Figura di San Bartolomeo, un nuovo ritrovamento nella produzione di Filippo Cuccumos
di Agnese Zunini
Si aggiunge ora alla scarna produzione della manifattura del Capitano Cuccumos una nuova figura che si trova in una collezione privata romana. È la statua di San Bartolomeo in porcellana bianca con ampie tracce di doratura; ha una bassa base quadrata che poggia su una serie di gradini [Figura 1]. Sul retro della base si legge incisa nella pasta in carattere stampatello ROMA/1 MAG 1769 seguita da due CC maiuscole contrapposte e incrociate, sormontate da una corona [Figura 1 bis].
Figura 1. Manifattura Cuccumos, San Bartolomeo, porcellana bianca, altezza cm. 29, collezione privata romana, inedito.
Figura 1 bis. Marca sul retro della base, particolare di Figura 1.
La figura rappresenta il santo che, stante e a piedi scalzi, avanza ricoperto dalla sua stessa pelle, in parte posata sulla spalla destra e in parte raccolta tra le braccia aperte dove si riconosce il suo stesso volto; la testa ornata di barba è girata e inclinata sulla spalla destra e nella mano destra si nota un manico di coltello.
Buono stato di conservazione, cadute nella doratura a freddo e mancanza della lama del coltello tenuto nella mano destra, tracce di dorature.
San Bartolomeo è solo citato nel Nuovo Testamento come Apostolo, ma di lui parla la Legenda aurea, dove si narra dei suoi viaggi in India e in Armenia; qui fu scorticato vivo e viene quindi spesso rappresentato con il coltello, strumento del suo martirio, mentre sono meno frequenti le rappresentazioni del martire con la sua stessa pelle.
L’immagine del santo si avvicina a quella scolpita nel marmo dallo scultore francese Pierre Le Gros il giovane (Parigi 1666- Roma 1719) che fa parte delle colossali statue dei dodici apostoli che si trovano a Roma nelle nicchie della navata centrale della Basilica di San Giovanni [Figura 2].
Figura 2. Pierre Le Gros il giovane, San Bartolomeo, Roma, Basilica di San Giovanni.
Gli esordi
Il 4 settembre 1761, con uno speciale chirografo papale, Clemente XIII Rezzonico concede la privativa facoltà di fabbricare le porcellane e i privilegi doganali al “capitano” Filippo Cuccumos.
La porcellana viene definita “Porcellana ad uso dei Paesi Esteri o quel dato genere di Porcellane, che non si fabricano presentemente. Né sinora sono state solite spacciarsi da altri in tutto il Nostro Stato Ecclesiastico.” (nota 1).
L’esclusiva avrebbe avuto la durata di quaranta anni iniziando il 1° gennaio 1762 con l’obbligo verso la Camera Apostolica “ogn’anno nella vigilia, e Feste dei gloriosi Apostoli Pietro e Paolo (il 29 giugno) nella nostra Camera de Tributi consegnare una Statua rappresentante un Santo… sotto pena di caducità da incorrersi ipso jure, et ipso facto in caso d’inadempimento della suddetta consegna.” (nota 2).
Questo è l’inizio della manifattura, prima nell’avventura della produzione della porcellana a Roma.
Filippo Cuccumos (1714-1793) nacque a Roma da una famiglia di origine tedesca, figlio di Giorgio e Isabella Bernoni. Non si sa molto della sua vita, né perché viene sempre detto Capitano (nota 3).
La famiglia, dopo avere abitato vicino a Via del Seminario Romano, nel 1734 si sposta, dopo la morte della madre, nella casa ereditata da lei a Via Panisperna, dove anni dopo Cuccumos impianterà la manifattura di porcellana.
Le prime difficoltà
Il ceramista si era associato con Samuele Hirtz o Hietzio, un arcanista sassone (nota 4), ma ci furono subito dissapori tra di loro e già meno di un anno dopo, il 7 aprile 1762, il socio rivolse una protesta al pontefice affermando di essere l’inventore della porcellana e che Cuccumos, non avendo messo anche il suo nome nel documento, lo aveva ingannato. Samuele “il sassone” è un personaggio che incontriamo varie volte nelle storie di diverse manifatture di porcellana, forse più che un “arcanista” era, come altri in quei tempi, un irrequieto opportunista con pochi scrupoli. Sembra che fosse nel 1747 a lavorare a Vienna, poi si spostò a Venezia (manifattura Bertolini che produceva maioliche e vetri lattimi? Hawelcke? Cozzi?) protetto da Aurelio Rezzonico, fratello del Papa, poi nel 1760 si fermò per circa due mesi alla manifattura di Doccia a Firenze (nota 5) e nel 1762 è a Roma nella fabbrica di Cuccumos.
