Il Cristo in Pietà di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone. Una lettura inedita.
di Andrea Bardelli (*)
Nella Collezione Cagnola di Gazzada (Va) si conserva un’opera di grande notorietà: un Cristo in Pietà attribuito al Bergognone fin dal suo primo apparire in una mostra a Manchester nel 1857 [Figura].
Figura. Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, Cristo in Pietà con Angeli, 1480 circa, tempera e olio su tavola, cm. 49,8 x 35,7, Gazzada (Va), Collezione Cagnola, inv. DI.027 (foto anteriore al restauro).
Di quest’opera proponiamo una “lettura inedita” in un senso un po’ speciale.
Pensiamo che negli anni la critica d’arte, ossia la capacità di leggere un dipinto e di interpretarlo, abbia progressivamente lasciato spazio alla storia dell’arte, più attenta alla biografia dell’autore e al contesto non solo artistico, ma anche economico, politico e sociale in cui egli si muove, col risultato di diseducare il pubblico a “vedere” un’opera e a giudicarla.
Nella prefazione scritta nel 1952 all’edizione del 1957 di I pittori italiani del Rinascimento, Bernard Berenson scrive: “… non converrebbe sprecare troppo tempo a leggere intorno alle pitture, anziché guardarle. Leggere non profitta gran che al godimento, all’apprezzamento e alla comprensione delle opere d’arte. Basta sapere dove e quando nacque quel dato artista, e il predecessore che lo ispirò e su cui si formò (…). Guardare bisogna: guardare e guardare, fino a rivivere l’opera e per un attimo immedesimarci con essa [Berenson 1957, p. XVI-XV]
Pensiamo che Berenson avesse ragione, ma non solo. I critici del passato avevano meno pudori e i vari artisti erano “processati”, nel senso che venivano assolti o condannati (talvolta, colpevolmente, in base al gusto del loro in cui la critica veniva esercitata), comunque giudicati.
Per questo, prese le giuste distanze, i pareri dei critici ci aiutano a capire meglio un’opera senza preoccuparci troppo di inquadrarla storicamente.
A questo allude il titolo. Nulla di inedito in senso letterale, bensì una (ri)lettura delle critiche del passato, più o meno recente, al fine di far (ri)emergere ed elaborare punti di vista illuminanti.
Il primo autore ad essere preso in considerazione è Matteo Marangoni. Nel suo volume Come si guarda un quadro, egli porta a riflettere su come un’opera, anche molto nota, possa essere “sbagliata” sul piano formale. Il suo lavoro riflette l’insofferenza, spesso animosa, verso una critica di stampo idealista, incline a valorizzare la capacità di suscitare sentimenti ed emozioni, rispetto alla forma. Non sappiamo – e sarebbe stato interessante saperlo – cosa Marangoni pensasse o cosa avrebbe potuto pensare del Cristo in Pietà della Cagnola, ma abbiamo il sospetto che l’avrebbe “bocciato”.
Proviamo a metterci nella testa di Marangoni e guardiamo senza filtri la nostra opera. Cosa vediamo?
Il Cristo si presenta come una persona un po’ intontita che ha appena messo le gambe giù dal letto, il monaco sembra una figurina ritagliata nel cartoncino e anche gli angioletti appaiono personaggi stereotipati.
Prima che ci si riprenda dallo choc di un’affermazione impertinente e comunque irriguardosa nei confronti di un capolavoro riconosciuto, guardiamo alla critica passata, per accorgerci che questa valutazione risulta abbastanza condivisa, anche se spesso utilizzata al fine di giustificare la precocità dell’opera nel catalogo di Bergognone.
Mottini nel 1949 parla di: “… prospettive non impeccabili, le frequenti ripetizioni, l’assoluta mancanza di senso del moto e di drammaticità” (Mottini G. E., Storia dell’arte italiana, II, Mondadori, Milano 1949, p. 147).
Nel 1952, in occasione della celebre mostra sull’Arte lombarda dai Visconti agli Sforza curata da Roberto Longhi, la scheda in catalogo dice che quest’opera “è comunemente ritenuta l’espressione forse più precoce del pittore, per la manifesta acerbità stilistica e l’ingenuità dell’invenzione”, è più oltre si parla di “ scioltezza corsiva, quasi dimessa dei modi intensamente pittorici, che distingue, particolarmente nel Bergognone, le opericciole di destinazione domestica o conventuale come questa …” (Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, Silvana, Milano 1958, p. 122-123 n. 272).
