Fiori e decori in quel di Meissen

di Gianni Giancane

Sin dagli esordi della manifattura, agli inizi del XVIII secolo, la complessa e poliedrica produzione vascolare di Meissen è stata caratterizzata, e lo è tuttora, da superbi livelli qualitativi, legata a precisi canoni stilistici coevi, ma anche innovativi e progressivamente cangianti con l’inesorabile incedere delle mode dell’epoca.
Il piatto oggetto del presente studio [Figure 1 e 2], la cui descrizione essenziale viene proposta nella sottostante scheda tecnica, consente di affrontare alcune importanti tematiche relative all’aspetto composito-costruttivo e grafico-ornamentale che lo caratterizzano, lo rendono interessante e degno di nota, ascrivendolo pertanto ad una ben determinata tipologia di manufatti ceramici.

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Figure 1 e 2. Il piatto di Meissen oggetto del presente contributo (1) e retro del piatto con il marchio della manifattura chiaramente visibile (2).

Piatto in porcellana di Meissen a insetti e fiori policromi
Materiale: Porcellana dura
Periodo: 1750-60
Dimensioni: diametro cm 23,8 x 3,3 (altezza)
Peso: gr 460
Marchi: Spade incrociate dipinte in blu sottosmalto; 58 inciso (incised); 8 incusso (impressed) [Figure 3 e 4, nota 1].

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Figura 3. Dettaglio delle famose spade incrociate, corte, senza pomolo nell’elsa e a grafia spessa (crossed swords mark) dipinte in blu sotto vernice.

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Figura 4. In trasparenza sono ben visibili, oltre al marchio, i segni concentrici tipici della tornitura ed i numeri 58 (inciso a mano) e l’8 incusso a “tamponcino”. Si denota inoltre l’effetto nebuloso e disomogeneo tipico delle porcellane intorno alla metà del XVIII secolo; con il passare degli anni si assiste ad un netto miglioramento qualitativo e già nel tardo Settecento a Meissen ed in altri importanti opifici europei compaiono manufatti pressoché perfetti, a grana fine ed omogenea, senza inclusioni e/o residui vari nell’impasto ceramico.

Caratteristiche generali: Piatto dall’orlo mistilineo dorato con andamento concavo-convesso, scandito da sedici piccole cuspidi in corrispondenza delle quali si dipartono altrettanti setti radiali centro convergenti.
Tesa caratterizzata da importante motivo decorativo in rilievo “a graticcio” detto “Alt Brandenstein”, con intercalate pitture di insetti e piccoli tralci floreali; inoltre, sottile doratura con profilo mistilineo pseudo parallelo e concentrico all’orlo.
Ampio cavetto dipinto a tutto campo con fiori policromi nella maniera dei “Manier Blumen” o fiori naturali (dipinti in modo naturalistico, perciò “Manier”). La parte alta presenta ulteriore profilo dorato concentrico con i precedenti e, trasversalmente ad esso, prolungamenti mossi e ondulati delle linee radiali dei setti.
Stato di conservazione: Piccole cadute di colore sulla doratura dell’orlo esterno (tipo le cuspidi, nei punti più esposti, dovute a giusta consunzione per naturale contatto con le dita nell’atto di presa); qualche analoga caduta nel profilo dorato del cavetto.
Intonso per “sbeccature”, fratture, fêlures, complessivamente ottimo lo stato di conservazione.
Motivo dell’attribuzione: Natura e qualità della massa ceramica: oggetto piuttosto pesante in linea con la produzione di Meissen nel periodo ipotizzato, colore, consistenza, lieve ma ancora presente nebulosità e diffusa disomogeneità percepibili nell’aspetto in trasparenza, formatura al tornio [vedi ancora Figura 4]. Inoltre, non lasciano dubbi interpretativi: motivo decorativo in rilievo, colore e spessore della vetrina, doratura e relativa tecnica di stesura e lucidatura [Figura 5], tipologia delle dipinture e cromie utilizzate, marchio delle spade incrociate senza pomolo, dipinte in blu sotto smalto con “grafia grossa e corta” (abbastanza frequente nella produzione vascolare ed ancor più in quella plastica, al verso della base nelle statuine rococò, nel terzo quarto del XVIII secolo), numeretti incisi e incussi.

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Figura 5. Dettaglio di uno dei profili dorati dove si possono apprezzare i segni sub paralleli della lucidatura (si usava tra l’altro la pietra d’agata per conferire un particolare effetto di brunitura).