Nel documento-supplica inviato al Cardinale Torrigiani, Segretario di Stato del Papa, Samuele Hirtz dà qualche indicazione che ci aiuta a capire i suoi spostamenti tra le varie manifatture: “Samuel Hietzio Sassone …espone umilmente come illuminato da Dio abiurò anno 1747 in Vienna la setta Lutherana in cui era nato, e guadagnandosi il vitto con l’arte delle sue mani impiegate nelle fabbriche di Porcellane e di christalli si porte a Venezia…” (nota 6).
Come si intuisce dal soprannome, egli era probabilmente originario o proveniente dalla Sassonia, regione dove il Re Augusto il Forte aveva iniziato la sua sfrenata ricerca per creare la porcellana. Non abbiamo notizie certe, ma potrebbe essere stato come apprendista o operaio a Meissen e avere appreso o rubato quel tanto di conoscenze da girovagare tra diverse manifatture mettendo insieme notizie sulle terre e come ottenere la formula giusta per la porcellana.
Per un certo tempo la fabbrica romana sembra funzionare tanto da ricevere nel 1764 dalla Camera Apostolica un mutuo e prestiti con cui Cuccumos può pagare alcuni debiti, ma ancora non è in grado di rifornirsi dei materiali e pagare i dipendenti. Sempre da suoi documenti con la Camera Apostolica, Cuccumos racconta che lavorassero presso di lui “…molti giovinetti Romani, che già trovansi pressocché esperti in dett’Arte” ma sembra che aspettasse “… Professori Fornanti, Pittori e stampatori, che sono tuttora per giungere da Parti lontanissime, come i tanti Operari forestieri.”(nota 7).
Fine dell’attività
Nonostante i ripetuti interventi di aiuti da parte del governo pontificio, la manifattura entrò definitivamente in crisi e il Capitano dovette ipotecare i suoi beni immobili. La sua fu una vita stentata, segnata anche da vertenze giuridiche con le suore proprietarie del monastero vicino alla sua casa e manifattura per dei problemi di infiltrazione di acqua (nota 8), vertenze che dureranno vari anni.
Infine, nel 1782, fu costretto a cedere l’attività a Lanfranco Bosio e Filippo Bianchini, cui seguirono aspre polemiche che andranno avanti quasi fino alla morte di Cuccumos. Nello stesso anno della cessione della fabbrica il Capitano Cuccumos lasciò la sua abitazione e andò ad abitare vicino alla chiesa delle Sacre Stigmate di San Francesco.
Lanfranco Bosio era giunto a Roma nel 1779, probabilmente di Bergamo. Due anni prima aveva aperto in periferia a Genova nel rione di Sampierdarena, finanziato da un nobile genovese Francesco de Franchi, una fabbrica di maiolica che però chiuse molto presto. L’anno seguente al suo arrivo a Roma, nel 1780, ottiene una concessione per una manifattura di porcellana, maiolica e terraglia e nel 1781, insieme al socio Filippo Bianchini, acquista la fabbrica di Via Panisperna e i materiali del Capitano Cuccumos, il quale sembra avesse venduto a loro anche la privativa. Non risulta che la fabbrica abbia fatto porcellana e nel 1783 Bosio fugge da Roma, mentre Bianchini prosegue fino all’anno 1784 quando restituisce la privativa alla Camera Apostolica e chiude definitivamente la manifattura. Ma non i contenziosi e un processo che iniziato nel 1781 durerà diversi anni.
Molte difficoltà, proteste, suppliche al pontefice e poi anche insinuazioni e accuse a Cuccumos sulla sua reale capacità di produrre porcellana portarono infine nel 1784 la Camera Apostolica a revocare la privativa al Capitano che muore nel 1793 lasciando la moglie Margherita Fiaschi, tre figlie ed erede il figlio Michelangelo.
Ci si chiede come può essere sopravvissuta una piccola manifattura per tanti anni, anche se stentatamente, sfornando solo le figure di santi per la Camera Apostolica. Probabilmente si fabbricava vasellame in maiolica, ma non si conoscono pezzi in questo materiale. Questa ipotesi viene confermata dalla notizia data dal Il diario Ordinario del Chracas del 1765 dove si legge che nella fabbrica di porcellana in Roma presso San Lorenzo in Via Panisperna dal mese di febbraio saranno messi in vendita sia piatti centinati bianchi, sia altri al tornio, piatti grandi tondi e ovali, terrine e vengono messi anche i loro prezzi (nota 9). Viene data anche l’indicazione in quali spacci si possono trovare in città, aggiungendo che si vendono anche maioliche dipinte in turchino e a fiori naturali, saranno poi presto messi in vendita anche “Fajanze” smaltate sia bianche che dipinte e porcellane. Leggendo questo sembrerebbe che in questa data la fabbrica fosse attiva e funzionante tanto da avere diversi rivenditori in città.
