciarono un eclatante successo commerciale.
L’Esposizione Universale di Parigi nel 1889 vide lo stand dei Samson come un emporio generale della “riproduzione” con tantissime opere palesemente evocanti i manufatti di: Meissen, Sèvres, Inghilterra, Cina, Giappone, solo per citare le aree più importanti.
La corretta dicitura degli oggetti nella presentazione dei propri manufatti – sempre presente nelle carte intestate, sia pubblicitarie che di vendita, nelle diverse forme ed espressioni (“imitations”, “reconstitution d’œvres anciènnes”, “dans le genre de…”), testimoniava la trasparenza della manifattura che escludeva qualsiasi ipotesi fraudolenta.
Oltretutto, dal 1873 sino al 1956, i Samson, tra eredi e discendenti, hanno depositato ufficialmente, presso i competenti organi, i loro marchi di fabbrica. Essi imitavano sì fortemente quelli originali delle manifatture copiate, ma a un occhio attento risultano chiaramente differenti (Slitine 2002, pp. 16,17). In diversi oggetti, inoltre, la dicitura Samson per esteso, posta accanto ai sopracitati marchi, toglierebbe già qualsiasi dubbio (nota 7).
Fra le varie manifatture copiate e/o imitate non poteva mancare certamente, come predetto, quella di Sèvres, a proposito della quale, nel 1927, fu depositato ufficialmente un marchio che ne imitava il famoso logo, le due lettere L contrapposte, le chiffre royal di Luigi XV [Figura 7], per quanto opere rifacentisi al più celebre opificio erano state già prodotte nei decenni precedenti ma con marchi differenti, chiaramente documentati come propri (Slitine 2002, p. 87).
Figura 7. Il marchio adottato dai Samson per imitare i manufatti di Sèvres; quattro S intrecciate, con due delle coppie a doppia intersezione (frecce blu, intervento grafico dell’autore).
Come possiamo notare tale marchio richiama quello di Sèvres, ma se ne discosta per la differente conformazione scrittografica che lo caratterizza: troviamo infatti un insieme di quattro lettere S intersecanti e non due L contrapposte, il tutto ben percepibile nei vertici opposti sull’asse orizzontale con l’evidente interruzione di continuità dei riccioli terminali della lettera S, ognuno con opposta vergenza (frecce blu della Figura 7).
Il confronto con quanto documentato nelle Figure 1b, 1c, 2a consente al lettore di cogliere facilmente la differenza tra il marchio di Samson e quelli autentici di Sèvres.
Per scoprire le caratteristiche di un manufatto Samson nello stile di Sèvres e con marchio similare vediamo uno splendido vaso fabbricato agli inizi degli anni Trenta del XX secolo [Figura 8].
Figura 8. Manifattura Samson, uno di una coppia di vasi a urna a fondo rosa con coperchio, altezza cm. 43 nello stile di Sèvres (a destra); il relativo marchio (a sinistra), collezione privata (Slitine, 2002, p. 88).
Il vaso, si presenta con decoro frontale scandito da quattro lettere S intrecciate, una sorta di rafforzamento del marchio di fabbrica Samson, in una riserva polilobata, con ghirlande floreali e profili fitomorfi dorati su campo bianco. Alloggiato su una base in bronzo si rifà espressamente alle produzioni tipicamente settecentesche della manifattura di Sèvres.
Il dettaglio del marchio mostra, dipinte in blu, le quattro S intrecciate e una coppia di “E” all’interno che, interpretate come ipotetico rimando alle lettere datarie, porterebbero al 1782, ma che l’autrice Florence Slitine ritiene di far convergere verso le iniziali di Edmé ed Émile (ormai scomparsi da tempo), in onore degli artefici dell’importante opificio (Slitine 2002, p. 88).
La coppia di vasi venne fabbricata probabilmente nel 1932, sotto la direzione (dal 1928) dell’ultimo dei Samson, Pierre (1892-1976), e licenziata agli inizi dell’anno successivo come evincibile dagli atti di vendita [Figura 9].
Figura 9. Fattura che testimonia la vendita della coppia di vasi (e anche di una “carrozza” nello stile di Meissen) (Slitine 2002, p. 88).
Venduta a tal Monsieur Rinqubberck il 31 gennaio del 1933 e chiaramente descritta come: “Coppia di vasi a fondo rosa di gusto Luigi XV, Riproduzione Vecchio Sèvres, montatura in bronzo”, conferma – nella loro politica produttiva e commerciale – la condotta generalmente corretta dei Samson che pertanto non possono assolutamente essere ritenuti dei falsari, semmai imitatori, così come giustamente interpretato dai maggiori studiosi del settore, almeno fino a quando su un pezzo che si presume possa essere stato da loro prodotto, troveremo tutti i dati in regola e correttamente decifrabili.
