Dall’immagine esoterica di Lorenzo de’ Medici a quella di Attila… e non solo.
A proposito di alcune placchette e medaglie antiche.
di Alessandro Ubertazzi
L’amico Mike Riddick ha recentemente pubblicato un saggio (nota 1) nel quale presenta e illustra un raffinato cristallo di rocca inciso, acquisito in asta [Figura 1].
Figura 1. Cristallo di rocca (45 x 34 mm.) che rappresenta una testa di fauno di profilo entro cornice, gioiello settecentesca di probabile fattura italiana.
Nel commentare quella pregevole opera, emersa dal collezionismo inglese, egli avanza alcune riflessioni realmente suggestive. Confrontata con le poche opere pittoriche superstiti e, soprattutto, con le notizie riferite dalla letteratura del tempo, l’immagine del viso caprigno volto a destra incisa nel quarzo sembra infatti costituire davvero la rappresentazione metaforica di Lorenzo il Magnifico nella sua prediletta veste di Pan.
Come è noto, secondo la più diffusa delle versioni fornite dalla cultura ellenica, Pan apparteneva alla complessa e articolata famiglia delle divinità greche. Figlio di Ermes (Mercurio per i latini) e della ninfa Driope, egli, però, non risiedeva nell’Olimpo ma si aggirava liberamente nei boschi costituendo, già da allora, un’emblematica espressione della Natura. Con il suo ibrido aspetto di uomo-capro (ripreso poi dai romani nelle figure dei fauni e dei satiri), Pan rappresenta un aspetto fortemente edonista e perfino gaudente della natura naturale: ne conosciamo infatti fin dall’antichità molteplici rappresentazioni anche pruriginosamente erotiche [Figure 2-8].
Figura 2. La Virtú scoperta dal Vizio. (P1.77)
Figura 3. L’Abbondanza e un Satiro. (P1.78)
Lautizio da Perugia (?), pseudo Fra Antonio da Brescia (?), scuola veneta, inizio del XVI secolo (dopo il 1507), placchette in bronzo fuso a cera persa; ø rispettivamente 47 e 46 mm (Alessandro Ubertazzi, Ein gelüftetes Geheimnis; das unsichtbare Möbel, Edizioni Imagna, Bergamo, giugno 2011, pagg. 70-71).
Figura 4. L’Abbondanza con un piccolo Satiro. (P5.1). Artista dell’Italia del Nord, fine del XV secolo. Figure 5 e 6Placchetta in bronzo fuso dorato a mercurio; retro incuso; 104 x 43,4 mm., inedita.
Figure 5 e 6. Amplesso fra fanciulla e satiro. (P5.5 e P5.6). Bottega norditaliana, XVI secolo. Placchette in bronzo e peltro fusi a cera persa; ø rispettivamente 59,1 e 58,8 mm., inedite.
Figura 7. Amplesso fra una fanciulla e un fauno con faunessa, Priapo e altri giovani voyeur. (P5.9). Anonimo autore, bottega norditaliana, XVIII secolo. Placchetta in bronzo fuso a cera persa; ø 124,4 mm. senza appiccagnolo, inedita.
Figura 8. Baccanale. (P1.406). Anonimo artista, Fiandre, attorno al 1600. Placchetta in bronzo chiaro fuso; ø 131,5 mm., inedita [su questa placchetta vedi, ndr].
Pan era una divinità “minore”, dalle forti connotazioni sessuali; come Dioniso e Priapo, era generalmente munito con un grande fallo. Aveva gambe e corna caprine, zampe irsute e zoccoli, il busto umano, il volto barbuto dall’espressione terribile. Suonando il flauto, che da lui prende il nome, vagava danzando per i boschi spesso inseguendo ninfe. Signore dei campi e delle selve, proteggeva gli armenti indossando tradizionalmente una nebris fatta di pelle di cerbiatto.
Che il Magnifico nutrisse una particolare predilezione per il pensiero esoterico di matrice neoplatonica è assodato e, come ricorda Riddick, «il particolare focus» della «collezione di Lorenzo era incentrata su temi bacchici e dionisiaci» (nota 2). Nella sua giovinezza, Lorenzo aveva perfino ricoperto il ruolo teatrale di Pan di cui, lungo l’intera vita, ha cercato di attuare le prospettive bucoliche; egli auspicava, infatti, una sorta di ritorno all’arcadica “età dell’oro”, come attuazione di una possibile armonia del mondo.
