Placchetta in bronzo con allegoria della bellezza

di Attilio Troncavini

Esaminiamo una placchetta piuttosto rara, per lo più classificata come Allegoria senza specificare di cosa, mostrando l’immagine dell’esemplare che appartiene alla collezione dei Museo Civici d Brescia. Si vede una donna nuda appoggiata a un’anfora, a sinistra un teschio collocato su un libro, a destra un braciere; in esergo la scritta NOMEOLVIDO/ELRESEVID/O [Figura 1].

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Figura 1. Allegoria, bronzo cm. 5,3 x 4,3, Italia (?) XVI secolo, Brescia, Musei Civici.

La prima parte dell’articolo – pedante, ma necessaria – è incentrata sulla cosiddetta “fortuna critica” della placchetta, ossia su come sia stata variamente classificata nel corso del tempo. La seconda parte è dedicata a una sua (non facile) interpretazione e a una nuova ipotesi circa la sua provenienza.

La placchetta secondo le varie fonti
La prima fonte che ne parla è, presumibilmente, il catalogo dei bronzi europei nel South Kensington Museum, redatto da Charles Drury Edward Fortnum nel 1876, a proposito dell’esemplare che oggi appartiene alla collezione del Victoria and Albert Museum di Londra (nota 1); la placchetta, contrassegnata dal numero 6751.’60, viene identificata come manufatto italiano del XVI secolo nei modi di Valerio Vicentino (Valerio Belli) e forse fusione da un cristallo inciso (nota 2).
Nel 1889, Prospero Rizzini attribuisce proprio l’esemplare bresciano a Giovanni Bernardi, (Rizzini 1889 p. 29 n. 65), come riferisce Francesco Rossi nel 1974 (vedi oltre), giudicando l’attribuzione “senza fondamento”.
Riprendendo il Fortnum, Eric Maclagan ritiene che la placchetta – identificata al numero 6751-1860 – sia riconducibile all’ambiente di Valerio Belli (Maclagan 1924 p. 74, tavola XIV, fotografia 53573) (nota 3).
Nel 1933, in una pubblicazione dedicata ai bronzi artistici del museo di Palazzo Schifanoia a Ferrara, Gualtiero Medri conferma l’attribuzione a Giovanni Bernardi [erroneamente riportato Valerio Belli nella prima edizione di questo articolo]  dell’esemplare – il terzo conosciuto – conservato presso le Civiche Collezioni a Ferrara (Medri 1933, p. 44 n. 41). Ranieri Varese, di cui diremo a breve, commenta questa attribuzione ritenendola “senza molta giustificazione”.
A cinquant’anni dal catalogo di Maclagan, il già citato Francesco Rossi scrive che la figura sembra orientare verso l’ambiente tosco-romano, “in particolare verso la scuola di Giambologna”, mentre sono riferibili al gusto del Belli il tripode acceso e l’anfora (Rossi 1974, p. 103 n. 52, figura 65), concludendo che non è possibile andare oltre un “generico riferimento alla scuola fiorentina della seconda metà del ‘500”.
Rossi – che stranamente ignora la placchetta ferrarese citando come “solo altro esemplare” quello del Victoria anda Albert – è il primo a porsi il problema del “misterioso” soggetto, da tutti finora definito per lo più come Allegoria, e della scritta NOMEOLVIDO/ELRESEVID/O, priva di senso seppur nitidissima.
L’anno successivo esce il volume sulle placchette di Musei Civici di Ferrara del sopra citato Ranieri Varese che riassume la bibliografia relativa alla placchetta (nota 4) informandoci che l’esemplare ferrarese (identificato con il numero C.G.F. 8765) è in piombo; lo definisce Figura allegorica, considerandolo genericamente il lavoro di un artista italiano operoso in ambito romano durante il XVI secolo e, quanto alla scritta, ne conferma l’incomprensibilità anche se (con qualche licenza) la si inverte come segue: O DIVE SERIE O DIVE EMON (Varese 1975, p. 47 n. 32).
Per avere una plausibile interpretazione della scritta bisogna attendere la monografia di Valentino Donati dedicata a Giovanni Bernardi, pubblicata nel 1989. Donati pubblica la placchetta dei Musei di Brescia di cui alla Figura 1, definendola sempre Allegoria e collocandola tra le opere attribuite a Giovanni Bernardi (nota 5). Egli ritiene che la scritta corrisponda a “No me olvido el resevido” in lingua spagnola e che il suo significato sia: NON DIMENTICO CIO’ CHE HO RICEVUTO (Donati 1989 p. 214, tav. XC p. 215). In realtà, la corrispondente frase in spagnolo dovrebbe suonare, almeno oggi, come “No me olvido el recibido”, ma l’interpretazione fornita da Donati ci consente di progredire per quanto riguarda una migliore definizione del soggetto raffigurato e una più attendibile indicazione di provenienza.

