La Wilkens-Clementi a Casalecchio di Reno. Dai lineamenti storici della manifattura alle punzonature utilizzate nella marcatura degli oggetti d’argento
di Gianni Giancane
Premessa
Nel punto 6 del precedente lavoro a mia firma Particolari punzonature in area italiana. Individuazione e metodi di indagine (aprile 2020) [Leggi], a proposito del set di posate “modello San Marco”, si legge: …la Wilkens alla guida della Clementi, con la struttura produttiva della quale Michelangelo ne divenne quasi subito il rappresentante italiano.
Subito dopo, però, riferivo di “… un’ulteriore, doverosa, precisazione …”.
Infatti …
La storia dell’insediamento del colosso germanico in Italia, a Casalecchio di Reno (Bo), il ruolo di Michelangelo Clementi e le vicissitudini dei primi decenni, con tutte le problematiche storico-politico-economiche del periodo, che volenti o nolenti condizionavano il processo evolutivo della manifattura, risultano piuttosto complesse e articolate, con continui “adattamenti in corso d’opera”, una sorta di forzato “work in progress”, ma in un clima relazionale di eccezionale correttezza, stima e convergenze d’idee tra i partner, elementi questi non proprio consueti altrove.
Pochi ma significativi i documenti storico-archivistici a noi oggi pervenuti e pregevole, oltre che particolarmente utile, risulta una pubblicazione di Barbara Rambaldi dal titolo Wilkens, Clementi, Mantel, Buccellati. Cent’anni di argenteria a Casalecchio di Reno, che riassume le vicende salienti della manifattura, e al quale si fa esplicito riferimento per quanto riportato nella stesura del presente lavoro.
E già la comparsa nel titolo di nomi nuovi quali Mantel e Buccellati potrebbe indurre una certa curiosità …
Schema cronologico degli eventi, dagli inizi ad oggi
Nelle righe sottostanti vengono declinate in ordine “crono-sequenziale” le principali linee evolutive della manifattura, privilegiando quegli aspetti particolari, che legati ai molteplici fattori condizionanti, ne consentano un’opportuna lettura critica e consapevolezza dei fatti [Figura 1, nota 1].
Figura 1. Alcuni aspetti della fabbrica nei vari periodi storici e di uno dei suoi artefici principali, Giovanni Mantel, che godeva anche del “grado onorifico” di Commendatore (fonte Archivio e pagina Fb Casalecchio).
La nascente idea intorno al 1910
Martin Wilkens (Brema, 10.02.1850 – Hemelingen, 03.01.1937), figlio di Diedrich W. (Brema, 11-10-1811 – Hemelingen, 09.05.1876) e pronipote del fondatore della Wilkens & Söhne, Martin Heinrich Wilkens (Brema, 21.11.1782 – Hemelingen, 08.05.1869), decide di impiantare una fabbrica di argenterie in Italia individuando Bologna (ancor più la città di Casalecchio di Reno) e Michelangelo Clementi quali punti fondamentali del “progetto”: Clementi, perché questi era il rappresentante italiano della ditta tedesca; Bologna, per ragioni territoriali di appartenenza (e residenza) dello stesso e per l’ubicazione geografica della città felsinea, ritenuta di strategica importanza.
Primi contatti a Casalecchio
Nel gennaio del 1912, a nome della Wilkens & Söhne, l’ingegnere Ettore Lambertini, notifica al Comune di Casalecchio la proposta di realizzazione di un opificio nel territorio comunale adducendo fondanti motivazioni di ordine economico-commerciale che avrebbero apportato benessere e ricchezza futuri alla comunità, ma con la contestuale richiesta della Wilkens di essere esonerata, per un determinato periodo di tempo, da tutta una serie di tributi locali.
Il Consiglio Comunale e la Giunta Provinciale, contrapposizioni
Nel febbraio del 1912 il Consiglio Comunale esprime parere favorevole alla proposta tedesca, intravedendo importanti opportunità per la realtà territoriale, ma nel mese di marzo, la Giunta Provinciale di Bologna manifesta tutt’altra idea, trovando punti di forte criticità tanto nel mancato pagamento di tributi (creando in tal modo un pericoloso “precedente”), quanto nella modesta conoscenza delle effettive referenze della W. Il Consiglio di Casalecchio, verso la fine del mese, ritornando in parte sui suoi passi, si orienta verso un parziale, invece che totale, “esonero tributario”, ribadendo comunque gli enormi vantaggi che deriverebbero da un simile impianto, di tipo industriale, il primo in Italia (eliminando pertanto una probabile “concorrenza” vista nella città di Firenze), a sostegno dell’occupazione locale e dei connessi benefici.
L’influenza del Lambertini e la svolta
L’ingegnere mediatore fornisce al Comune le referenze che, “dubitate” dalla Giunta Provinciale, risultano invece altamente qualificanti, notificando inoltre l’ipotesi di avvio della Wilkens in Italia con un capitale iniziale di 250.000 lire e l’assunzione di una quarantina di operai autoctoni. Il sindaco di Casalecchio, ad informazioni acquisite ed appellandosi ad una vecchia normativa del 1909 in favore dell’installazione sul suolo comunale di nuovi opifici esentati da imposte, notifica il tutto alla Giunta Provinciale che il 27 aprile del 1912 ne prende atto approvando in delibera.
