Brevi note sui ceramisti Giustiniani
di Gianni Giancane
Nella famiglia dei ceramisti Giustiniani, già attivi a Napoli nel tardo XVII secolo come riggiolari (nota 1), spicca la figura di uno dei suoi più importanti rappresentanti: Nicola Giustiniani.
Nato a Cerreto Sannita nel 1736, si trasferisce a Napoli nel 1752 e già qualche anno dopo rappresenta una figura di tutto rilievo nel panorama della figulina campana. Grazie all’estro e alla creatività palesati nelle sue opere (in particolare riggiole) si ritrova presto il soprannome di “Nicola Pensiere”, o “Pensiero” o ancora “Bel pensiero”. Nel primo periodo realizza maioliche di gran pregio, dall’inconfondibile stile cerretese, oggi purtroppo poco documentate, dove spicca una superba qualità pittorica, e di cui si hanno testimonianze in due “mattonelle” firmate e datate 1758, oggi al Landesmuseum Joanneum di Graz. Negli anni successivi realizza altri importanti pavimenti destinati a palazzi nobiliari di Palermo (1761), a conferma della notorietà che ormai può vantare anche “al di là del faro”.
Si pensa che verso la fine del terzo quarto del settecento sia ormai pienamente attiva a Napoli la “Figulina Giustiniani” in Via Marinella [Figura 1].
Figura 1. Immagine del palazzo di via Marina a Napoli, sede della Figulina Giustiniani (Donatone 1991, p. 70), scattata prima che l’edificio fosse abbattuto nel 1956 (eadem, p. 80; Donatone, La Repubblica 14.2.2014).
La pregevole qualità dei suoi manufatti gli vale la direzione di una manifattura di maioliche in area marchigiana (presso il Convento di S. Angelo in Texello ad Ascoli Piceno), dove si trasferisce insieme al figlio Michele tra il 1789 e il 1790, quando difficoltà tecniche a lui non imputabili (fonti dell’epoca citano difficoltà di approvvigionamento idrico), lo inducono al rientro a Napoli.
Pur dovendo convivere artisticamente e tecnicamente con la produzione della Real Fabbrica Ferdinandea, per quanto quest’ultima utilizzi soprattutto, ma non esclusivamente, la più nobile porcellana (nota 2), tra l’ultimo decennio del XVIII secolo ed il primo del successivo, riesce comunque a sperimentare nuove tecniche, quali ad esempio quella dei “forni a muffola del Patt ad alto calore” (nota 3) per la realizzazione di terraglie dalla pasta fine, comunque robuste ed eleganti.
A partire dagli ultimi anni del Settecento la produzione, comunque diversificata e suddivisa tra forme vascolari, plastiche e riggiole in maiolica [Figura 2], rispetta le tendenze stilistiche del periodo, fortemente rappresentate nei decori vascolari da temi neoclassici, spesso correlati a quanto emergente dai famosi scavi archeologici.
Figura 2. Due riggiole raffiguranti rispettivamente Satiro auleta e Figura muliebre” e facenti parte del pavimento (poi scomposto) nella Cappella di San Giacomo della Marca, Chiesa di S. Maria La Nova a Napoli (tra la fine XVIII secolo e gli inizi del successivo). Foto già pubblicate in Rotili 1991, tav. II, pag. 29 e in Mosca 1963, p. 1291).
Tuttavia, accanto ad una produzione caratterizzata da espressioni pittoriche di elevato livello qualitativo, diciamo pure “di lusso”, non mancano prodotti dai decori più sobri, talvolta ridotti all’essenziale, o lasciati volutamente senza decorazione alcuna, destinati all’uso comune del vissuto quotidiano.
Relativamente alla produzione plastica va sottolineato un aspetto piuttosto importante.
In letteratura compaiono molte statuette e piccole sculture in terracotta, maiolica, prive di marca, attribuite fino al recente passato, e con decisa certezza, alla Real Fabbrica Ferdinandea, per apparenti analogie con opere certificate del suddetto opificio. L’autorevole pensiero del Donatone muove da diverso tempo in altra direzione: secondo lo studioso bisognerebbe “rivedere tale produzione” perché particolari “sintomi”, in corso di studio, potrebbero ascriverne a Nicola Giustiniani la paternità (Donatone 1991, p. 75).
Secondo Luigi Mosca (Mosca 1963, p.150) , tesi condivisa e confermata successivamente da Mario Rotili (Rotili 1981, p. 20), Nicola ha tre figli Geremia, Gaetano ed Antonio, dal primo dei quali nascono i prosecutori materiali della manifattura, tra cui Biagio Giustiniani.
Ancora una volta è il Donatone (Donatone 1991, pp. 76 e 88) a rivedere e fornire un quadro ben diverso, certificato da inconfutabili fonti d’archivio da egli reperite. I figli di Nicola, padre prolifico che scompare nel 1815, sono almeno otto e tra questi risulta Biagio (figlio quindi e non nipote come sostenuto dal Mosca), destinato a portare avanti la manifattura con eccellenti risultati nei primi decenni del XIX secolo, dal 1818 al 1830-36 quando due suoi figli, Salvatore e Antonio iniziano ad esporre a loro nome (1830), assumendo le redini dell’opificio dal 1836 (Donatone 1991, p. 77, da fonti risalenti a G. Novi e P. Carafa di Noja, vedi bibliografia) [Figura 3].