Altre critiche del passato sono riferite da Nadia Righi, la quale ha redatto la scheda del Cristo in Pietà di Gazzada per il catalogo del 1998 della Collezione Cagnola, nonché le schede per la mostra di Pavia del 1989 curata da Gianni Carlo Sciolla e quella di Milano del 2015 curata da Mauro Natale e Serena Romano.
Mazzini parla di assenza di una puntuale indagine anatomica, di resa miniaturistica dei particolari e di “scioltezza corsiva, quasi dimessa” (Mazzini F., Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, Monza 1948; idem, Aggiunte al Bergognone, Paragone, 1957, VIII, n. 87 p. 50-61).
Secondo la Ottino della Chiesa, lo stile è “ancora inceppato, ma già felice” (Ottino della Chiesa, Ambrogio da Fossano, DBI, II, Roma 1960, p. 715-718; idem, Pittura lombarda del Quattrocento, Bergamo 1961).
Il termine “inceppato” è già utilizzato da Fernanda Wittgens a proposito però della Pietà di Budapest nella quale a far “inceppare” Bergognone sarebbe stata “… l’emulazione dei sottili stilismi del Memlinc [sic] nelle sue divote Pietà …” (Wittgens F., La pittura lombarda nella seconda metà del Quattrocento, in Storia di Milano, VII, Treccani, Milano 1956, p. 788).
La Porracchia parla di “… goffaggine delle forme” (Porracchia J., I tempi stilistici del Bergognone, Arte Lombarda, I, 1955, pp. 76-89; idem, Il Bergognone, Milano 1963).
La Righi conclude aggiungendo di suo: “… i personaggi appaiono un po’ bloccati nei movimenti, caratterizzati da una corporatura fragile e dai gesti timidi delle mani piccole e inerti …”. (Righi N. in AAVV, La collezione Cagnola. I dipinti, Nomos, Busto A., Va, 1998 p. 125-127).
Lo stesso Guido Cagnola, nel 1914, si esprime imparzialmente a proposito della tavola che ha appena acquistato. Si noti la discrezione e il senso dell’umorismo con cui la introduce (che sia sua lo si capisce solo dalla didascalia: La Pietà – Milano, Proprietà Cagnola): “Sino a poco tempo fa in Inghilterra, nella raccolta Fuller Russel, tornò in Italia anzi, aggiungeremo, in casa sua in Lombardia, la Pietà qui riprodotta, opera giovanile di Ambrogio Fossano”. E continua: “… il Cristo rigido dal disegno piuttosto rudimentale, il curioso particolare della tunica dura quasi fosse solida materia, tutto denota come l’artista non avesse ancora raggiunto l’apogeo dell’arte sua. E rafforza in noi tale opinione la meticolosa cura con cui egli rese tutti gli accessori: i dadi sul coperchio dell’avello, il calice d’oro sulla roccia bruna, gli stromenti del martirio e persino le chiavi appese alla cintura del frate portiere o dispensiere. Eppure [… e da qui in poi Cagnola dimostra di aver capito l’opera come pochi altri e siamo], malgrado tali manchevolezze e tali ingenuità, o meglio a cagione di esse, la bella tavola ha un fascino speciale perché nella sua semplice e fresca spontaneità ci rivela l’anima candida del pittore tutto intento a rendere, così come le sentiva, le scene religiosamente famigliari del centro in cui allora viveva. Dietro alla croce, sul cielo tinto dai riflessi di un placido tramonto, si delineano le torri, i campanili di una città, Milano o Pavia, cinta dalla catena dei monti che rinserrano la pianura lombarda” (Cagnola G., Intorno a Bergognone, Rassegna d’Arte Antica e Moderna, 1914, XIV, p. 219-221).
Perché allora l’opera (con buona pace di Marangoni) è capace di commuoverci? Perché è difficile dimenticare un’opera così affettuosa?
Ed è quindi al linguaggio della “poesia” che ci dobbiamo rivolgere per cercare – non è detto che la si trovi – una chiave di lettura.
Impossibile non pensare a Giovanni Testori e al suo memorabile scritto Ambrogio Bergognone: Quattrocento fiammingo, contenuto in La realtà della pittura. Scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Seicento (antologia curata da Pietro C. Marani, il quale è tra coloro che hanno studiato a fondo il Bergognone), brano che andrebbe letto e riletto nella sua interezza.
Testori scrive: “… quell’insuperabile capolavoro di verità mendica che è la Pietà Cagnola; piccolissima, sì, di dimensioni, ma enorme, per pulsazioni d’affetti e di religioso amore; e, questo, dalle figure sin laggiù, al memorabile tramonto, che sembra screziarsi tra rose, rosòlio e rosolìa” (Ambrogio Bergognone: Quattrocento Fiammingo, in G. Testori, La realtà della pittura, Longanesi, Milano 1991, p. 122-123).