La fase realizzativa del contenitore e l’avvio della produzione
Forte del felice esito della vicenda, il 3 maggio Martin Wilkens esprime al Sindaco di Casalecchio, attraverso una missiva, la sua gratitudine; nel comune bolognese iniziano, susseguendosi per tutto l’anno, i lavori per la realizzazione dell’opificio e già dal 1° dicembre 1912 (come risulterebbe da un documento datato 27 febbraio 1914, di denuncia tardiva) viene avviata l’attività con la denominazione di “Felsinea” Fabbrica Italiana Posate d’Argento di M. H. Wilkens e Figli (dall’originale denominazione della casa madre M. H. Wilkens & Söhne). Il primo operaio ad essere assunto (nota 2), Olindo Cavalieri, viene mandato in Germania per seguire un apposito corso di formazione, mentre nel 1913 arriva a Casalecchio Hans Mantel (Amburgo, 1891 – Casalecchio di Reno, 10.03.1964), quale direttore amministrativo dell’azienda. Intanto, Martin W. sin dall’ottobre del 1912 aveva nominato “mandatari”, il figlio Martin-Heinrich W. (Hemelingen, 26.09.1888 – Brema, 03.06.1966), insieme ai signori Reinhard Kock e Max Carl Ulbricht.
Lo scoppio della Grande Guerra
L’avvio delle operazioni belliche segna la svolta significativa per le sorti della manifattura. Infatti, il ritorno forzato in Germania dei “vertici direttivi” dell’azienda induce gli stessi ad individuare nella figura di Michelangelo Clementi il leader, formale e sostanziale, cui affidare l’intera attività gestionale (nota 3). Il passaggio ufficiale si desume da un documento a scrittura privata del 10 maggio 1915 e depositato a posteriori presso la Camera di Commercio il 5 luglio, per quanto sin dal 18 agosto del precedente anno Kock ed Ulbricht avessero già conferito al Clementi “mandato di procura”.
Assunte le redini della manifattura, egli diventa di fatto il direttore della neonata “Felsinea” Fabbrica Italiana Posate d’Argento di Michelangelo Clementi.
La nuova attività e gli “accordi segreti tra gentiluomini”
L’anno successivo, in un contesto storico in cui diventa, per altro, vietata qualsiasi attività imprenditoriale ai cittadini tedeschi sul suolo italico, a seguito di accordi segreti tra la parti, Michelangelo Clementi diviene (teoricamente) l’unico proprietario dell’opificio, laddove M. Wilkens (concretamente) garantisce, grazie ad intermediari elvetici, capitali e materie prime. Onde fugare qualsiasi dubbio sulla liceità dell’operazione, la ditta assume il nome di “Fabbrica Argenteria Clementi di Michelangelo Clementi & C.”. Verso la fine del 1916, il 28 novembre, Clementi notifica alla Camera di Commercio le motivazioni che lo “avrebbero portato” ad effettuare una necessaria variazione all’azienda, riconducendole ad esclusiva iniziativa personale, mirante ad accrescere il lustro dell’operatività locale. La fabbrica, intanto, nel periodo che va dall’agosto del 1915 alla fine del 1918, per contingenti e comprensibili necessità, affianca alla produzione di argenterie anche quella di materiale bellico, “dischi di ottone per inneschi, modello 912” (Rambaldi, opera cit. pag. 10).
Gli anni Venti
Finita la guerra e in un quadro di sopraggiunta normalizzazione dei rapporti internazionali, Mantel ed Ulbricht, tornati in Italia, riprendono i precedenti ruoli dirigenziali. Dagli inizi del decennio si assiste ad una ripresa significativa della produzione, alcuni operai si muovono all’estero per apprendere nuove tecniche, per quanto proprio tra il 1920 ed il 21 corrono voci di una chiusura della ditta che allarma non poco la comunità di Casalecchio a tal punto da far intervenire il Sindaco. Come mai? Michelangelo Clementi dichiara in effetti chiusa la fabbrica in data 23 novembre 1921 (documento del 05.12.1921), ma solo per una contemporanea sostituzione della vecchia con una nuova azienda, un semplice subentro di persone e capitali.
Nasce così al posto della “Fabbrica Argenteria Clementi di Michelangelo Clementi & C.” la nuova “Fabbrica di Argenteria Michelangelo Clementi & C.”, con l’ingresso di Martin-Heinrich Wilkens, figlio di M.W., nella società, con durata di vent’anni sino al 31.12.1941 (nota 4). La fabbrica negli anni Venti annovera 57 operai (25 maschi e 32 femmine) ed incrementa la produzione con esportazione dei prodotti anche all’estero.
Il rientro del vecchio proprietario, Martin Wilkens e l’onestà di M. Clementi
Nel 1929 Hans Mantel, che insieme ad Ulbricht godeva della “procura” sin dall’atto della costituzione della nuova società nel 1921, diviene Amministratore della ditta mentre si registra un nuovo cambio di proprietà, con Martin Wilkens che formalmente ritorna proprietario (pur essendo rimasto sempre tale nel concreto…). Clementi, pur forte del “legale” atto di acquisizione con l’azienda a lui intestata, si dimostra talmente leale e corretto nei confronti del tedesco, da cedere senza “esitazione alcuna” la ditta, ed in cambio di siffatta lealtà e serietà riceve da Martin Wilkens una partecipazione all’impresa pari al 25% oltre alla conferma della denominazione della fabbrica con il suo nome, la “Fabbrica di Argenteria Michelangelo Clementi & C.”.