Pertanto, analizzati singolarmente prima e successivamente nella loro globalità, tutti i parametri esaminati conducono, a mio parere, verso l’assegnazione del piatto studiato alla prestigiosa manifattura tedesca negli anni ipotizzati.

Il decoro in rilievo
Il manufatto, nella sua presentazione d’insieme, pur offrendo immediate e gaie sensazioni visive dovute alla vivace ma elegante policromia floreale ed alle brillanti dorature, non distoglie certamente lo sguardo dell’osservatore dal motivo decorativo in rilievo presente solo nella parte superiore del piatto, la tesa.
Tale motivo è definito “Alt Brandenstein”.
Il motivo decorativo dell’Alt Brandenstein è formato da un susseguirsi di quattro campi in rilievo, intervallati ad altrettanti a fondo liscio, formanti un insieme di sedici settori consecutivi separati ognuno da una linea (barra) divisoria ad andamento radiale, centripeto.
I campi in rilievo presentano una successione di tre ordini: due più piccoli, caratterizzati da dodici rosette in rilievo incastonate in altrettante maglie di una corrispondente griglia, incastrano un ampio e largo setto nel quale assume forte rilievo una sorta di intreccio a stuoia di vimini, con diverse barre diagonali (tra nove e dieci elementi) intrecciate tra di loro e con altre (di solito cinque), concentriche, ad andamento sub orizzontale parallelo al bordo del piatto.
I restanti campi lisci, a setto unico, più piccoli, sono concepiti quali doverose interruzioni alla ricchezza decorativa dei rilievi, rendendo snello, fluido e per niente ridondante il complesso decorativo nel suo insieme [Figura 6].

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Figura 6. I campi dell’Alt Brandenstein arricchiti dai decori floreali e zoomorfi.

Le origini vanno ricercate intorno al 1737 con un primitivo progetto di Johann Friedrich Eberlein (1695-1749) ideato per il conte di Brühl, ma probabilmente mai realizzato (nota 2). I tempi erano però maturi per la produzione di opere a siffatto motivo ornamentale e, malgrado subentrarono notevoli difficoltà materiali in fase esecutiva, Eberlein insieme a Johann Joachim Kändler (1706-1775), l’altro grande modellatore di Meissen, crearono nel 1741 un servizio di stoviglie (piatti e vasellame affine) con decorazione tipo stuoia di vimini in rilievo (sulla tesa dei piatti e sui bordi degli altri pezzi). Il tutto avvenne su esplicita richiesta dell’Hofküchenmeister (Capo cuoco di corte per l’Elettore di Sassonia Augusto III) Friedrich August von Brandenstein (nota 3), così come si evince dal rapporto di Eberlein per il mese di aprile 1741: “(…) un piatto, intrecciato in un modo completamente nuovo, di nuovo design, per il suo maestro di cucina capo von Brandenstein ” (Archiv der Staatlichen Porzellan-Manufaktur Meissen, AA I Ab 16 fol. 104a), già in Weber, Meißener Porzellane mit Dekoren nach ostasiatischen Vorbildern, Monaco 2013, vol. II, p. 453 f, n. 474.
Tale servizio, tuttavia, non è stato a tutt’oggi ancora identificato.
La decorazione in rilievo ebbe subito rilevante successo ed apparve su molteplici servizi, ma sfuggì probabilmente a quello che era lo scopo originario: presentare vasellame caratterizzato dalla sola decorazione in rilievo, senza nessun altro arricchimento grafico (!) in quanto già di per sé degnamente ed elegantemente rappresentativa di un nuovo stile ben definito. In realtà i decoratori non se ne stettero con le mani in mano e, ubbidendo ad esplicite richieste dei mercati (oltre che ovviamente ai personali interessi…), continuarono con i loro “preziosi e necessari interventi” dipingendo differenti motivi decorativi (fiori, insetti, frutti, paesaggi, …) nei settori lasciati liberi (e non solo quelli, come nel nostro piatto) dal rilievo ceramico.
Nel 1744, con l’evoluzione stilistica di un ormai diffuso rococò che abbracciava linee curve, morbide e sinuose, comparve il corrispondente motivo rocaille dell’Alt Brandenstein, il “Neu Brandenstein” in cui nei piatti e nelle stoviglie in genere, le linee divisorie dei setti radiali presentavano andamento ad S, piuttosto mosse, con riduzione delle righe orizzontali nel traliccio sulla tesa dei piatti, via via meno larga. Inoltre, un pronunciato profilo mistilineo comparve nella parte superiore del cavetto [Figura 7], una decisa nervatura mai evidenziata nell’Alt Brandenstein dove al più sono presenti, appena accennati, corti prolungamenti delle barre radiali presenti sulla tesa.