Nel suo scritto, Riddick ricorda ancora che «Durante il governo di Lorenzo, l’atmosfera [culturale] della Villa [di Careggi] ha reso omaggio alle opere letterarie di Virgilio sulle quali egli era stato ben educato in giovinezza. È là che Lorenzo ha adottato in incognito il ruolo del Pan Medico di Virgilio (come è stato descritto dalla seconda Ecloga), divenendo un simbolo dell’età dell’oro e profeta di una unione cosmica. Lorenzo e i suoi coetanei umanisti che promuovevano gli ideali del platonismo e seguivano i temi promossi da Virgilio, avevano istituito a Careggi un vero e proprio culto letterario dedicato a Pan. Le espressioni politiche del culto erano sviluppate con il potere di connettersi con la divinità attraverso il procedimento della poesia.
In questo senso, Pan era stato convertito nella divinità responsabile dei cicli del tempo ovvero, come ha detto Lorenzo in una sua poesia, «in tutto ciò che nasce e che muore».
E ancora, con diretto riferimento alla gemma incisa, «Lorenzo può aver commissionato un simile cristallo considerando in particolare il suo ruolo Pan-centrico presso la Villa di Careggi e la devozione che egli tributava a quell’antica divinità. Un’occasione ragionevole per tale incarico può essere stata il 1480 nel quale Lorenzo ha organizzato dei Saturnalia che egli e i suoi amici avrebbero documentato con copie di placchette prodotte nei primi anni del 1480, in memoria della loro visita alla villa Careggi ove si impegnavano nelle poesie Pan-centriche e nei piaceri idilliaci della temperie pastorale. Tale riscontro si allinea con il periodo di produzione normalmente accettato per le placchette».
La cultura umanistica (da Donatello al Riccio e al Giorgione, da Sandro Botticelli a
Leon Batista Alberti e al Moderno), generò esplicite ma anche misteriose scuole di esoterismo: peraltro, nel cercare di comprendere l’identità del principe e dei suoi elevati riferimenti culturali, oggi le tracce di quel contesto non sono però facili da rileggere o da decodificare (nota 3).
Mi sia concesso, a questo punto, la citazione di certe placchette che possiedo (non tutte conosciute) con le quali intendo esemplificare la produzione artistica quattro-cinquecentesca evidentemente destinata al pubblico “iniziato” di quel particolare periodo storico [Figure 9-13].
Figura 9. Didone, la regina della notte / PIGM. (P1.8)
Anonimo autore lombardo gonzaghesco di cultura negromantica, Italia del Nord, metà del XV secolo. Piombo; ø 82 mm.
La giovane ed elegante donna è volta a sx; alle sue spalle si osserva uno spadino del tipo che, in quel tempo, veniva definito “misericordia” [Alessandro Ubertazzi, ibidem, pagg. 62-63].
Figura 10. Sacra conversazione (Madonna in trono). (P1.108)
Galeazzo Mondella detto il Moderno (bottega?), Padova, inizio del XVI secolo. Fusione in bronzo a cera persa anteriormente dorata a mercurio; retro incuso; 105 x 143 mm.
Questa raffinata fusione rappresenta una “Sacra conversazione”. Come è stato rilevato da alcuni studiosi che ne hanno cercato la decifrazione, in prima istanza la scena può apparire come la Madonna in trono con il Bambino attorniata da alcuni santi; a un esame più approfondito, la scena risulterebbe di esplicito sapore iniziatico-misterico ove la Grande Madre siede su un trono a sua volta collocato su una sorta di ara sacrificale sul cui fronte è raffigurata una “suovetaurilia”; il gruppo, assieme alle cinque figure in piedi (fra le quali un personaggio completamente nudo visto di fronte e un altro vestito da guerriero romano), può essere così “letto” anche in chiave esoterica.
Jacopo Lorenzelli e Alberto Veca (a cura di), Museum, intorno alla collezione (catalogo della mostra omonima tenutasi nel gennaio-marzo 1994), Galleria Lorenzelli, Bergamo, 1994, pagg. 171-193 [Alessandro Ubertazzi, ibidem, pagg. 66-67].