Stili di vita dei tempi andati, dove un’“autentica stretta di mano” tra gentiluomini valeva molto più di mille contratti …
Gli anni Trenta, verso una nuova era
Nel frattempo, siamo nel 1930, Mantel, ormai stanziale in Casalecchio, ottiene la cittadinanza italiana cambiando il nome di Hans con Giovanni, episodio questo di non poco conto, anche per gli sviluppi futuri della Clementi. Michelangelo, infatti, tra il 1934 e l’anno successivo si ritira dall’attività ed alla morte, sopraggiunta nel 1937(?), la sua “fetta azionaria” viene rilevata proprio dal Mantel, che a partire da questo momento, diventa la pietra miliare dell’opificio. Nel 1937, il 25 marzo, Mantel e Martin-Heinrich Wilkens fondano la nuova società con il nome di “Fabbrica Argenteria Clementi di Giovanni Mantel & C.” (nota 5), lasciando il nome Clementi in riconoscimento della preziosissima e fondamentale opera da questi svolta per la manifattura germanica sin dal 1912. Inizia contestualmente anche una fase espansionistica in Italia con l’apertura di “filiali” a Milano e Roma. Verso la fine del decennio, tuttavia, gli incipienti eventi bellici inducono Giovanni Mantel a conferire “procura” alla sua segretaria, figura di rilievo nell’azienda, Jole Cuppini.
La Seconda Guerra Mondiale
All’inizio del periodo, siamo nella primavera del 1941, Giovanni Mantel è indotto a far costruire un rifugio sotterraneo, costruzione che egli caldeggia e per la quale sollecita estrema urgenza, onde salvare le maestranze dagli attacchi aerei, e che di fatto viene realizzata (presumibilmente) entro la fine dell’anno. Fino all’aprile del 1944, malgrado gli eventi bellici in essere, il lavoro in fabbrica procede senza grossi problemi restando assicurati i rifornimenti ai molteplici acquirenti sparsi sul territorio nazionale, ma da questo momento in poi i gravi attacchi aerei su Casalecchio, quello del giugno del ’44 e quello ancor più grave di ottobre, non risparmiano la fabbrica che subendo gravissimi danni è costretta a sospendere qualsiasi attività, attività che sarà poi ripresa solo nel novembre del 1945.
I primi anni del dopoguerra
Alla fine del 1945 lo stabilimento (o meglio le macerie dello stesso…) viene posto sotto sequestro. Infatti, il passaggio della Germania da alleata ad avversaria e gli esiti del conflitto, inducono la Stato italiano a requisire qualsiasi bene dei tedeschi sul suolo italiano e pertanto anche nei confronti di Martin-Heinrich Wilkens viene riservato tale “trattamento”, non così verso Giovanni Mantel, ormai cittadino italiano. Egli pertanto avvia, seppur tra numerose difficoltà legate anche alla contestualizzazione del difficile momento (nota 6), la ricostruzione dell’opificio. Tra la fine del 1947 ed il giugno del ’48 vengono risolti i problemi burocratici, si scioglie la società in atto, Mantel rileva la quota di Martin-Heinrich Wilkens, e nel giugno del 1948, con un capitale iniziale di un milione di lire e conservando rigorosamente la denominazione di “Fabbrica Argenteria Clementi di Giovanni Mantel & C.”, prende corpo la nuova attività.
A partire da questo momento Giovanni Mantel diviene l’unico vero proprietario della fabbrica (nota 7).
Dagli anni Cinquanta ai tempi recenti
Gli anni Cinquanta vedono innanzitutto una rimodulazione societaria, la Clementi diventa una S.P.A., con Giovanni Mantel alla presidenza, e Jole Cuppini e Marco Martelli consiglieri (24.04.1951); inoltre si registrano: un ingrandimento delle strutture edilizie, un incremento significativo delle attività produttive, l’aumento del capitale sociale (che in pochi anni arriverà a ben 40 milioni), e l’allargamento significativo dei mercati. Nel 1955, su iniziativa del Presidente, viene bandito un interessante concorso per giovani argentieri i cui esiti inducono Giovanni Mantel a devolvere in beneficenza i premi in denaro previsti, non attribuiti per mancanza del numero minimo dei partecipanti (conditio sine qua non: venti unità concorrenti).
Il 10 marzo del 1964 scompare Giovanni Mantel, considerato all’unisono figura di grandissimo spessore umano e professionale, viene rimpianto da tutti, dalle maestranze all’intera comunità di Casalecchio di Reno.
Marco Martelli diviene Presidente ricoprendone la carica sino al 1968, sostituito successivamente dall’ Ing. Giulio Andina, che già nel 1947 aveva realizzato i progetti per la ricostruzione della Fabbrica. Fino alla metà degli anni Settanta la produttività e i riscontri economico-commerciali restano buoni, ma da questo periodo in poi inizia un processo di rallentamento, di difficoltà economiche con alterni incrementi e decrementi di capitali ed apertura della ditta alla realizzazione di oggetti anche al di fuori della produzione argentiera, per poter allargare i mercati fornendo un più ampio ventaglio di offerte.
Nel 1984 cambia ancora la denominazione sociale e la ditta si presenta come: “Clementi Fabbrica Argenteria di Giovanni Mantel e C.”, divenendo una S.r.l., ma il periodo è critico…
Si arriva così al 1987 quando la gloriosa azienda Clementi viene rilevata da Gianmaria Buccellati, figlio di Mario Buccellati, fondatore nel 1919 dell’omonima, importante e famosa azienda di Milano. Gianmaria Buccellati assume la presidenza della Clementi, mentre suo figlio Gino ne diventa l’Amministratore Delegato.