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Figura 7. Il motivo del Neu Brandenstein su un esemplare monocromo bianco privo di qualsiasi decorazione pittorica. Si denoti la particolare eleganza formale di tale manufatto (fonte: Wikipedia).

Un’importante osservazione
Il nostro piatto appare decorato con un eccesso di doratura. Il profilo normalmente dorato del bordo risulta, a mio parere, quasi “rafforzato” dagli altri due, presenti sulla tesa e nel fondo.
Se poi si guarda con attenzione proprio al profilo dorato del cavetto, si nota immediatamente un andamento non in linea con i dettami del primo Brandenstein, ma al contrario, una sorta di adeguamento alle linee mosse, curve, rococò, tipiche del Neu Brandenstein, come se il decoratore fosse intervenuto su un piatto “primo periodo, Alt Brendenstein”, sempre in produzione, applicando volutamente a seguito delle mutate tendenze, dettami stilistici innovativi. Questo è il motivo che mi porta a datare l’opera verso la metà del XVIII secolo, intorno al 1750-60, in pieno Rococò.
D’altro canto, e correttezza analitica lo impone, nulla vieta pensare ad un intervento di dorature di poco successive (tranne quella dell’orlo, sicuramente primaria), e comunque sempre intorno alla metà del secolo, su un manufatto realizzato in precedenza, solo pochi anni prima. A sostegno di tale ipotesi interverrebbero le macchioline scure sul retro del piatto che in realtà potrebbero anche essere interpretate quali segni di avvenuta ricottura del manufatto, necessaria dopo aver applicato l’oro con opportuna tecnica, (a fortissimo ingrandimento tali macchioline appaiono come “craterini” da microesplosioni tipici delle fasi di ricottura di un oggetto ceramico).
Tuttavia, considerando la disposizione alternata dei dipinti floreali e degli insetti sulla tesa, sopra e sotto la linea di doratura, quindi in spazi già da questa dettati, non attribuirei a tale “soluzione” forte credibilità, affidando alla prima ipotesi maggiore “probabilità di successo”.
In definitiva, non potendo risolvere con univoca certezza l’arcano ed essendo la quaestio, poco o del tutto ininfluente nel nostro studio, ritengo corretto datare l’opera, globalmente intesa, alla metà del Settecento circa.
Non solo Brandenstein.
A proposito dei decori in rilievo a Meissen occorre tuttavia precisare quanto segue.
Gli anni Trenta del Settecento videro un susseguirsi di iniziative ad opera di Eberlein e Kändler volte alla ricerca di speciali motivi decorativi da inserire nell’impasto ceramico e rendere particolarmente elegante la bellezza formale della produzione vascolare. Tra il 1735 ed il 1737 Johann Joachim Kändler realizzò per il conte Sulkowski il primo grande servizio da tavola con il bordo del vasellame caratterizzato da una particolare decorazione in rilievo a stuoia, con dodici campi continui separati da altrettante barre radiali, definito appunto Sulkowski Ozierrelief. Sulla scia di tale innovazione, “rafforzata” nel 1741 con l’Alt Brandenstein, comparvero verso la metà degli anni Quaranta l’Alt Ozier prima ed il Neu Ozier poi, quali rivisitazioni della primitiva idea di Kändler [Figure 8, 9 e 10].

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Figura 8. Sulkowski Ozierrelief (Goffratura a stuoia alla Sulkowski) sui bordi di una zuppiera con coperchio, Meissen 1735-36 (fonte: Catologue of the Hans Syz Collection – Meissen Porcelain and Hausmalerei, Hans Syz, J. Jefferson Miller II, Rainer Rückert, Smithsonian Institution Press, Washingthon, 1979, pagina interna di copertina).
I numerosi pezzi del servizio originario realizzato per il conte Alexander Joseph von Sulkowski (1695-1762, inizialmente paggio, poi beniamino e Ministro del Re) e considerato il primo grande servizio da tavola in porcellana della storia, portano lo stemma suo e della moglie (contessa Maria Franciszka Stein).