Figura 3. La dinastia del Giustiniani. Elaborazione grafica dell’autore sulla base di dati e notizie fornite da Donatone.
La florida economia e produttività della manifattura, che annovera decine e decine di maestranze (oltre centosessanta tra maestri ed operai), subisce un duro colpo a seguito della crisi politica, e di conseguenza economica, del 1848 e risulta alquanto significativa la “Supplica” che i Giustiniani porgono a Ferdinando II affinché intervenga e salvi (con un prestito di denaro) le sorti di tanta “gente”, ricordando a Sua maestà quali prestigiosi fasti abbiano interessato le sorti della fabbrica, comprese le numerose visite dei precedenti “Reali” (Ferdinando I e Consorte) e di diversi sovrani “stranieri”, con i lusinghieri giudizi da questi espressi.
Ciò nonostante qualche anno dopo i Giustiniani, a seguito di un contenzioso con i titolari dello stabile, sede dell’opificio in via Marinella, vengono sfrattati ed espropriati di macchine e materiali, riducendosi a piccola attività familiare e chiudendo di lì a poco.
Alcuni anni dopo uno dei discendenti, tal Michele Giustiniani, figlio di Antonio e pertanto nipote di Biagio, riavvia una certa produzione ma presentando modelli ripetitivi e “stanchi”. Figura dai costumi non proprio ineccepibili, dedito al lusso e allo sperpero, così come riportato dal Mosca (L. Mosca, 1963, p. 151), ottiene qualche timido successo in varie mostre tra cui L’Esposizione del 1885 a Milano, ma anche a causa del suo “modus vivendi”, la ditta chiude definitivamente.
Figure 4 e 4 bis Zuppiera Giustiniani, marchio G incusso in corsivo, priva di coperchio, prodotta probabilmente prima del 1825 (Lecce, collezione privata). Nel Regno di Napoli un Regio decreto del 1825 istituiva la bollatura obbligatoria da parte dei fabbricanti di terraglie, maioliche, porcellane ed altro, indicando chiaramente e per esteso il nome della manifattura. Ecco perché si è propensi ad assegnare ad un periodo antecedente tale data, opere marcate con sigle, monogrammi, iniziali e simili.
Figure 5, 5 bis e 5 ter. Piatto Giustiniani, diametro cm. 21, marchio incusso Giustiniani N in corsivo e per esteso, terzo decennio del XIX secolo (Lecce, collezione privata). Decorazione cosiddetta “all’etrusca” con figure ocracee su fondo nero (color bronzo patinato molto scuro), ma ottenuta con tecnica “a negativo”: pittura a smalto nero su fondo chiaro.
Figure 6 e 6 bis. Esempio di riggiola prodotta dalla ditta Giustiniani, tra il terzo e il quarto decennio, del XIX secolo, dopo il 1825, fronte e retro con la scritta Giustiniani in ellisse (Lecce, collezione privata).
NOTE
[1] Con il termine di riggiola si intende una mattonella da pavimento (e per estensione anche da parete) in maiolica dipinta a mano, tipica dell’area campana (Napoli, Cerreto Sannita, Vietri, …), dal classico formato 20 x 20 cm, ma anche 19 x 19, e dallo spessore di due. L’arte della riggiola si fa risalire al XIV-XV secolo, di probabili origini ed influenze spagnoleggianti, ma è nel Settecento e ancor più nell’Ottocento che si assiste ad una vera esplosione degli opifici dediti alla produzione di tale manufatto in tutto il Regno delle due Sicilie.
[2] Ben documentate risultano le diverse tipologie di manufatti in terraglia prodotte con certezza dalla Real Fabbrica Ferdinandea a partire dagli inizi dell’ultimo quarto del settecento e la composizione della cui pasta era affidata a Giovanni Lorenzi da Venezia (Donatone 1991, pp. 37-47).
[3] Liberatore 1833, Vol. II pp. 69-70. Il citato arco temporale dovrebbe essere quello teoricamente più probabile, in mancanza di probante documentazione a riguardo.
Bibliografia citata
-Liberatore, Delle arti e Manifatture delle due Sicilie, in Annali Civili Del Regno Delle Due Sicilie, Napoli 1833.
-P. Carafa di Noja in Esposizione Nazionale di Belle Arti in Napoli, Napoli 1877.
-G. Novi, I Fabbricanti di maioliche e di terraglia in Napoli, in Atti dell’Accademia Pontaniana, Napoli 1881.
-Luigi Mosca. Napoli e l’arte ceramica. Dal XIII al XX secolo, II Edizione. Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1963.
-Mario Rotili, La Manifattura Giustiniani , Edizioni scientifiche italiane, Ercolano 1981 (con aggiornamento di A. Putaturo Murano).
-Guido Donatone. La Terraglia Napoletana – (1782-1860). Grimaldi & C. Editori, Napoli 1991.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, giugno 2015
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