Poco più di un anno fa, il 17 dicembre del 2018, in un’ottica di riqualificazione urbana e miglioramenti produttivi, la storica sede della manifattura è stata spostata da Casalecchio di Reno nell’adiacente realtà territoriale di Zola Pedrosa.
Ma questa è un’altra storia.
Le diverse punzonature utilizzate ed un importante servizio di posate
Lo studio, a mia firma, del set di posate presentate nel lavoro citato in premessa ed al quale si rimanda, aveva evidenziato il ruolo della “pressa meccanica” quale logo, un vero emblema, presente tanto nei manufatti prodotti dalla Wilkens in Germania ad Hemelingen, sobborgo di Brema, tanto negli oggetti realizzati a Casalecchio di Reno.
Ma come si presentava sugli argenti italiani? Era usato da solo? era accompagnato da punzonature aggiuntive? cambiava nel tempo?
Tra l’altro, il susseguirsi degli eventi appena esposti, le continue variazioni di denominazione della manifattura, unitamente alle cangianti normative sulla punzonatura degli argenti, hanno contribuito a creare una certa confusione nella lettura delle stesse, non consentendone sempre una veloce e corretta attribuzione.
Ai dubbi ed alle domande ad essi strettamente connesse, cercheremo di fornire adeguate risposte analizzando i punzoni rilevati su alcuni oggetti tra cui un servizio di posate che confermerà precedenti ipotesi di lavoro.
Partiamo proprio con quest’ultima opera, nella quale gli aspetti stilistico-formali e composito-costruttivi legati a quello storico di provenienza ne rendono un interessante ed importante esempio di manufatti realizzati dall’opificio bolognese.
Il servizio Raeli
Il servizio, di proprietà M. Raeli in quel di Tricase, amena e rinomata cittadina sul versante orientale del Salento leccese, giunge ai nostri giorni attraverso lasciti ereditari di famiglia, il cui proprietario iniziale era un insigne pianista e musicologo, l’avv. Vito Raeli, del quale trovo doveroso tracciarne un breve profilo (Figura 2).
Figura 2. Vito Raeli agli inizi della sua carriera in una foto del 1908 a Roma (Accogli F. – Vito Raeli. Maestri Compositori Pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Miggiano (Le), Grafiche Salentine, 1990, pag. 19) e dedicata, probabilmente, alla sorella minore Maria, con firma autografa “Vituccio” (interpretando quanto appena leggibile in basso a destra).
Nato l’8 luglio del 1880 a Tricase, manifestò sin da piccolo un forte interesse verso la musica, e, malgrado la non condivisione dei genitori, i quali esperti giuristi da tradizione auspicavano per lui una brillante attività forense, studiò con passione pianoforte. Compì gli studi classici in Lecce dove contemporaneamente e magistralmente approfondì quelli di musica seguìto da valenti “Maestri” del settore con brillanti risultati. Affrontò anche gli studi universitari, Giurisprudenza a Napoli, ma pur conseguendone il titolo non volle esercitare la professione di avvocato prediligendo, come sempre aveva palesato, il mondo della musica. Trasferitosi a Roma nel 1905 perfezionò ancor più lo strumento, ed i risultati non tardarono a venire. Secondo quanto leggiamo in Accogli F. – Vito Raeli. Maestri Compositori Pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Miggiano (Le), Grafiche Salentine, 1990 – “… Sono questi gli anni che lo vedono ricercatore, conferenziere, pianista, concertista ed organizzatore di concerti. Socio e censore nel Consiglio Direttivo dell’Accademia Filarmonica Romana, membro del Comitato scientifico per le Celebrazioni Salentine di Lecce, socio del Centro di Studi Salentini e della Società di Storia Patria per la Puglia. Parallelamente svolge una fervente opera editoriale e partecipa a numerosissimi congressi regionali, nazionali ed internazionali di Storia e Critica musicale. Nel 1911, infatti, è Segretario al Congresso Internazionale di Musicologia…”. Sposatosi nel 1915, il 4 agosto, con Rosaria Virginia Maresca giovane nobildonna di Ostuni (Br), continuò una brillante carriera da pianista e nel 1916 divenne padre di Gisella.
La prematura e dolorosa morte della moglie nel 1924, a soli 32 anni, lo gettò nello sconforto profondo, tuttavia trovò la forza di reagire e fino al 1943 diresse la Rivista Nazionale di Musica da lui fondata nel 1920, continuando un’intensa attività di musicografo e musicologo, collaborando inoltre con Giovanni Treccani nella pubblicazione del Volume XXII dell’Enciclopedia Italiana” per la Storia della Musica.
Nel dicembre del 1959 dovette subire un’altra terribile disgrazia: morì a soli 43 anni l’unica figlia, Gisella, lascandolo solo, stanco e profondamente amareggiato. Si ritirò in seguito nella natìa Tricase, versando in condizioni economiche non proprio agiate, e dove, per usare un’espressione che fu cara a Costantino Bulgari, passò agli eterni riposi nel 1970.
Come appena visto, Vito morì senza eredi diretti, ma egli aveva due sorelle e tre fratelli; tra questi Alfredo, che fu padre di: Vera, Salvatore e Giovanni.
La figura di Vito Raeli, con la sua notorietà negli ambienti culturali della capitale, e non solo in quelli della Città Eterna, non poteva essere scevra da costellazioni a latere, forse meno “nobili” ma pur sempre di un certo rilievo.