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Figura 9. Alt Ozier (Vecchio Vimini), stuoia intrecciata con bastoncini alternati paralleli ed ortogonali a mo’ di trama ed ordito (fonte: “L’Arte della Porcellana – Jean Jan Diviš /Marielle Ernould-Gandouet, F.lli Melita Editori 1990, La Spezia, pag. 149).

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Figura 10. Neu Ozier (Nuovo Vimini), variante rocaille del l’Alt Ozier (fonte: ibidem, pag. 193).

Secondo quanto sintetizzato nelle note relative allo studio di un piatto di Meissen, per molti aspetti abbastanza simile al nostro [Figura 11], in National  Museum of American History, proveniente dalla Smithsonian’s Hans Syz Collection of Meissen Porcelain, le fonti per i disegni in rilievo ai quali si sarebbero ispirati i modellatori sassoni, proverrebbero  da libri di modelli e incisioni, in particolare quelli del designer francese Jean Bérain il Vecchio (1638-1711) e del designer di Norimberga Paul Decker (1677-1713). Questi progetti furono ampiamente applicati in architettura, nella decorazione di stucchi, di interni, sculture in legno, mobili e rivestimenti murali, oltre che nella produzione ceramica ovviamente.

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Figura 11. Piatto con rilievo Alt Brandenstein e decorazione floreale simile al nostro (fonte: National Museum of American History, già in Smithsonian’s Hans Syz Collection of Meissen Porcelain).

I fiori dipinti
Dicevamo dei decoratori …
La pittura delle porcellane era sempre una forte tentazione, artistica-stilistico-economico-commerciale, e prendeva facilmente il sopravvento su monocromie bianche che già di per sé avrebbero osteggiato formale e talvolta regale bellezza affidando eccellenti risultati alle decorazioni in rilievo di cui sopra.
Tralasciando, in quanto esulano dal presente lavoro, cineserie, paesaggi, scene galanti, animali, frutti vari, Kauffahrteiszenen (scene di porto), concentriamo la nostra attenzione sulla variegata produzione floreale anche perché, tra i differenti motivi decorativi che spesso le committenze richiedevano, ebbe un ruolo fondamentale.
Già presenti nei primissimi anni di Meissen, i fiori apparvero in varie applicazioni: sul gres rosso-bruno di Johann Friedrich Böttger (Schleiz 1682-Meissen 1719), famoso alchimista al servizio di Augusto II re di Polonia ed elettore di Sassonia, poi sul gres porcellanato e sulla porcellana di Böttger (nota 4). A partire dal 1720 i motivi floreali furono dipinti nei pezzi monocromi blu sotto smalto, ispirati ai modelli giapponesi di Kakiemon che Horoldt in particolare iniziò a sviluppare dopo il suo ingresso nella manifattura (Hans Syz, J.Jefferson Miller II, Rainer Ruckert, Catalogue of The Hans Syz Collection – Meissen Porcelain and Hausmalerei, pag. 357, Smithsonian Institution Press, Washington, 1979).
Superati i primi anni, influenzati dai motivi orientali ormai diffusi in Europa, comparvero affermandosi sempre più prepotentemente (1725-35 ed oltre) gli “Indianische Blumen” (fiori indiani) in cui piante dell’estremo oriente quali crisantemi, bambù, peonie, pruni, idealmente stilizzate [Figura 12], anche associate ad animali o figure umane, campeggiavano spesso in monocromo seppia, violetto, verde (o al più con tocchi di pochi altri colori collaterali quali giallo, azzurro, verdino, condividendone con questi una graziosa policromia).

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Figura 12. Indianische Blumen (fiori indiani) su una coppia di vasi realizzati a Meissen nel periodo 1725-35 (fonte: Catologue of the Hans Syz Collection – Meissen Porcelain and Hausmalerei, Hans Syz, J. Jefferson Miller II, Rainer Rückert, n° 110, pag. 184, Smithsonian Institution Press, Washingthon, 1979).