Figura 11. Testo ermetico. (P1.27)
Anonimo artista, scuola padovana, seconda metá del XIV secolo. Placchetta in bronzo fuso a cera persa dorato sul fronte e, in parte, anche sul retro; retro incuso; 142 x 147 mm.
La grande placca pressoché quadrata è esternamente definita da una cornice a ovuli mentre all’interno reca una apertura circolare attorniata da una cornice a spirale [Alessandro Ubertazzi, ibidem, pagg. 64-65].
Figura 12. Metafora della rinascita della natura (Trionfo di un eroe). (P1.89)
Andrea Briosco detto il Riccio, Padova, primi anni del XVI secolo. Placchetta in bronzo fuso a cera persa; fondo piano 103,55 x 76,3 mm.
Questa placchetta ben conosciuta ha suscitato varie interpretazioni [Alessandro Ubertazzi, ibidem, pagg. 62-63].
Figura 13. Horus, simbolo della procreativitá ermafrodita. (P1.303)
Anonimo autore di cultura misterico-egiziaca, di ambiente padovano (?), secondo quarto del XVI secolo. Placchetta in bronzo fuso a cera persa; retro liscio ma graffiato; 61,6 x 93,32 mm., inedita.
La placchetta rappresenta una fanciulla adolescente nuda con i seni appena accennati: essa alza la mano sx come per mettere in guardia l’interlocutore mentre la mano dx sembra porgere un pomo; la figura potrebbe rappresentare Horus (simbolo della procreatività ermafrodita) e, così, adombrare un’“allegoria della tentazione dei sensi”.
Come già detto, a margine degli impegni politici ufficiali, Lorenzo trascorreva esperienze di Arcadia con gli amici che condividevano la sua gioiosa visione concettuale e nella ridente campagna toscana.
In tal senso, anche a me sembra oggettivamente verosimile che placchette fuse originariamente, forse a cera persa, dal calco della gemma descritta da Riddick, io stesso ne posseggo due [Figure 14 e 15], potessero essere state un gradevole ricordo delle sperimentazioni del principe, segno e pegno di adesione alla confraternita gaudente non meno di quanto lo sarebbero un distintivo o un “pin” per testimoniare l’appartenenza a una associazione o a un club del nostro tempo.
Figure 14 e15. Testa di Pan. (P4.1 e P4.2)
Autore di ambiente toscano vicino a Lorenzo de’ Medici (Bertoldo Di Giovanni?, Bastiano Torrigiano?), terzo quarto del XV secolo.
I due esemplari della placchetta sono fusi a cera persa; hanno fronte incuso e presentano un retro leggermente diverso; misurano rispettivamente 36 x 46 e 35 x 46 mm [Alessandro Ubertazzi, ibidem, pagg. 68-69].
Sappiamo che, con le loro xilografie e incisioni su rame, Mantegna, Dürer e Tiziano avevano, di fatto, dato inizio a un consapevole collezionismo di multipli di arte; peraltro, il clero e la cólta borghesia europea avevano già cominciato ad acquisire e collezionare placchette, medaglie e pietre incise, anche del loro tempo, in quanto le ritenevano vere e proprie espressioni artistiche per loro economicamente accessibili. Si pensi, ad esempio, alla raccolta di placchette in piombo di Erasmo da Rotterdam che, con tanto di mobile da lui concepito, si trova a Basilea dal 1536 (nota 4).
Detto ciò, resta da capire per quale ragione l’effige faunesca che idealizzò Lorenzo (realizzata nel terzo quarto del XV secolo) sia stata usata qualche decennio dopo le prime versioni, ad esempio per rappresentare Attila [Figura 16 e 17].
Figura 16. Testa di Atila Flagelum Dei. (P4.3)
Ambiente italiano che riprende la placchetta toscana concepita nell’entourage di Lorenzo de’ Medici, primo quarto del XVI secolo. Placchetta in bronzo fuso a cera persa, foro in alto, fondo piano, 35 x 44 mm. La placchetta reca la scritta incusa ATILA FLAGELVM DEI [Alessandro Ubertazzi, ibidem, pagg. 68-69].
Figura 17. Testa di Attilla Rex Scitarum. (P4.4)
Ambiente centroeuropeo che riprende la placchetta toscana concepita nell’entourage di Lorenzo de’ Medici, prima metà del XVI secolo.