In tali ambiti si inserisce il pregiato servizio, di cui ne vediamo una rappresentazione pro-parte [Figura 3], e che rappresenta uno dei tanti regali che egli e la giovane moglie ebbero quale dono di nozze, nel 1915.
Figura 3. Alcuni pezzi rappresentativi del bellissimo servizio “Raeli”. Realizzato per dodici persone, armonioso nelle linee, con prese terminali di forchette e cucchiai tendenzialmente fiddle (a violino) ma meno schematiche, sinuose nei raccordi allo stelo, offre decorazioni affidate ad un’elegante rivisitazione di più articolate linee settecentesche, con sobri motivi fitomorfi a campanule, palmette, foglie acantacee e girali intrecciati, sempre scanditi da rigida simmetria assiale sostenuta da parziale nervatura centrale. In tutti i pezzi un elegante decoro centrale ne esalta la piena espressività.
La conoscenza di tale notizia, dettaglio di non poco conto ai fini del presente studio, è a noi pervenuta grazie alla testimonianza diretta dell’attuale proprietario delle posate, il pronipote M. Raeli, figlio di Giovanni, che gentilmente ha fornito, tra l’altro, le foto delle posate ed al quale va il mio sincero “Grazie”.
In esse appare molto chiaro e ben definito il merco della “pressa”, tipico della Wilkens, associato al punzone 800 in cifre libere o riquadrato con la “pressa” accanto [Figure 4, 5, e 6], senza ulteriori punzoni, tranne che per la presenza su tutti i pezzi, ad eccezione dei coltelli, della parola Frugoni [Figura 7].
Figura 4. Il marchio della “Pressa meccanica” introdotto da Martin Wilkens a Casaleggio e mutuato dallo stabilimento di Bremen-Hemelingen in Germania.
Figura 5. Il punzone del millesimo, in questo caso 800/1000, a cifre libere ed incusso sui coltelli generalmente dalla parte opposta al merco della manifattura.
Figura 6. “Pressa” ed 800 racchiusi in unico riquadro a profilo rettangolare; a volte venivano apposti adiacentemente, ma senza riquadro alcuno.
Figura 7. La voce “Frugoni”, incussa su tutti i pezzi tranne i coltelli, e a destra tre campanule allineate lungo l’asse di sviluppo della posata; il tutto profilato da contorno mistilineo.
Si precisa subito come tale incisione (nota 8) non sia però un punzone (!); essa rappresenta a scopo pubblicitario il nome del committente iniziale, la ditta Frugoni di Roma, alla Wilkens-Clementi di Casalecchio, onde commercializzarlo nel suo punto vendita, lo storico negozio sito all’epoca in via Arenula 83 e nel quale è stato poi acquistato nel 1915 il servizio.
Pertanto, i due punzoni, la “pressa” e l’800, avallati dalla parola “Frugoni”, testimoniano una produzione della manifattura nel primissimo periodo della sua attività, e nella specificità del caso, ai tempi della “Felsinea” Fabbrica Italiana Posate d’Argento di Michelangelo Clementi.
La combinazione del logo della Wilkens e delle cifre 800 nelle diverse forme di apposizione è avvenuta nel periodo che va dal 1912 (quasi sicuramente dai primissimi pezzi) fino alla fine del 1934 ca. (come stiamo per vedere).
Tale risultato rafforza, se mai ce ne fosse bisogno, quanto individuato e riferito a proposito delle Posate San Marco, oggetto pro-parte dell’articolo Particolari punzonature… (citato in premessa), confermando la loro realizzazione nel periodo supposto 1912-35.
Ma non fu questa la sola tipologia di marcatura dei preziosi.
Michelangelo Clementi nella prima metà degli anni Trenta deposita due punzoni con la “Marca Pressa” (nota 9): uno il 29 agosto 1932, ore 11, presso il “Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa di Milano [Figura 8], ma in particolare un altro il 22 novembre 1934, ore 11, presso il “Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa di Bologna [Figura 9].
Figura 8. Il Marchio, o “Segno distintivo di fabbrica” depositato da Michelangelo Clementi il 29.08.1932 come risulta dall’atto n° 46884 registrato in data 26.01.1934 sul “registro generale dei marchi” (fonte dati.acs.beniculturali.it › oad › uodMarchi).
Figura 9. Il Marchio, o “Segno distintivo di fabbrica” depositato da Michelangelo Clementi il 22.11.1934 come risulta dall’atto n° 51090 registrato in data 26.01.1934 sul “registro generale dei marchi” (fonte dati.acs.beniculturali.it › oad › uodMarchi).
Il primo è ancora l’ormai famosa “pressa” e che pertanto assicura per tutto il periodo tra l’estate del ’32 e la deposizione del secondo punzone verso la fine del ’34, una sorta di continuità con quanto punzonato in precedenza sin dagli inizi, ai tempi della “Felsinea” Fabbrica Italiana Posate d’Argento di M. H. Wilkens e Figli.
Nel secondo, invece, compaiono le iniziali M e C ai lati della “pressa”, in perfetta “sintonia” con una sorta di “rafforzamento concettuale di visibilità esterna”, quasi a voler sottolineare la proprietà della manifattura (pur appartenendo essa a Wilkens nel concreto), poco prima di ritirarsi dall’attività (come riferito nel precedente paragrafo, tra la fine del 34 e l’anno successivo).
Questo merco non compare praticamente mai insieme alla cifra 800, libera o riquadrata, e senza ulteriori punzoni; vediamo perché.
Forchetta Déco
Occupiamoci di una forchetta del tardo periodo Déco [Figura 10] la cui punzonatura apporta un ulteriore arricchimento alle nostre conoscenze.