Ma anche la critica più tradizionale convoca la poesia per comprendere quest’opera di Bergognone.
Secondo Nietta Aprà, le figure sono incorporee “fatte soltanto di anima” (Aprà N., Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, Milano 1945).
“… così com’è, il Bergognone è uno dei maestri più suggestivi del suo tempo, ricco d’intima poesia” (Mottini G. E., Storia dell’arte italiana, II, Mondadori, Milano 1949, p. 147).
“Nessun artista ha reso, con evidenza pari alla sua, l’intima poesia degli ambienti claustrali (…). E’ anzi in queste tavolette di limitate dimensioni che meglio si esprimono le alte qualità pittoriche del maestro, dalla Deposizione della Collezione Cagnola di Milano …” (D’Ancona Paolo (con Gengaro M.L.), Umanesimo e Rinascimento, Utet, Torino 1948).
La Porracchia parla di “Poeticissima goffaggine delle forme” (Porracchia J., I tempi stilistici del Bergognone, Arte Lombarda, I, 1955, pp. 76-89; idem, Il Bergognone, Milano 1963).
“E’ uno dei brani più alti di più alto livello poetico del Nostro, veramente straordinario nel <<tramonto insanguinato e violetto>> dello sfondo (Longhi), cui fanno contrappunto, in primo piano, i vivacissimi timbri cromatici puri nelle vesti degli angeli” (Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, Silvana, Milano 1958, p. 122-123 n. 272).
Secondo Liana Castelfranchi è “Una delle vette poetiche del Quattrocento lombardo” (Castelfranchi Vegas L., Italia e Fiandra nella pittura del Quattrocento, Jaca Book, Milano 1983, p. 259-260).
“La Pietà Cagnola è comunque un dipinto di grande delicatezza poetica e d’intensità spirituale …” (Righi N. in AAVV, La collezione Cagnola. I dipinti, Nomos, Busto A., Va, 1998 p. 125-127).
E ditemi se non è poetica la lettura che ne fa la Wittgens, la quale parla di Bergognone come di un “Memling in Lombardia” :“ecco nella Pietà Cagnola tutta fiorita in primo piano di bianchi e rosa e cilestri miniaturali, il cielo allucinato creare, con le sue luci sanguigne, il <<mistero sacro>> della Deposizione, così come l’argento fosforico aveva determinato, nella prima opera del Foppa, il <<mistero sacro>> della Crocifissione” (Wittgens F., La pittura lombarda nella seconda metà del Quattrocento, in Storia di Milano, VII, Treccani, Milano 1956, p. 788).
E anche se non si parla direttamente di poesia, qual’è, se non quella poetica, la chiave di lettura fornita da Rossana Bossaglia: “[Bergognone] Riconoscibile, infine, per quel velo di paziente malinconia che percorre l’espressione dei suoi tanti, indimenticabili personaggi” (Rossana Bossaglia, Bergognone, Il trionfo della malinconia, recensione mostra Pavia, Corriere della sera 2.4.1998).
Il pregio del Cristo in Pietà Cagnola non risiede però solo nella sua capacità di comunicare sensazioni.
Pur nella sua semplicità si tratta di un’opera ardita, realizzate secondo un progetto iconografico che non ha precedenti.
Basta pensare a come il tema del Cristo in Pietà (Imago Pietatis) sia stato svolto (nota 1) per dichiararne l’assoluta novità e originalità.
Su questo si innesta un tema ancora più particolare.
Nel suo saggio relativo al Cenacolo di Leonardo, contenuto in Cene ultime dai mosaici di Ravenna al Cenacolo di Leonardo, Luca Frigerio fa notare che le mani di Cristo “… sono raffigurate in modo sorprendentemente diverso, cioè in due posizioni differenti: la mano destra, col palmo rivolto verso la tavola, la mano sinistra col palmo verso l’alto (…) proprio per illustrare i due distinti momenti sacramentali, quello della consacrazione (in cui Gesù prende il pane e il vino: ed è il gesto della mano destra) seguito da quello della distribuzione (quando il Signore offre il suo corpo e il suo sangue: ed è il gesto della mano sinistra)”.
Poco dopo, lo stesso Frigerio cita espressamente il Cristo in Pietà Cagnola parlando di “… una piccola tavola conservata nella collezione di Villa Cagnola a Gazzada che mostra le mani dell’Uomo dei dolori nell’identica posizione di quelle del Cristo nel Cenacolo di Leonardo!” (Luca Frigerio, Cene ultime dai mosaici di Ravenna al Cenacolo di Leonardo, Ancora, Milano 2011, p. 222 nota 65).
