Crocifisso “giansenista”
della Redazione di Antiqua
Lo spunto per questo breve contributo è stato tratto dalla lettura di un vecchio testo scritto dal cardinale Celso Costantini (nota 1) intitolato Il Crocifisso nell’arte (Libreria Salesiana, Firenze 1911) e in particolare laddove si parla di Crocifissi giansenisti che l’autore definisce all’inizio del volume un “errore storico” (p. 22).
La questione viene ripresa più avanti da mons. Costantini (pp.144-145) dove si definiscono giansenisti i Crocifissi in cui le braccia non sono allargate sul legno traverso della Croce, ma sono riunite discendendo pressoché parallele fino all’attacco delle spalle.
Accompagnati da questa definizione appaiono frequentemente sul mercato dei Crocifissi in avorio o altri materiali che presentano la caratteristica descritte. La maggior parte è di artefice anonimo e di epoca non sempre facilmente precisabile [Figure 1, 2, 3 e 4].
Figura 1. Crocifisso, avorio, altezza cm. 43 circa, XVIII secolo, collezione privata.
Figura 2. Crocifisso, bronzo, XVII secolo, Semenzato 17 aprile 2005.
Figura 3. Crocifisso, bronzo, Toscana, XVIII secolo, Boetto febbraio 2019 n. 198.
Figura 4. Crocifisso, legno di bosso, Fiandre, XVIII secolo, Christie’s New York 18 maggio 2006 n. 724.
Altri Crocifissi, per lo più conservati all’interno di musei, sono riconducibili ad un’epoca e ad un artefice [Figure 5 e 6].
Figura 5. George Petel (1601-1635), Crocifisso, avorio, 1628 circa, Copenaghen, Castello Frederiksburg.
Figura 6. Pierre Puget (1620-1694), (attr.), Crocifisso, legno di cedro, altezza cm. 45, Bologna, Accademia di Belle Arti.
La scheda che commenta il Crocifisso di Figura 6 (pubblicato in: P. Biavati-G. Marchetti, Antiche sculture lignee a Bologna, Off. Graf. Bolognesi, Bologna 1974), non fa alcun riferimento al Giansenismo e così spiega: “Le braccia alzate, notevolmente ravvicinate, sono proprie di un corpo in trazione e ne accentuano l’espressione di sofferenza”.
Eppure, la dizione “giansenista” non è un vezzo del mercato antiquario, bensì trova credito anche presso le istituzioni museali e lo stesso mons. Costantini ne offre testimonianza citando un Crocifisso conservato presso il museo di Troyes (alludendo probabilmente al Museo Saint-Loup) e ivi catalogato come “Cristo giansenista”.
Uno dei fondamenti del Giansenismo, sviluppatosi all’interno della dottrina cattolica, ma successivamente condannato a partire dal 1641, è credere che Cristo non sia morto per tutti, ma per un ristretto numero di eletti (nota 2).
Quindi le braccia raccolte indicano questo concetto di esclusività – “molti i chiamati, pochi gli eletti” (Mt 22,14) – tanto quanto le braccia distese recano un invito di accoglienza rivolto a tutta la comunità.
Possiamo quindi ritenere che gli artisti che desideravano associarsi alle tesi gianseniste ne offrissero una dimostrazione iconografica attraverso il Crocifisso?
Il Giansenismo si sviluppa maggiormente proprio nell’epoca a cui i Crocifissi si riferiscono, ossia Seicento e il Settecento, ma anche tra i numerosi esemplari usciti dalle botteghe francesi nel corso dell’Ottocento potremmo trovare oggetti con la caratteristica evidenziata. Si ricordi che, in pieno Ottocento, venivano attribuire simpatie gianseniste anche ad Alessandro Manzoni.
Tuttavia, il Costantini è il primo a dubitare di una relazione tra Giansenismo e questi Crocifissi e reca in merito una duplice considerazione.