Figura 10. Forchetta anni Trenta, mistilinea nell’espressività, racchiudendo stilemi ancora Liberty mescolati ad una pronuncia globale più vicina all’Art Déco.
Con la nuova normativa sulle punzonature (obbligatorie) del Regno d’Italia, legge 305 del 5 febbraio 1934 e successivo regolamento 2393 del 27 dicembre dello stesso anno, a partire dal 25 aprile del 1935 appare l’elemento nuovo della losanga, della sigla provinciale sede dell’opificio, del fascio littorio, di una matricola di riferimento, e del millesimo (titolo dell’argento) in ovale (nota 10).
Ora tra il merco depositato da Clementi nel novembre del 34 e l’introduzione della punzonatura obbligatoria (definiamola “punzone fascio”) sugli oggetti d’argento, trascorre così poco tempo da ipotizzare con congrua probabilità che accanto al primo si debba trovare sempre il secondo, cosa questa che puntualmente si verifica.
Infatti, malgrado lo scrivente abbia potuto esaminare tantissimi oggetti realizzati dalla manifattura in questo periodo, non ha mai reperito, neppure un solo pezzo (almeno sino ad oggi) con il punzone del 1934 isolato, avendolo sempre incontrato unitamente al punzone “fascio” (o ad altri), come puntualmente si verifica nella forchetta qui pubblicata [Figura 11], a conferma di quanto riferito poco sopra.
Con l’istituzione della losanga, fu assegnato alla Clementi il numero 1, perché la prima ditta attiva a Bologna e/o nella provincia [Figura 12].
Una curiosità: come nel servizio Raeli, anche questo oggetto è stato realizzato su committenza “esterna”, in questo caso la prestigiosa ditta Calderoni di Milano.
Figura 11. Retro della forchetta con il merco dell’argentiere e punzone 800 in basso a sinistra; losanga e nome del committente (Calderoni) incussi a destra. Il merco, pur non nitido, presenta chiaramente leggibili la lettera M ed il simbolo della “pressa”, mentre la lettera C sembrerebbe “traslocata” quasi una sorta di rototraslazione verso N E dovuta alla battuta, parzialmente sovrapposta del punzone 800. In ogni caso tale battuta avrebbe coperto comunque parte del merco, e quella che sembrerebbe una lettera C, potrebbe anche essere uno zero, quale parte di una seconda battuta (doppia battuta) del punzone del millesimo.
Figura 12. Il punzone “fascio”, come viene comunemente chiamato dagli addetti ai lavori.
Cucchiaini
L’ultimo manufatto preso in considerazione è un gruppo di tre graziosissimi cucchiaini [Figure 13 e 14] che ci consentono di aggiungere un ulteriore tassello conoscitivo.
Figura 13. Insieme di tre cucchiaini realizzati intorno alla metà del XX secolo. Molto eleganti, affidano la decorazione esclusivamente alla parte della “presa”, nella quale da uno splendido motivo floreale, rifinito con sapiente maestria, si dipartono delicate nervature con riccioli terminali scanditi da tre ordini sovrapposti, quasi ad imprimere, il tutto, forza e slancio verso lo stelo e la conca.
Figura 14. Retro delle posate, con la decorazione affidata esclusivamente alla delicata flessuosità delle nervature ed ai riccioli in corrispondenza della presa; punzonatura al centro dello stelo.
Il Decreto Legislativo Luogotenenziale n° 313 del 26 ottobre 1944 – Soppressione del fascio littorio dallo stemma dello Stato e dai sigilli delle pubbliche amministrazioni e dei notai. (G.U. n.84 del 21-11-1944), istituiva di fatto un nuovo punzone, che sostanzialmente risultava modificato solo per la mancanza del fascio littorio nella losanga, elemento di modesta rilevanza da un punto vista grafico-compositivo, ma enorme da quello storico-espressivo-motivazionale, visiti gli sviluppi in essere della Guerra.
Nei cucchiaini troviamo il merco depositato da Clementi dieci anni prima nel 1934, e che la nuova “Fabbrica Argenteria Clementi di Giovanni Mantel & C.” fondata nel 1937 da G. Mantel e Martin-Heinrich Wilkens (vedi sopra), continua con splendida eleganza comportamentale ad utilizzare.
Accanto a tale merco compare incusso il millesimo ed il punzone 1 BO in losanga [Figura 15]. Questa tipologia di punzonatura sarà utilizzata dalla manifattura fino al 1971 (nota 11).
Figura 15. Dettaglio dei punzoni presenti. A sinistra il merco della manifattura che rimane quello con M, C, e “pressa”; al centro, quasi in tutt’uno il punzone del millesimo (800/1000), mentre a destra il nuovo punzone “losanga” che, pur conservando uguale profilo geometrico, non presenta più il fascio littorio al centro.
Tabelle conclusive di riepilogo
Per una più veloce e facile lettura, sono state racchiuse sinotticamente le variazioni nomenclative della Fabbrica negli anni, nonché i merchi e punzoni usati, utilizzando gli stessi che appaiono sugli oggetti inediti pubblicati nel precedente articolo Particolari punzonature… citato in premessa e nel presente contributo.
Una semplice ma opportuna considerazione.
Durante gli anni della manifattura, fermo restando lievissime varianti (più apparenti che reali) che potevano presentarsi, ad esempio, per la sostituzione di punzoni logori con altri nuovi, le marcature seguivano comunque i dettati normativi di riferimento (almeno dal 1935), che pertanto assicurano l’individuazione di un pertinente alveo da percorrere nello studio dei manufatti argentei italiani in generale, e casalecchiesi nello specifico, quanto meno a partire da questo periodo.