La placchetta reca, incisa dopo la fusione, la scritta ATTILLA REX SCITARVM [Alessandro Ubertazzi, ibidem, pagg. 68-69].
Devo confessare che conosco diversi studi sul “terribile barbaro unno” che osò sfidare Roma; come talvolta mi accade, ne ho tratto molte utili indicazioni ma almeno altrettante perplessità.
Dopo la sua morte, avvenuta prematuramente nel 453 d.C., presso buona parte della cultura latina (fortemente debitrice del pensiero cattolico) (nota 5), gradualmente ma non onestamente, Attila ha cominciato ad essere rappresentato come una sorta di Satana [Figura 18].
Figura 18. Profilo di Attila definito come “ATILA FLAGELVM DEI” realizzato in xilografia; si noti che, nonostante il feroce appellativo, il condottiero è rappresentato con corona e vesti regali. Simili immagini furono riprese e ripetute in molte edizioni successive a questo commento del sarcastico poema tradotto da Rocco degli Arminesi [cfr. Alessandro Ubertazzi, Parole al bersaglio; elzeviri, editoriali, flash e pamphlets (collana di saggi di cultura progettuale per la iniziativa editoriale Il Pomerio), Lodigraf, Lodi, settembre 1993, pag. 232].
In realtà, il feroce personaggio, che peraltro era cresciuto nelle logiche militari romane, fu davvero un grande sovrano; per primo, egli seppe infatti unificare sotto di sé i vastissimi territori compresi fra l’Europa centrale e il Mar Caspio, fra il Danubio e il Mar Baltico, assoggettando i popoli che abitavano l’Europa centrale e l’Asia settentrionale e che, alla fine del XVII secolo, avrebbero poi espresso figure come… Gengis Khan.
Il giudizio sulla sua persona e la memoria che egli ha lasciato di sé, presso la cultura popolare delle genti che ne vantano le origini, sono infatti diametralmente differenti da quanto accreditato nella trazione cristiana: in essa, l’immagine di Attila corrisponde infatti a quella spesso utilizzata per rappresentare il demonio.
Il direttore del Museo di Budapest (dottor Tamás Pustzai), che mi ha mostrato tutte le medaglie là conservate concernenti la figura di Attila, mi ha candidamente ma solennemente confermato che, in Ungheria, il grande condottiero è considerato come uno dei massimi eroi nazionali; a questo proposito si veda anche il catalogo ragionato delle principali medaglie dedicate ad Attila (nota 6).
Per contro, nel nostro Paese si è sempre creduto che papa Leone I avrebbe scongiurato personalmente il pericolo rappresentato dal “barbaro”, “ostentandogli platealmente” la Croce: alcuni studiosi moderni sostengono, invece, che, preoccupato dalle notizie provenienti dallo scacchiere orientale (ove temeva di poter essere sopraffatto), egli avrebbe molto ragionevolmente rimandato l’ipotesi di invadere l’Italia centrale in quel momento. In occasione dell’incontro con il Papa egli avrebbe oggettivamente maturato l’intenzione di «ritirarsi piuttosto che… dilagare nella penisola e giungere fino a Roma» (nota 7). Ovviamente, ciò «ridimensionerebbe alquanto il ruolo di salvatore dell’Italia dalle “furie umane” attribuito al Papa dalla storiografia cristiana» (nota 8).
Fin dall’inizio, su Attila si diffusero curiose mistificazioni attinte dalle leggende che circolavano presso le popolazioni sottomesse, anche a seguito delle intransigenti maniere di quel guerriero: peraltro, queste non erano davvero dissimili da quelle, altrettanto sanguinarie e feroci, dei suoi contemporanei, alleati e avversari. Come il fratello maggiore Bleda [Figure 19-21], Attila era figlio di Munzuko principe degli Unni: nonostante ciò, leggende infamanti enfatizzarono il suo fiero aspetto; fin dalla sua morte la letteratura cominciò a descriverlo addirittura figlio di un cane.
Figure 19-21. Buda dux Hunnorum (Bleda). (P4.25-P4.27)
Bottega ignota, area austroungarica, a partire dal XVI secolo.
Placchette in argento e ottone realizzate a cera persa; ø 455 mm., inedite.