Già verso la fine degli anni trenta, tuttavia, gli interessi verso lo studio della natura, la diffusione di numerose tavole botaniche (e zoologiche), realizzate in xilografia, basate sui lavori di diversi autori quali Joris e Jacob Hoefnagel con l’opera Archetypa Studiaque Patris Georgii Hoefnagelii (1592), Maria Sybilla Merian con Neues Blumenbuch (1675-1683), spinsero i pittori di Meissen a trascurare i motivi indiani, orientali, esotici a vantaggio di un nuovo filone decorativo legato ai cosiddetti  fiori europei (in realtà ispirato alla natura, largamente intesa,  così come interpretata nelle suddette tavole). Iniziarono a comparire pertanto gli “Holzschnittblumen” (fiori di Xilografia), perfetti, “eclatanti”, molto ben definiti, spesso corredati da un profilo aggiuntivo sottostante i contorni, una sorta di ombreggiatura detta “ombrierte teutsche Blumen” che rafforzando il soggetto gli conferiva una sorta di vaga tridimensionalità [Figura 13].

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Figura 13. Holzschnittblumen (fiori di Xilografia) su una caraffa dove è nettamente percepibile l’ombreggiatura nei profili, Meissen 1740 (fonte: ibidem, n° 225, pag. 358).

Verso la metà degli anni Quaranta, la tendenza a riprodurre su porcellana con maniacale rigore scientifico i fiori di Xilografia, lasciò il passo ad una nuova interpretazione grafica che prevedeva dipinture di fiori per lo più raggruppati in mazzetti, meno rigidi, più “allegri”, fluidi ed armoniosi, che personalmente amo definire “a tutto tondo” facilmente adattabili alle forme del vasellame pronto ad accoglierli, comunque più realistici. Nacquero i famosi “Deutsche Blumen” (fiori tedeschi), ben rappresentati nelle stoviglie in porcellana da un mazzetto di fiorellini raggruppati in un unico motivo decorativo talvolta monocromo, ma più spesso scandito da vivaci policromie; altre volte una serie di singoli fiori o tralci floreali corredavano la tesa o lo stesso cavetto dei piatti, integrandone il motivo principale [Figura 14].

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Figura 14. Deutsche Blumen (fiori tedeschi) su due piccoli vasi biansati, Meissen 1745 (fonte: National Museum of American History, già in Smithsonian’s Hans Syz Collection of Meissen Porcelain; inoltre n° 232, pag. 368 Catalogue of the Hans …).

Anche in questo caso, i pittori di Meissen attinsero a pubblicazioni botaniche e su tutte la Phytantoza Iconographia di Johann Wilhelm Weinmann, (Norimberga 1737-1745) in cui molte delle tavole erano incise su disegni del famoso illustratore botanico Georg Dionys Ehret (1708 -1770), secondo quanto riportato nel già citato studio del piatto in National Museum of American History, proveniente dalla Smithsonian’s Hans Syz Collection of Meissen Porcelain.
Solo pochi anni dopo, verso la metà del Settecento ci fu l’ulteriore “variazione sul tema” ed i Deutsche Blumen divennero i “Manier Blumen”, definiti più tardi, come si attinge da un catalogo di vendita del 1765, Naturliche Blumen (nota 5).
Lo stile è più morbido, un po’ pieno, complessivamente più esagerato, la riproduzione meno corretta dal punto di vista formale rispetto ai precedenti, e pertanto la pittura appare meno rigorosa, meno “scientifica” ma decisamente più realistica, di certo vicina ad una più libera interpretazione, tipica di pittori come Jean-Baptiste Monnoyer (1636-1699) e Louis Tessier (1719 -1781) ai quali generalmente si ispira.
Ascriverei a quest’ultimo filone decorativo [Figura 15] le dipinture floreali del piatto oggetto del presente lavoro, prevalendo, rispetto al precedente, quei dettami stilistico formali appena descritti.

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Figura 15. Manier Blumen (fiori naturalistici) su un piatto con rilievo Alt Ozier, Meissen, metà del Settecento (fonte: National Museum of American History, già in Smithsonian’s Hans Syz Collection of Meissen Porcelain; inoltre n° 250, pag. 386 Catalogue of the Hans …).