Si vuol ribadire anche in questa sede, in ogni caso, la necessità di un’idonea pratica investigativa quale strumento ottimale d’indagine e/o ricerca.
Ricordiamo, infatti, come nello studio di un oggetto d’argento, sia sempre importante individuare nell’opera gli aspetti stilistico-formali, unitamente a quelli composito-costruttivi, ed utilizzare, contestualmente o successivamente, merchi e punzoni per confermare o dissociarsi da un’ipotesi di lavoro, ovviamente basata su propedeutiche e necessarie conoscenze pregresse.
Variazioni nominative della Manifattura nel tempo
1.“Felsinea” Fabbrica Italiana Posate d’Argento di M. H. Wilkens e Figli (1912-1915)
2.“Felsinea” Fabbrica Italiana Posate d’Argento di Michelangelo Clementi (1915-1916)
3.“Fabbrica Argenteria Clementi di Michelangelo Clementi & C.” (1916-23.11.1921)
4.“Fabbrica di Argenteria Michelangelo Clementi & C.” (1921-23.3.1937)
5.“Fabbrica Argenteria Clementi di Giovanni Mantel & C.” (25.3.1937-1984)
6.”Clementi Fabbrica Argenteria di Giovanni Mantel e C.” (1984-1987)
7.“Gianmaria Buccellati” (1987 – ).
Riepilogo merchi e punzoni utilizzati dal 1912 al 1971
Ricordiamo che per merco si intende il “logo” dell’argentiere, mentre il punzone è quello di Stato (qui il millesimo e la losanga).
1912-1935
Possibili punzonature in tutto il periodo, fino alla comparsa del punzone “fascio” e pertanto usate anche da Martin Wilkens sin dai primi manufatti costruiti a Casalecchio di Reno [Figure A e B].
Figura A. “Marca Pressa” e 800 separati.
Figura B. “Marca Pressa” e 800 in contorno rettangolare.
1935-1944
Note:
– i due merchi devono comparire entrambi;
– il millesimo poteva essere apposto in qualsiasi punto dell’oggetto, non necessariamente inserito nel merco, o accanto ad esso, come in questo caso;
– il merco con le iniziali M C resterà tale anche nel successivo periodo [Figure C e D].
Figura C. Losanga con 1, fascio littorio e BO (Bologna).
Figura D. “Pressa” tra le iniziali M e C con 800 in profilo ovale.
1944-1971
Note:
– rimane il merco del periodo precedente, qui presentato nella foto (a sx); anche il millesimo non subisce variazioni di rilievo, potendo cambiare leggermente il profilo ovale che lo racchiude;
– cambia la losanga, dove rimangono a sinistra il numero distintivo della ditta (per la Clementi il n° 1), a destra la sigla provinciale BO.
Come si nota sparisce il fascio littorio [Figure E e F].
Figura E. Punzonatura completa su un manufatto del periodo.
Figura F. Punzone “losanga” con 1 e BO (Bologna), senza fascio al centro.
NOTE
[1] Gran parte delle notizie in sintesi riportate nel presente paragrafo sono tratte dal prezioso contributo della Rambaldi citato in premessa, ed al quale si rimanda per qualsiasi approfondimento incuriosisca il lettore.
[2] Secondo quanto riportato a pag. 8 del succitato lavoro, pare sia stato proprio Michelangelo Clementi ad assumere il Cavalieri.
[3] In realtà sotto una forma di locazione della durata di tre anni, eventualmente rinnovabile.
[4] Il capitale sociale ammonta a 250.000 lire (per mera curiosità equivalenti a circa un milione di euro oggi!), sulla carta (quindi teoricamente) ripartiti con 150.000 in denaro contante e materiali da parte di Wilkens, mentre Clementi partecipa con beni mobili ed immobili: le macchine, l’opificio, il terreno a copertura dei restanti 100000 (ovviamente sulla carta, perché di fatto è tutto di proprietà germanica…). Inoltre, le parti concordano che alla morte del Clementi i suoi familiari non gli potranno subentrare, potendo invece i Wilkens rilevare la quota di Michelangelo con la contropartita di un terzo del valore della ditta.
[5] Nella nascente società, Giovanni Mantel partecipa con i capitali liquidi, mentre M-H. Wilkens assicura materie prime (argento grezzo); inoltre, come già avvenuto per il precedente, anche nel nuovo sodalizio, gli eredi di Mantel non potranno mai subentrare, a differenza degli Wilkens che ne conservano piena facoltà. Nel frattempo, il 3 gennaio del 1937 era venuto a mancare Martin Wilkens, suo padre, l’uomo che nel 1912 era “sceso” in Italia per fondare la manifattura.
[6] Passeranno lunghi mesi, tutto il 1946 e gran parte dell’anno successivo, prima di riavviare la produzione in alcune strutture temporanee di emergenza (capannoni), in attesa della costruzione di un nuovo contenitore che offra tutte le garanzie di necessario ammodernamento ed adeguamento alle sopraggiunte esigenze logistiche.
[7]
Nel punto 6 del lavoro Particolari punzonature … richiamato in premessa, avevamo visto, secondo quanto riportato nell’articolo di Nicodemo Mele sul “Resto del Carlino Bologna” in data 4 febbraio 2012, che …la Wilkens restò alla guida della manifattura sino al 1968-69…, informazione questa desunta da un’intervista fatta dallo stesso giornalista a Gino Buccellati, dalla quale però emergono alcune incongruenze e conseguenti perplessità (ecco perché subito dopo parlo di “ …doverose precisazioni…”).