Questa serie di medaglie di indole popolare è dedicata a Bleda (ove è comunque indicato come Buda), fratello di Attila.
Caratterizzato da barba e grandi baffi, sul fronte il condottiero ha il capo coperto da una sorta di turbante; tutto attorno la scritta BVDA DVX HVNNORVM (Bleda re degli Unni); al rovescio si osserva una città murata con torri ed edificio a cupola sormontato dalla scritta AKBUPAЧЧI.
Tornando ad Attila, egli era considerato tanto pericoloso da meritarsi l’appellativo originariamente riservato ad Alarico, re dei Goti, a seguito del “sacco” perpetrato a Roma.
Soprattutto in Italia, Attila fu così infatti bollato nei secoli come Flagellum Dei e, a partire dalla metà del 1400, fu rappresentato con sembianze sataniche. Nei paesi d’oltralpe di cultura germanica fu invece legittimamente chiamato “Hunnorum Rex”, ovvero sempre rappresentato con abiti regali e con la corona sul capo.
Certo, tutti i testi concordano sul fatto che il cavaliere unno avesse un aspetto terrificante, non comune presso le popolazioni occidentali, con tutta probabilità dovuto alla sua origine mongola: anche per questo motivo, è comprensibile che la disponibilità di un’immagine caprigna (probabilmente diffusa attraverso le copie dell’effigie di Pan di cui si è detto) abbia indotto e quasi autorizzato la cultura dei primi decenni del Cinquecento (che non ne comprendeva più l’esatto significato allusivo) a “rifinalizzarla”.
In primis, quell’immagine servì così certamente per rappresentare Attila coerentemente con quanto cominciava a diffondersi nella letteratura denigratoria: in ambito cristiano bastò infatti aggiungere la scritta “Atilla flagelum Dei” per adattare l’elegante immagine faunesca al volto del perfido condottiero.
In ambito più laico, Attila fu rappresentato in termini meno triviali [Figura 22] oltre che nella sua elegante livrea di generale [Figure 23 e 24]; mentre la precisazione “Rex” sostituí “Flagellum Dei” per sottolinearne, invece, la natura regale e lo storico merito di avere organizzato un vero e proprio impero là dove vagavano da secoli bellicose genti nomadi.
Figura 22. Atila Flagellum Dei. (P4.12)
Peter Vischer (attribuzione), area di influenza germanica, attorno al 1500.
Placchetta in bronzo fuso a cera persa con patina naturale scura; esemplare consumato per l’uso, 33,5 x 32 mm, inedita [Louis Huszár, Attila dans la numismatique, in “Moneta Prisca” n. 1, Ed. MAGYAR NUMIZMATIKAI TÁRSULAT, Budapest. 1947].
Figure 23. Attila flagellum Dei. (P4.23)
Anonimo autore, area veneta, XVI secolo. Placchetta in bronzo fuso a cera persa; patina bruna; retro incuso, ø 96,5 mm, inedita.
La grande medaglia monofacciale rappresenta Attila a mezzo busto di profilo volto a sx rivestito da un’armatura di foggia rinascimentale; a differenza della gran parte delle altre medaglie dedicate al temuto condottiero che, peraltro, qui viene ancora definito * FLAGELLVM * DEI; l’aspetto è fiero ma non caprigno, se si prescinde dall’orecchio (quale, di norma, viene attribuito ai satiri) e dalla barba. Essa è stata evidentemente realizzata da un esemplare ottenuto lui stesso con la stessa tecnica: la prova è da riscontrarsi nei fori presenti sul modello di partenza, chiusi visibilmente nella cera prima di questa fusione. Rispetto all’originale questa medaglia ha una cornice più semplice e sottile; inoltre, la scritta ATILLA è stata modificata in ATTILA.
Figura 24. Atilla flagellum Dei.(P4.24)
Anonimo artigiano, Italia settentrionale, XIX secolo. Galvano in rame argentato, ø 97 mm, inedita.
La riproduzione della medaglia originale è costituita da una sottile lamina di rame ottenuta per galvanoplastica da un esemplare fuso di elevata qualità.