Il soggetto della placchetta
Che si tratti di un’allegoria è abbastanza evidente, ma di che cosa?
Come premesso nel titolo, penso che possa trattarsi di un’allegoria della bellezza. Una donna si mostra nuda in tutta la sua giovanile bellezza incrociando le braccia; l’avanbraccio e la mano destro si ripiegano verso il basso, mentre quello sinistro si protende e la mano si apre in gesto che resta incomprensibile, forse di offerta (impossibile capire anche se nella mano regga qualcosa). La giovane si appoggia a una fontana che potrebbe simboleggiare la fontana dell’eterna giovinezza, laddove, tuttavia, il concetto di giovinezza eterna sembra contrastare con la presenza del teschio, tipico esempio di “memento mori”, a ricordare che la giovinezza – quindi la bellezza – sono passeggeri; il libro su cui è collocato il teschio viene spesso considerato come uno dei simboli dei vani piaceri dell’uomo. È un riferimento al tema della vanitas che costituisce un richiamo alla caducità della vita. Per quanto riguarda il braciere che arde sulla destra, esso potrebbe richiamare il braciere alchimico, alludendo al processo di trasformazione che, ineluttabile, porta un corpo giovane a invecchiare, ma anche, per contro, alla ricerca dell’elisir di lunga vita che, insieme a quella della pietra filosofale, rappresentava l’obiettivo principale degli alchimisti (nota 6). Questa interpretazione darebbe un senso anche alla frase “non dimentico quanto ho ricevuto”, ossia sono consapevole della bellezza che mi è stata donata (e della sua temporaneità).
A titolo puramente esemplificativo, mostriamo una bella incisione – coeva alla placchetta – interpretata come un’Allegoria della bellezza e attribuita al fiammingo Hieronymus Cock (1510-1570) [Figura 2, nota 7].

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Figura 2. Hieronymus Cock, Allegoria della Bellezza, incisione cm. 25,7 x 20, 4, firmata in basso a destra: Ieronimus W. in. et fe., editore Hans Lienfrinck I, Anversa.

La donna nuda – che ricorda quella della placchetta – regge un ramo di palma simbolo di bellezza (nota 8), tiene uno scudo e viene incoronata con un elmo cinto d’alloro (nota 9), ma a ricordarle che la sua condizione è effimera compaiono il Tempo, una vecchia e uno scheletro (nota 10).

Epoca e provenienza
Se sull’epoca – il XVI secolo, possibilmente la seconda metà – non è lecito sollevare obiezioni, qualche dubbio viene circa le attribuzioni all’ambito italiano o, più specificatamente, a quello toscano o romano.
Senza voler giungere affrettatamente a delle conclusioni, la scritta in spagnolo, la diffusione in ambito fiammingo del tema della “vanitas” (nota 11) sembra condurre proprio verso un ambito ispano-fiammingo che sta prendendo corpo, grazie alla più recente letteratura (nota 12).
Giustamente Francesco Rossi, nel 1974, evocava la figura del Giambologna, Jean de Boulogne (1529-1608), scultore fiammingo anche se a lungo attivo in Italia, a Firenze, a proposito della figura femminile della placchetta, così come notiamo la stessa “rotondità” nella Bellezza incisa da Hieronymus Cock, altro fiammingo con al suo attivo solo un breve soggiorno romano (nota 13).

NOTE

[1] Nel 1852, dopo la Grande Esposizione (Great Exibition) di Londra del 1851, venne creato il Museo delle Arti Industriali (Museum of Manufactures), divenuto nel 1857 South Kensington Museum che copriva sia il settore dell’arte, sia quello della scienza. Le due sezioni vennero formalmente separate nel 1909: quella scientifica costituì il Museo della Scienza (Science Museum) e le collezioni d’arte confluirono nel Victoria and Albert Museum, così denominato nel 1899 all’inizio della sua costruzione.
Il sito del Victoria and Albert Museum cita un’altra fonte, antecedente il catalogo Fortnum che riportiamo per completezza: Inventory of Art Objects Acquired in the Year 1860 in Inventory of the Objects in the Art Division of the Museum at South Kensington, Arranged According to the Dates of their Acquisition, vol I, George E. Eyre and William Spottiswoode for H.M.S.O., Londra 1868, p. 28.

[2] “Somewhat in the manner of Valeri Vicentino, and perhaps cast from an engraved Crystal” (Fortnum 1876, p. 73).