Poco cambia che, nel Cristo in Pietà della Cagnola la mano che prende sia la sinistra e quella che offre la destra. Ciò che conta è la sottolineatura del significato eucaristico dell’opera, già evidente nella posizione del Cristo che si offre sull’altare costituito dalla lastra su cui siede.
Sorprende inoltre come il Cenacolo, di cui è innegabile la portata innovativa, sia databile attorno al 1497, mentre il Cristo in Pietà di Gazzada viene ormai quasi concordemente riferito al 1480 circa.
Suggestivo, ma poco verosimile che Leonardo abbia visto la piccola opera del Bergognone nella cella di un monaco (nota 2) e che possa averne tratto ispirazione, tuttavia anche questo elemento contribuisce ad accrescerne il fascino e l’interesse (nota 3).
NOTE
[1] Vedi l’articolo Iconografia dell’Imago Pietatis (aprile 2017) [Leggi].
[2] È stato più volte ribadito da Nadia Righi (vedi bibliografia) come il monaco raffigurato sulla sinistra del dipinto in questione non sia un certosino, come riportato da più parti, bensì un olivetano. Si pensa che tra le due abbazie olivetane presenti all’epoca in Lombardia, Santa Maria di Monteoliveto a Baggio e Santa Maria Incoronata di Nerviano, questa seconda potrebbe essere quella il cui priore avrebbe commissionato la tavola ad Ambrogio da Fossano, dal momento che proprio per Nerviano nel 1522, un anno prima di morire, il Bergognone realizza la pala dell’Assunta, oggi alla Pinacoteca di Brera di Milano.
[3] Che Leonardo potesse aver cercato un confronto con i pittori attivi a Milano pare testimoniato da quanto riporta Giovanni Paolo Lomazzo secondo il quale Leonardo, per “non poter dar compimento e perfezione” al volto di Cristo nell’Ultima cena, “se ne andò a consigliarsi con Bernardo Zenale” (riferito con qualche perplessità da Antonio Mazzotta, Leonardeschi. Leonardo e gli artisti lombardi, inserto Artedossier, Giunti, Firenze, aprile 2014).
Bibliografia
-Cagnola G., Intorno a Bergognone, Rassegna d’Arte Antica e Moderna, 1914, XIV, p. 219-221. Ojetti U.-Dami L., Atlante di storia dell’arte italiana, II, Treves, Milano 1934.
-Springer A.- Ricci C. (aggiornato da Carlo Gamba), Manuale di Storia dell’arte, III, Il Rinascimento in Italia, IDAG, Bergamo 1940.
-Mottini G. E., Storia dell’arte italiana, II, Mondadori, Milano 1949.
-Marangoni M., Come si guarda un quadro, Vallecchi, Milano 1954.
-Wittgens F., La pittura lombarda nella seconda metà del Quattrocento, in Storia di Milano, VII, Treccani, Milano 1956.
-Berenson B., I pittori italiani del Rinascimento, Phaidon, Londra-Sansoni, Firenze, 1957.
-Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, Silvana, Milano 1958.
-Castelfranchi Vegas L., Italia e Fiandra nella pittura del Quattrocento, Jaca Book, Milano 1983
-Marani C.P., Per la formazione del Bergognone una traccia, in Ambrogio Bergognone. Acquisizione, scoperte e restauri, a cura di Pietro C. Marani e Janiche Shell (catalogo mostra Brera, Cantini, Firenze 1989).
-Shell J., Bergognone, una nuova biografia, in Ambrogio Bergognone. Acquisizione, scoperte e restauri, a cura di Pietro C. Marani e Janiche Shell (catalogo mostra Brera, Cantini, Firenze 1989).
-Testori G., La realtà della pittura. Scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Seicento, Longanesi, Milano, 1995.
-Righi N., in AAVV, La collezione Cagnola. I dipinti, Nomos, Busto A., Va, 1998 [Righi 1998a].
-Righi N., in Ambrogio da Fossano detto il Bergognone. Un pittore per la Certosa a cura di G. Carlo Sciolla, Skira, Milano 1998 p. 156 [Righi 1998b].
-Frigerio L., Cene ultime dai mosaici di Ravenna al Cenacolo di Leonardo, Ancora, Milano 2011.
-Righi N., in Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell’Europa a cura di Mauro Natale e Serena Romano (catalogo mostra Milano 12.3-28.6.2015), Skira, Milano 2015.
(*) Questo testo è stato tratto da una lezione tenuta nella Biblioteca di Villa Cagnola a Gazzada (Va) il 15 febbraio 2017.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, luglio 2017
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