In verità, il filone laico, con il quale personalmente concordo (nota 9), caratteristico dell’ambito geopolitico compreso fra il Centro Europa e la città di Aquileia, ha protratto nei secoli una curiosa quanto sommessa ammirazione per il condottiero: medaglie non particolarmente raffinate, peraltro varianti derivate da quella unica “maggiore” che possiedo a lui dedicata [Figura 25], furono fuse e diffuse fino a tutto l’Ottocento [Figure 26-32].
Figura 25. Attila Rex / Aquileia. (P4.13)
Francesco da Sangallo (?), area veneta (?), metà del XVI secolo. Medaglia in bronzo fuso a cera persa, patina bruno scura; ø 54,7 mm. inedita.
La medaglia bifacciale rappresenta, sul fronte, la testa di Attila con il tradizionale aspetto caprigno e la corazza regale e la scritta ATTILA REX; il condottiero porta un’insegna militare sul petto. Sul retro è rappresenta una città murata sovrastata dalla scritta *AQVILEIA* [Alessandro Ubertazzi, ibidem, pagg. 68-69].
Figure 26-32. Attila Rex / Aquileia. (P4.14-P4.21)
Botteghe ignote, area veneta e centro Europa, a partire dal XVI secolo.
Medaglie in bronzo, argento e ottone fuse; rispettivamente ø 49,5, 49,3, 47,2, 46,9, 46,8, 46,5 e 46,4 mm., inedite.
Queste medaglie bifacciali appartengono a una unica tipologia fra quelle analoghe della mia collezione. Si tratta di una serie di medaglie, di qualità non sempre eccellente, che costituiscono verosimilmente la divulgazione delle medaglie concepite, secondo Alviano Scarel (nota 10), da Giuliano da Sangallo.
Le singole varianti costituiscono modelli di volta in volta ricavati da altri precedenti e perciò di diametro sempre più ridotto.
In particolare, questa serie si distingue da altre successive anche per il tipo particolare dei segni di interpunzione che sono costituiti da girandole a tre punte.
N.B.
Il numero indicato accanto al titolo delle placchette riportate qui di seguito corrisponde alla loro posizione in seno all’archivio della collezione Ubertazzi.
NOTE
[1] Mike Riddick, “Head of Pan; Lorenzo, Michelangelo, Attila and a lost plaquette prototype”, in “Academia”, rivista on line, New York, 8 novembre 2019 [Leggi]. La versione italiana “Testa di Pan; Lorenzo, Michelangelo, Attila e il prototipo perduto di una placchetta” è disponibile on line sul sito democo.it [Leggi] [2] Ibidem, pag. 9 (pag. 5).
[3] Alessandro Ubertazzi (con E. Guglielmi), Ein gelüftetes Geheimnis; das unsichtbare Möbel, Edizioni Imagna, Bergamo, giugno 2011. Codice ISBN 978-88-6417-024-4.
[4] Historisches Museum Basel-Barfüsserkirche, Barfüsserplatz 7, 4051 Basel.
[5] Rocco degli Arminesi, Attila Flagelum Dei, ove si narra come detto Attila fu generato da un cane, e di molte guerre e distruzioni da lui fatte nell’Italia, tradotto dalla vera Cronica, Antonio Paluello, Treviso seconda metá del XVI secolo.
[6] Louis Huszár, Attila dans la numismatique, in “Moneta Prisca” n. 1, Ed. MAGYAR NUMIZMATIKAI TÁRSULAT, Budapest. 1947.
[7] M. Calzolari, L’itinerario di Attila nella pianura Padana; aspetti topografici, in “Gruppo Archeologico Aquilense”, Attila, Flagellum Dei?, 1994.
[8] F. Bertini, Attila nella storiografia tardo-antica e alto medioevale, in “Settimane di studio del Centro Italiano di studi sull’arte altomedioevale” (Spoleto, 23-29 aprile 1987), 35, II, Spoleto, 1988, pagg. 552-557.
[9] Alessandro Ubertazzi (editoriale), Attila in Brianza, in “Habitat Ufficio” n. 38, Alberto Greco, Milano, giugno-luglio 1989, pagg. 57-59.
[10] Alviano Scarel, Alcuni esempi di medaglie con il titolo dell’Attila faunesco tra Rinascimento italiano e Ottocento Ungherese (in Aa.Vv. Attila e gli Unni), Roma, febbraio 1996, pagg. 117-123.
Marzo 2021
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