[3] Nel sito del Victoria and Albert Museum, sezione Placchette, quando non viene riprodotta l’immagine della singola placchetta viene mostrata la pagina di una sorta di registro – di epoca non precisata – in cui compare la tavola del catalogo di Maclagan con una sottostante etichetta dattiloscritta. Si veda la pagina relativa alla nostra placchetta, con la fotografia numero 53573 (corrispondente, come sopra già indicato, alla tavola XIV) e l’etichetta dove la didascalia specifica così la descrive: Allegoria, placchetta in bronzo, Italia settentrionale, XVI secolo (Allegory. Plaquette in bronze. Northern Italy, 16th century) [Figura A].

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Figura A. Immagine tratta dal sito del Victoria and Albert Museum di Londra, corrispondente alla placchetta in esame.

[4] Varese cita in bibliografia anche “Ragghianti 1948 n. 135” che corrisponde a: Ludovico Ragghianti, Schede inventariali, Sovrintendenza alle Gallerie, Bologna 1948 che non abbiamo consultato.

[5] Nel 2004, lo stesso Donati, autore insieme a Rosanna Casadio di una monografia sul Valerio Belli, inserisce la placchetta in esame tra le Attribuzioni discordanti. È interessante rilevare come tra gli esemplari noti, accanto ai tre finora considerati, venga segnalato una placchetta della serie (senza specificarne il materiale) presso il Fitzwilliam Museum di Cambridge, attribuita a Valerio Belli e intitolata Un’allegoria del ricordo (inv. C.M. 154-1973) (Donati-Casadio 2005 p. 192 n. 1). Una ricerca effettuata sul sito del Fitzwilliam Museum non ha prodotto risultati.

[6] Un braciere simile si intravede dietro la figura geometrica solida nella celeberrima incisione di Albrecht Dürer intitolata Melanconia [Leggi].

[7] Si rimanda alla scheda dell’esemplare segnalato presso un Ente religioso a Montecatini Terme (Pt) [Vedi].

[8] “La tua statura è slanciata come una palma e i tuoi seni sembrano grappoli” (Cantico dei Cantici 7).

[9] Sulla figura di Venere, simbolo di bellezza per eccellenza, in versione “armata”, si rimanda al breve saggio dell’archeologo Guido Calza pubblicato in Ausonia, anno IX, 1914, pp. 172-184 [Leggi].

[10] Non è detto che questa interpretazione come Allegoria della Bellezza abbia colto nel segno, ma non si comprende quella di Allegoria del Ricordo, assegnata all’esemplare segnalato a Cambridge (vedi nota 5), se non nel senso di “memento” ossia di ricordo/consapevolezza della propria precaria condizione umana.

[11] Si rimanda, in proposito, alla corrispondente voce sul vocabolario on line Treccani [Leggi].

[12] Ne parla per la prima volta Francesco Rossi nel catalogo della collezione Mario Scaglia a proposito di una celebre serie di placchette con figure di santi e scene del Nuovo Testamento (Rossi 2011, p. 437-438 e ss.).

[13] In subordine, ma la cosa di convince poco, si potrebbe pensare ad ambiti territoriali italiani che, nell’epoca, fossero soggetti alla dominazione spagnola come Milano, escludendo l’Italia meridionale dove non si hanno notizie circa la produzione di placchette.

Bibliografia citata
-Charles Drury Edward Fortnum, A Descriptive Catalogue of the bonze of European  Origin in the South Kensington Museum, George E. Eyre and William Spottiswoode, Londra 1876.
-Prospero Rizzini, Illustrazione dei Musei Civici di Brescia. Placchette e Bassorilievi, Brescia 1889.
-Eric Maclagan, Catalogue of Italian Plaquettes,Victoria and Albert Museum, Londra 1924.
-Gualtiero Medri, I bronzi artistici del Civico Museo di Schifanoia, S.A. Industrie Grafiche, Ferrara 1933.
-Varese Ranieri, Placchette e bronzi nelle Civiche Collezioni (Ferrara), Centro Di, Firenze 1975.
-Valentino Donati, Pietre dure e medaglie del Rinascimento. Giovanni da Castel Bolognese, Belriguardo, Ferrara 1989.
-Valentino Donati-Rosanna Casadio, Bronzi e pietre dure nelle incisioni di Valerio Belli vicentino, Belriguardo, Ferrara 2004.
-Francesco Rossi, La collezione Mario Scaglia. Placchette, 3 volumi, Lubrina, Bergamo 2011.

Dicembre 2024

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Post-scriptum
Subito dopo la pubblicazione dell’articolo, abbiamo ricevuto da Mike Riddick (www.renbronze.com ) un commento che pubblichiamo in forma pressoché integrale, inserendo una figura nel testo (original english version below).