Infatti, pur caratterizzato da un mazzetto di fiori raggruppati, alla “Deutsche Blumen” campeggiante in posizione pressoché centrale, il piatto è poi contornato e “rafforzato” da altri piccoli steli floreali sia sulla tesa che nel cavetto; anche la stesura a pennello appare più allegra, spigliata, con minor definizione tecnico-scientifica, in accordo con il concetto dei Manier Blumen (fiori naturalistici).
Non solo fiori
Motivata da un nuovo e crescente interesse verso la natura, sulla scia dei risultati che studiosi e scienziati quali Carl Nilsson Linnaeus, più semplicemente Linneo (1707-1778), stavano diffondendo in tutto il mondo, la presenza di insetti sulle porcellane di Meissen, già comparsa qualche anno prima con gli Indianische Blumen, diventò sempre più costante negli anni Trenta-Quaranta del XVIII secolo, persistendo nei decenni successivi. I lavori dello scienziato svedese sulla Classificazione Sistematica delle Specie (Tassonomia) negli anni Trenta, dettero forte impulso verso un nuovo modo di vedere la scienza (pianificazione degli eventi naturali, dalla creazione al vissuto quotidiano, ricerca delle cause, analisi degli effetti…), catturando con entusiasmo l’élite colta della popolazione; animali fino a quel momento “disprezzati” quali ad esempio ragni, topolini, scarafaggi e altri insetti, divennero appetiti grafici dei dipintori di Meissen (e di altre manifatture europee) i quali, attingendo dalle tavole di zoologia (e botanica) pubblicate (nota 6) ebbero il “coraggio” di trasferire su porcellana l’innovativo messaggio scientifico attraverso un’elegante interpretazione grafica. In particolare, gli insetti erano considerati “di rara bellezza” ed espressione misteriosa dei cicli vitali, nonché probabilmente utili nell’arte medica (nota 7).
Perché quindi non dipingerli?
Sulla parte alta della tesa del nostro manufatto due cerambici, una farfalla e una coccinella adornano, non invasivi ma con discreta eleganza, le quattro riserve lisce dell’Alt Brandenstein.

NOTE

[1] Sul retro delle stoviglie di Meissen, così come di altre manifatture, si possono trovare, oltre al marchio della manifattura, dei numeretti e/o dei simboli: incisi (l’incisione è manuale con un piccolo ferretto appuntito); incussi (l’apposizione avviene con un piccolo tampone generalmente di legno, alla cui estremità è definito il numero o un logo, una firma, su un impasto ceramico ancora umido, così come nel caso dell’incisione); stampati (impressi a stampa, insieme a sigle, monogrammi, stampigliati, engraved) sopra o sotto smalto. In genere i numeri incisi, ma a volte anche quelli incussi, possono essere riferiti a determinati passaggi di mano tra operai (formatori, tornitori…) durante la realizzazione di un oggetto vascolare e non vanno confusi con i numeretti che spesso appaiono sulla produzione plastica (numero di modello, del modellatore, del rifinitore, del   pittore, ed altro ancora, spesso incisi e/o dipinti.

[2] Conte Heinrich von Brühl (Gangloffsömmern, 13 agosto 1700 – Dresda, 28 ottobre 1763), figura di spicco presso la corte di Federico Augusto II il Sassone (Augusto III di Polonia), Primo Ministro, fautore di tutta la politica sassone, mente pensante ed operatrice (con conseguenze poi disastrose per lo Stato). Per lui, amante del lusso esagerato e delle opere d’arte (per quanto pare non fosse poi un vero intenditore) fu realizzato da Johann Joachim Kaendler, Johann Friedrich Eberlein e Johann Gottlieb Ehder, tra il 1737 e 1742,  il fantasmagorico “Servizio dei Cigni”, composto da oltre 2000 pezzi,  formato da vasellame in cui i rilievi plastici, le  forme e le figure del mondo marino, della mitologia greca, emergono prepotentemente con grazia e forza al tempo stesso in ogni stoviglia; sicuramente l’opera ceramica (il servito in porcellana) più importante e sontuosa della storia del rococò.

[3] Molto forte era il legame tra il capo cuoco (Hofküchenmeister) Friedrich August von Brandenstein e August III (figlio di Augusto il Forte, Elettore di Sassonia, re di Polonia e granduca di Lituania) uno dei più grandi mecenati d’arte del suo tempo, così come risulta anche in “Eine unterhaltsame Reise in die Barockzeit” di Holger Kahl,  Schloss Brandenstein Internetsite – 2016. Egli poté godere della sua “idea”, di cui andava fiero, per soli due anni, infatti già nel 1743 (il 21 marzo) venne a mancare, come risulta in “Der” Genealogische Archivarius, welcher Alles, was sich unter den jetzt…, pag 1160, Lipsia 1744.