La prima è che al “museo di Londra” (quasi certamente il British) si conserva un’incisione di Michelangelo con le braccia stirate come i cosiddetti Crocifissi giansenisti e al tempo di Michelangelo il giansenismo non esisteva ancora. Purtroppo, l’incisione a cui si fa riferimento non è stata identificata, però, se guardiamo a due celebri disegni attribuiti a Michelangelo [Figure 7 e 8], non sembra si possa evidenziare la caratteristica delle “braccia stirate”.
Figura 7. Michelangelo, Crocifisso, disegno, Londra, British Museum.
Figura 8. Michelangelo, Crocifisso, disegno, Parigi, Museo del Louvre.
La seconda, ben più convincente e per certi versi decisiva, è che alcuni testi di carattere giansenista sono illustrati con immagini del Crocifisso con le braccia allargate.
D’altro canto, troviamo Crocifissi “giansenisti” anche in pittura come dimostrano la tela di Rembrandt a Monaco [Figura 9] o quella di un anonimo seguace di Antoon Van Dick [Figura 10] senza che, almeno per quanto riguarda la prima, sia stata evidenziato alcun nesso di natura teologica, nonostante l’epoca sia più o meno la stessa (nota 3). Curiosamente van Dick muore nel 1641, ossia nello stesso anno in cui le teorie gianseniste venivano condannate dalla Congregazione dell’Indice.
Figura 9. Rembandt, Crocifissione, 1633 circa, Monaco, Alte Pinakothek.
Figura 10. Scuola Van Dick, Crocifissione, Boetto, maggio 2002 n.7.
Al di là della plausibilità e della pertinenza di una definizione, come spiegare questa tipologia?
In generale possiamo pensare al desiderio di dare al Crocifisso una forma più “drammatica”, in linea con l’estetica barocca che si stava affermando nella stessa epoca a cui la maggior parte delle realizzazioni si riferisce.
Con specifico riferimento alla scultura, soprattutto quella di piccole dimensioni, la ragione potrebbe risiedere nell’opportunità di intagliare il corpo di Cristo in un unico pezzo di avorio o di legno senza aggiungere a posteriori le braccia divaricate.
NOTE
[1] Su Celso Costantini (1876-1958), singolare e importante figura di uomo di Chiesa e saggista, si può consultare la voce redatta da Giuliano Bertuccioli per il Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 30, 1984 (Leggi); stranamente in questa e altre biografie di Costantini il testo in questione non viene citato.
[2] Sulla definizione di Giansenismo (Leggi).
[3]
La ricerca di un legame tra Rembrandt e il Giansenismo ci messo in contatto con la figura di Neri Corsini, (1685-1770) diplomatico al servizio del Granduca di Toscana Cosimi III successivamente trasferitosi a Roma presso lo zio Lorenzo Corsini eletto al soglio papale nel 1730. Si dice che Neri fosse di tendenze gianseniste e che proteggesse di nascosto le manifestazioni della cultura “meno incline all’ortodossia” insieme al fidatissimo monsignor Giovanni Bottari, “consigliere della Congregazione dell’Indice ma anche sponsor di edizioni clandestine di classici italiani sgraditi alla censura cattolica”. Entrambi erano ostili ai gesuiti e per questo furono esautorati da papa Benedetto XIV che successe nel 1740 a Clemente XII.
Il legame con Rembrandt, morto da tempo, fu l’acquisto del suo Autoritratto come San Paolo, oggi al Rijksmuseum di Amsterdam, ceduto a Neri Corsini dalla vedova del pittore francese Nicolas Vleughels (1668-1773) che era diventato nel 1725 direttore dell’Accademia di Francia a Roma. All’arrivo dei napoleonici a Roma nel 1799, per far fronte alle tasse imposte dal nuovo governo, il dipinto fu venduto dal maestro di casa dei Corsini a loro insaputa mentre erano fuggiti altrove e non fu più possibile recuperarlo (Mario Ajello, Rembrandt, la galleria Corsini e il prestigio di Roma, Il Messaggero 27.9.2020).
Aprile 2021
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