Ho apprezzato molto il tuo articolo sulla placchetta. Probabilmente non sarebbe mai stato portato alla mia attenzione se non l’avessi condiviso nella tua newsletter. È un’opera d’arte davvero impressionante e l’iscrizione è molto enigmatica.
La mia prima impressione è che, probabilmente, essa riproduceva un cristallo di rocca scolpito dai fratelli Saracchi o da qualcuno della loro cerchia. Tuttavia, il loro stile non era abbastanza fluido e aggraziato da aver creato questo. La mia seconda ipotesi è che potrebbe trattarsi di Annibale Fontana, che era effettivamente sposato con una sorella dei fratelli Saracchi. Lo stile di Fontana è molto più aggraziato e lo vedo come un possibile autore di questa composizione, sebbene la figura non sia abbastanza stretta o slanciata. Fontana e i fratelli Saracchi condividevano spesso progetti e ispirazione tra loro. Inoltre, la rarità di questo calco indicherebbe anche questa possibilità, poiché le riproduzioni dei cristalli di Fontana (e quelle rare riprodotte da opere dei fratelli Saracchi) sono scarsamente note.
Sono quasi certo che il cristallo originale debba essere uscito da Milano… e questo potrebbe spiegare il collegamento spagnolo come hai notato nel tuo articolo. Possiamo pensare ai mecenati di Fontana dalla Spagna: Francesco Fernardo d’Avalos o Catalina Micaela (la figlia del re Filippo I).
Un’ulteriore indicazione di origine milanese è la presenza su questa rilegatura (qui si pensa rappresenti una figura di Pandora), eseguita da un legatore identificato come “atelier aus compas” [bottega delle bussole] … presumibilmente un francese attivo a Milano dal 1515 al 1520 [Figura A].

legatura-lionese-in-pelle-di-vitello-bruno-francesco-massaria-in-nonum-plinii-de-naturali-historia-hieronymus-froben-nicolaus-episcopius-Basilea-1537-biblioteca-méjanes

Figura A. Legatura lionese in pelle di vitello bruno per il volume Francesco Massaria, In nonum Plinii de naturali historia librum castigationes et annotationes …, Hieronymus Froben e Nicolaus Episcopius, Basilea 1537, Basilea, Biblioteca Méjanes. Si rimanda alla scheda completa pubblicata su citedulivre-aix.com [Leggi].

Naturalmente, la sua comparsa su questa legatura distrugge la mia ipotesi di cui sopra e collocherebbe l’origine della placchetta a una data molto precedente a quella di Fontana o dei Saracchi durante gli anni 1560-1570. Per questo motivo, non so chi potrebbe averla realizzata, ma forse l’idea originale che fosse qualcuno nella cerchia di Bernardi è ancora un suggerimento ragionevole. Penso ancora che debba avere un’origine milanese, ma chi potrebbe essere è ancora un mistero.
Mike Riddick

Original english version
I really enjoyed your article about the plaquette. It probably would have never been brought to my attention if you hadn’t shared it in your newsletter.  It is a really impressive artwork and the inscription is very enigmatic.
My first instinct is that it probably reproduced a carved rock crystal by the Saracchi brothers or someone close to their circle.  However, their style was not quite fluid and graceful enough to have made this. My second guess is possibly Annibale Fontana who was indeed married to a sister of the Saracchi brothers.  Fontana’s manner is much more graceful and I see him as a possible author of this composition, although the figure is not narrow or lanky enough.  Fontana and the Sarrachi brothers frequently shared designs and inspiration among themselves. In addition, the rarity of this cast would also point to this possibility since reproductions of Fontana’s crystals (and those rare few reproduced after the Saracchi brothers) are scarcely known.
I am almost certain the original crystal must have come out of Milan … and this might explain the Spanish connection as you noted in your paper.  We can think of Fontana’s patrons from Spain: Francesco Fernardo d’Avalos or Catalina Micaela (the daughter of King Philip I).
Further suggesting a Milanese origin is its appearance on this bookbinding (here thought to be a figure of Pandora), executed by a binder identified as the “compas workshop”… presumably a Frenchman active in Milan from 1515-20:
http://www.citedulivre-aix.com/Typo3/fileadmin/documents/Expositions/marquis/54.htm
Of course, its appearance on this binding destroys my hypothesis above and would place the plaquette’s origin at a much earlier date than Fontana or the Sarrachi during the 1560s-70s.
For that reason, I don’t know who could have made it but perhaps the original idea that it was someone in Bernardi’s circle is still a reasonable suggestion.  I still think it must have an origin in Milan, but who it could be is still a mystery.
Mike
renbronze@gmail.com