[4] Sono queste le tappe in ordine cronologico verso la ricerca della famosa porcellana, composto ceramico che Böttger scoprì dopo innumerevoli tentativi e nelle condizioni ambientali, sociali, tecnico-operative alquanto particolari tra difficoltà enormi e costrizioni varie, tipo “reclusioni” affinché i risultati che il maestro andava via via conquistando non fossero divulgati per nessun motivo. Il 15 gennaio 1708 riuscì ad ottenere tre “infornate” finalmente bianche ed il 28 marzo 1709 si impegnava a fornire all’Elettore una buona porcellana bianca (L’Arte della Porcellana – Jean Jan Diviš /Marielle Ernould-Gandouet, F.lli Melita Editori 1990, La Spezia, pag 31) . In realtà per l’individuazione della famosa “ricetta” (l’arcano) accanto a Böttger, ed in modo parimenti importante, ebbe un ruolo determinante Ehrenfried Walter de Tschirnhaus.
Per una semplice ma efficace sintesi sulla scoperta della porcellana in Europa e sul ruolo determinante della manifattura di Meissen, si consiglia, tra gli innumerevoli testi sull’argomento, quello appena citato).

[5] Catologue of the Hans Syz Collection – Meissen Porcelain and Hausmalerei, Hans Syz, J. Jefferson Miller II, Rainer Rückert, Smithsonian Institution Press, Washingthon, 1979, pag. 357.

[6] Ricordiamo tra le altre, le citate Archetypa Studiaque di Patris Georgii Hoefnagelii (1592), e Neues Blumenbuch di Maria Sybilla Merian (1675-1683).

[7] Alquanto interessante quanto riportato a proposito del connubio insetti-medicina alle  pag. 140-154, cap. VIII, Tomo 2 di un’opera straordinaria del 1751, Teologia Degl’Insetti, Ovvero Dimostrazione Delle Divine Perfezioni in tutto ciò che riguarda gl’Insetti, Tomo Secondo , Friedrich Christian Lesser, Stamperia Remondini, Venezia 1751: …“Gl’Insetti non sono nella Medicina d’uso così comune, come gl’altri Animali, perché i Signori Medici non si sono presa tanta cura di ricercare a che possano essere giovevoli”. Io però mi lusingo di far vedere ben chiaro che anch’essi hanno il loro gran merito in codesta nobile facoltà. … E vi si trova di tutto (…), ovviamente secondo le conoscenze scientifiche dell’epoca.

Bibliografia citata ed essenziale
Friedrich Christian Lesser – Teologia Degl’Insetti, Ovvero Dimostrazione Delle Divine Perfezioni in tutto ciò che riguarda gl’Insetti, Tomo Secondo, Stamperia Remondini, Venezia 1751.
Karl Berling – Das Meissner Porzellan und seine Geschichte, Lipsia, F.A. Brockhaus, 1900.
W.B. Honey – Dresden China – An Introduction to the Study of Meissen Porcelain Adam And Charles Black, London 1946 (American Edition).
Rainer Rückert – Meissener Porzellan 1710-1810. Monaco, Hirmer Verlag, 1966.
Otto Walcha – Meissner Porzellan, Dresden, VEB Verlag der Kunst, 1973.
Hans Syz, J. Jefferson Miller II, Rainer Rückert – Catologue of the Hans Syz Collection – Meissen Porcelain and Hausmalerei, Smithsonian Institution Press, Washingthon, 1979.
Hans Edmund Backer – La Porcellana in Europa, De Agostini, Novara, 1979.
Jean Jan Diviš /Marielle Ernould-Gandouet – L’Arte della Porcellana, F.lli Melita Editori, La Spezia, 1990.
Johann Willsberger/Rainer Rückert – Meißen Porcellane del secolo XVIII, Edicart, Legnano, 1991
Maureen Cassidy-Geiger – Graphic Sources for Meissen Porcelain: Origins of the Print Collection in the Meissen Archives – Metropolitan Museum Journal 31, pag. 99-126, The Metropolitan Museum of Art, NY 1996.
Yvonne Adams – Meissen Figures 1730-1775 The Kaendler Period, Schiffer Publishing, Atglen, USA, 2001.
Dr Grasse e E. Jaennicke – Les Marques des Porcelaines Faïances et Poteries, Parigi 2001
Julia Weber – Meißener Porzellane mit Dekoren nach ostasiatischen Vorbildern, Stiftung Ernst Schneider in Schloss Lustheim, Renate Eikelmann, Monaco 2013.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, ottobre 2018

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