La produzione
Quali terre utilizza Cuccumos? Da dove venivano reperite?
Per quanto riguarda la manifattura romana di Cuccumos in una nota del 1765, ricavata dal giornale Chracas (nota 10) tra le spese sostenute per la fabbrica si legge “per terra di Monte Carlo scudi 300”, inserita nella lista con altri materiali. Sembra che fossero utilizzati diversi tipi di terre, infatti in uno scritto del 1785 per il processo di Bianchini e Bosio contro Cuccumos vengono trovati” … tre forni, sei macine, biscotti crudi, porcellane biscottate, terre di Vicenza, terra di Monte Carlo, arena di Antibo” (nota 11). Essendo certamente meno facile reperire e dovendo spendere per il trasporto per le terre toscane e venete, sicuramente dovevano essere utilizzate anche delle terre più “locali”, probabilmente quelle già da tempo ben conosciute e usate per la maiolica delle cave di argilla del territorio di Civita Castellana.
Non si conoscono i nomi dei modellatori, Hirtz il Sassone era certamente più un “esperto delle terre” e i lavoranti certamente erano sia stranieri sia locali. Si conoscono i nomi di alcuni di loro da una testimonianza del processo Bianchini-Cuccumos: un francese Francois Hion, formatore, Domenico Agrozzi scultore, veneziano, Antonio Conrado genovese, tornante. Mottola Molfino elenca anche i nomi del fornaciaro Cremaschi, Giovanni Pascucci e Cinzio Berucci che avevano lavorato nella manifattura già dal 1762 (nota 12).
Le opere
Anche se la fabbrica romana ha avuto circa venti anni di vita, i pezzi prodotti e giunti fino a noi sono solamente tre più un quarto, che solamente citato da antichi autori è ora disperso.
Tutti i pezzi di Cuccumos sono di porcellana dura bianca, di colore leggermente grigio, con dorature dipinte a freddo, sono di soggetto religioso e bene modellati anche nei particolari, si ispirano alla pittura romana coeva e alla scultura tardo barocca.
Una figura di Sant’Antonio e il Bambino Gesù si trova a Milano presso le Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco [Figura 3].
Figura 3. Manifattura Cuccumus, Sant’Antonio con Bambino Gesù, porcellana, altezza cm. 29, Milano, Castello Sforzesco, Civiche raccolte d’Arte Applicata, inv. Eisner 837 (Morazzoni, Levy 1960, II, tav. 271. Mottola Molfino 1977, II, figg. 83-84. Melegati 1999-1, p. 85).
Il santo da Padova vestito con il saio francescano, a piedi scalzi e la testa reclinata sulla spalla destra, tiene tra le sue braccia un telo, sul destro sorregge il Bambino Gesù, che è seduto su un libro e tiene tra le sue mani un giglio. La raffigurazione riprende tre dei tradizionali attributi iconografici del santo: il Bambino Gesù, il giglio e il libro. La figura è in porcellana bianca verniciata, la parte bassa del saio e la manica sinistra presentano la doratura in parte perduta, poggia su di una base quadrata con la parte anteriore sagomata e sulla posteriore reca la marca ROMA 1 Mag 1769 e le lettere CC intrecciate e contrapposte, sormontate da una corona [Figura 3 bis].
Figura 3 bis. Marca sul retro della base, particolare di Figura 3.
Nella collezione di Villa Cagnola a Gazzada di Varese sono conservate due versioni in porcellana bianca di San Francesco in estasi.
Nella prima, San Francesco è inginocchiato su una roccia, vestito con il saio davanti ad un tronco d’albero con foglie, un teschio sul quale è poggiato un libro aperto [Figura 4].
Figura 4. Manifattura Cuccumos, San Francesco in estasi, porcellana, altezza cm. 21,8 (senza base), Gazzada (Va), Collezione Cagnola, inv. PO.342 (foto di Vivi Papi; Melegati 1999-2, p. 301 n. 342, tav. XL).
Il volto del santo, barbuto leggermente girato, è rivolto verso la parte alta del tronco dove doveva trovarsi la croce ora mancante. Le braccia sono aperte e i piedi nudi.
La figura è in porcellana bianca e presenta tracce di doratura a freddo al fondo del saio, ai bordi delle maniche, intorno al collo e nella parte finale della mantellina. Altre tracce si vedono sulle pagine del libro e in alcuni punti del tronco e dei rami.