Ora sul lavoro della Rambaldi, da cui attingiamo le preziose informazioni oggetto del presente contributo, non c’è menzione alcuna di tale avvenimento (anni ‘68-69 quale abbandono della Wilkens), anzi di Martin-Heinrich W., dopo il 1947-48, non se ne parla più!
Un’analisi critica mirata e conseguente logica deduttiva mi porta a ritenere attendibile e più che plausibile questa seconda ipotesi, tra l’altro fortemente avallata, dopo ulteriori ed approfondite ricerche, da quanto riportato su un importante lavoro di Lena Fellmann:
-200 Jahre Wilkens Bremer Silberwaren, Zur Geschichte eines bremischen Familienunternehmens [200 Anni di argenteria della Wilkens di Brema. La storia di un’azienda familiare con sede a Brema] – in “Bremisches Jahrbuch”, Vol 89 (anno 2010), p. 167-229, dove a pag. 227, a proposito dell’“Esperienza italiana della Wilkens, si legge:
Ende (Fine); Vorgang (diremmo: motivazione dell’evento), Beschlagnahme (Beteiligung abgeschrieben) Sequestro (cessazione della partecipazione); correva l’anno 1947, quindi …
Il lavoro della Felmann ha inoltre consentito di attingere le preziose informazioni inerenti alla genealogia degli Wilkens.
[8] In realtà non si tratta di un’incisione, ma di una procedura alla quale in lingua italiana non corrisponde nessun termine. Dovrei parlare di “INCUSSIONE” (termine inesistente, ma quanto mai corretto e specifico sarebbe in questo caso!) Per le differenze tra inciso, incusso, stampigliato, già dallo scrivente presentate ai lettori di Antiqua in Fiori e decori in quel di Meissen (ottobre 2018) [], in particolare nota 1.
[9] Il logo della Wilkens, la famosa pressa meccanica, diviene per tutti la “Marca Pressa” (così definita per ovvi motivi) che diventa pertanto il sinonimo di Wilkens, Wilkens-Clementi, insomma della Clementi. Ne consegue, pertanto, il termine con il quale la manifattura è conosciuta in ambito casalecchiese prima e sul tutto il territorio nazionale in seguito, Manifattura Marca Pressa. La diffusione pressoché universale dell’appellativo è anche dovuta alla sua comparsa su tutti i cataloghi ufficiali di vendita del periodo.
[10] La nuova normativa obbligò i fabbricanti di preziosi ad utilizzare un punzone la cui “matrice”, predisposta dalla Zecca, veniva fornita agli Uffici provinciali del saggio che a loro volta la inoltravano agli argentieri per la fabbricazione dei punzoni stessi (U. Donati, I Marchi dell’argenteria italiana, De Agostini, Novara, 1999, pag. 200). Per la descrizione grafica del punzone vedasi Particolari punzonature … più volte citato (foto 18 punto 5).
[11] Dal 1971 (19 settembre), legge 46 del 30.01.1968, cambieranno le vesti grafiche tanto del millesimo quanto della losanga ed assumeranno le conformazioni ad oggi ancora esistenti ed attive sugli argenti italiani (profilo ovale del n° 800 “allungato”, ed in una nuova losanga “allungata”, una stellina a sinistra del numero distintivo della ditta, mentre a destra rimane la sigla provinciale del luogo sede dell’opificio).Quella che fu la ditta Wilkens, Clementi, Mantel, conserverà il merco della pressa con le lettere M e C ai lati (lo stesso che Michelangelo aveva depositato nel 1934) anche con il passaggio a Buccellati, che lo utilizza tutt’ora sui pezzi realizzati nel nuovissimo stabilimento di Zola Pedrosa.
Bibliografia e sitografia essenziali
-Gazzetta Uff. Regno d’Italia, Serie Speciale, anno 85°, n° 84, Roma 21 Nov. 1944.
-Francesco Accogli (a cura di) – Vito Raeli. Maestri Compositori Pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Società di Storia Patria per la Puglia, Sez. di Tricase, Grafiche Salentine, Miggiano, 1990.
-Donati – I Marchi dell’argenteria italiana, De Agostini, Novara, 1999.
-Donaver – R. Dabbene – Argenti italiani dell’Ottocento – Volume Primo – Punzoni di garanzia degli stati italiani, Edizioni Libreria Malavasi, Milano 2001.
-Lena Fellmann – 200 Jahre Wilkens Bremer Silberwaren, Zur Geschichte eines bremischen Familienunternehmens, in “Bremisches Jahrbuch”, Historische Gesellschaft Bremen, Bremen, 1864-, Vol 89 (2010).
-Nicodemo Mele – Argenteria Clementi, un secolo di storia, Il Resto del Carlino Bologna, 4 febbraio 2012.
-Barbara Rambaldi, – Wilkens, Clementi, Mantel, Buccellati: Cent’anni di argenteria a Casalecchio di Reno, in “I quaderni di S. Martino”, Casalecchio Insieme Pro Loco Casalecchio Meridiana, 2014.
gazzettaufficiale.it
Pag. Fb Casalecchio, tutta un’altra storia
dati.acs.beniculturali.it
de.wikipedia.org – Wilkens & Söhne
Salogentis.it
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, maggio 2020
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