Perché è anche accaduto che, in alcune circostanze, non abbiano marcato affatto i loro pezzi, o su espressa richiesta di un commerciante o del collezionista-committente dell’epoca, affinché questi potesse ostentare qualcosa apparentemente più importante e che andasse indietro nel tempo, casi poco frequenti ma riconosciuti dallo stesso Pierre Samson (Slitine 2002, pp. 15, 17).
Al momento ci fermiamo qui.
Nell’ultima parte del presente lavoro vedremo quali scenari si possano presentare in tema di falsi più o meno eclatanti dal 1793 alla fine del periodo oggetto di studio, il 1870 circa.
NOTE
[1] Si rimanda all’articolo Le porcellane di Sèvres, 1752-1870. Parte prima. I marchi e i sistemi di marcatura (marzo 2024) [Leggi].
[2] Si rimanda all’articolo Le porcellane di Sèvres, 1752-1870. Parte seconda. Peculiarità dei manufatti vascolari e i fondi colorati (giugno 2024) [Leggi].
[3] Si ricorda che la porcellana dura comparve a Sèvres nel 1769, ma fu soltanto dal 1772 che fu avviata una più significativa produzione di oggetti realizzati con tale tipo di pasta ceramica; ricordiamo inoltre come l’anno di dipintura di un manufatto, per estensione, diventi impropriamente anno di fabbricazione. Per entrambi tali aspetti vedasi l’articolo citato nella nota 1.
[4] Si confronti con la Figura 2, sopra, e con la Figura 1 presentata nell’articolo citato nella nota 2.
[5]
Niente a che vedere, naturalmente, con il noto pittore Nicolas Lancret (Parigi, 22.01.1690 – Parigi, 14.09.1743) che pur ha caratterizzato il suo repertorio, di elevato livello qualitativo, con numerose scene galanti e di costume che esaltavano in chiave arcadica le relazioni sociali dell’epoca.
Potrebbe, il nostro falsario, essersi basato su una delle espressioni pittoriche tipiche di Nicolas Lancret siglando erroneamente la sua vignetta.
[6]
Su questi oggetti, il falsario di turno apponeva uno o più marchi apocrifi di Sèvres spesso ignorando le basilari regole e i vari disciplinari in auge nell’opificio parigino nei differenti periodi storici, aiutando non poco lo studioso di oggi nel riconoscimento degli stessi.
Le decorazioni tardive hanno interessato, in particolare, tantissimi pezzi bianchi usciti dalla manifattura a più riprese – anche nel Settecento, ma soprattutto nell’Ottocento – a seguito di eventi vari che saranno opportunamente trattati nel prossimo lavoro.
[7] Bisogna prestare attenzione agli interventi postumi che falsari senza scrupoli hanno attuato su tali oggetti raschiando la dicitura, o coprendola abilmente, lasciando volutamente soltanto quei marchi particolari che potrebbero trarre in inganno un “occhio” superficiale o non molto allenato.
Bibliografia citata
-Chavagnac – de Groiller, Histoire Des Manufactures Françaises de Porcelaine, Picard Editeur, Paris 1906.
-Georges Lechevallier – Chevignard, La Manufacture de Porcelaine de Sèvres. Organisation actuelle et fabrication, Musée céramique, Répertoire de marques et monogrammes d’artistes, H. Laurens, Editeur, Parigi 1908.
-Èmile Tilmans, Porcelaines de France, Èdition des deux Mondes, Paris, 1953.
-Marcelle Brunet, Les marques de Sèvres, G. Le Prat Editeur, Parigi 1953.
-Marcelle Brunet-Tamara Préaud, Sèvres. Des Origines à nos Jours, Office du Livre, Fribourg 1978.
-Carl Christian Dauterman, Sèvres Porcelain Makers and Marks of the Eighteenth century, The Metropolitan Museum of Art, New York 1986.
-Florence Slitine, Samson, génie de l’imitation, Ed. Charles Massin, Paris, 2002
-Gianni Giancane, Le porcellane di Sèvres, 1752-1870. Parte prima. I marchi e i sistemi di marcatura, Antiquanuovaserie marzo 2024.
-Gianni Giancane, Le porcellane di Sèvres, 1752-1870. Parte seconda. Peculiarità dei manufatti vascolari e i fondi colorati, Antiquanuovaserie giugno 2024.
Gennaio 2025
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