Marcato sulla roccia “Petrus Morigi Fecit Roma, 1769” e sotto il libro vi sono due CC incise, intrecciate e contrapposte, sormontate da una corona [Figure 4 bis e 4 ter]; sia le lettere che la corona recano tracce di doratura a freddo. La figura poggia su una base in legno scolpito a motivi rocailles e dorato, con alcune applicazioni a forma di nastri in porcellana bianca. Leggere mancanze alla mano sinistra. Ad oggi non si hanno notizie di questo Pietro Morigi, né se fosse uno scultore o un formatore di porcellana.
Figure 4 bis e 4 ter. Marchi relativi al San Francesco di Figura 4.
Nel 1977 Mottola Molfino pubblica la foto di un quadro, in collezione privata milanese e fa derivare questa iconografia da prototipi tardo-cinquecenteschi di scuola caravaggesca [Figura 5]. Oggi l’attribuzione della scena delle stimmate si arricchisce di nuove informazioni, con ricerche fatte dalla redazione di Antiqua: il soggetto deriva da una incisione di Vincenzo Franceschini (Roma 1695- post 1770) “ Le stimmate di San Francesco”, datata 1720, stampa di cui esistono diversi fogli [Figura 6], tratta da un’ invenzione di Francesco Trevisani (Capodistria 1656- Roma 1746) che ha dipinto per la Chiesa delle Sacre Stimmate di San Francesco a Roma la grande pala che si trova sull’altare maggiore [Figura 7].
Figura 5. Autore anonimo, san Francesco riceve le stigmate, olio su rame, prima metà del XVIII secolo, Milano, collezione privata.
Figura 6. Vincenzo Franceschini, san Francesco riceve le stigmate, 1720, incisione.
Figura 7. Francesco Trevisani, san Francesco riceve le stigmate, 1718, Roma, altare maggiore della chiesa delle Sacre Stimmate di San Francesco.
La facciata della suddetta chiesa romana mostra sopra la porta in facciata esterna una scultura in marmo di San Francesco [Figura 8], attribuita allo scultore Antonio Raggi detto Il Lombardo (Vico Morcote 1624-Roma 1686).
Figura 8. Antonio Raggi (attr.), san Francesco riceve le stigmate, Roma, facciata della chiesa delle Sacre Stimmate di S. Francesco (fonte: Alamy).
La statua di San Francesco attribuita al Raggi ricorda la seconda figura in porcellana di San Francesco in estasi della Gazzada [Figura 9]. È indubbio pensare che Cuccumos abbia preso ispirazione proprio dalla scultura della chiesa della Sacre Stimmate di san Francesco, presso la quale era andato ad abitare nel 1781, come visto sopra, dopo la cessione della manifattura a Bosio e Bianchini.
Figura 9. Manifattura Filippo Cuccomos, San Francesco, porcellana, altezza cm. 26, Gazzada (Va), Collezione Cagnola, inv. PO.343 (Melegati 1999-2, p. 301 n. 343).
Anche in questa porcellana dura bianca, il santo è rappresentato con la barba, vestito con il saio, a piedi nudi, in ginocchio su di una nuvola con cherubini, la testa girata sulla spalla destra e lo sguardo in alto, rivolto verso la Croce che è mancante. Il braccio sinistro è allungato in basso con la mano aperta, mentre il destro è piegato verso il petto con la mano chiusa.
Tracce di dorature a freddo in alcune parti del saio. Il gruppo poggia su di una base di legno intagliato e dorato a motivi rocailles. Mancante di marca, si può datare tra il 1760 -80.
Questa seconda figura di San Francesco è semplificata rispetto alla prima ma ci sono diverse piccole differenze: la posizione delle ginocchia e delle braccia, la base in porcellana presenta nuvole e amorini che non sono presenti nella prima, mancano il libro, il teschio e il crocifisso probabilmente perduto, tradizionali attributi del santo.
Tra le opere note della manifattura Cuccumos, si hanno diverse notizie di una Deposizione, ma il gruppo in porcellana è disperso da molti anni. La notizia più antica, anzi una descrizione, ce la offre il Giornale del Cracas del 3 luglio 1773 che scrive “Per la sud. Festa da codesta Fabbrica di Porcellana del Sig. Capitano Filippo Cuccumos, è stato fatto presentare a sua B.ne nella solita Sala dei Tributi nel Palazzo Vaticano un Gruppo di Porcellana di singolare qualità, e di ottima scultura, rappresentante un Cristo deposto dalla Croce, con diversi stromenti della Passione, e molti altri ornati, che guarniscono la Croce, e il piede dorato della medesima.” (nota 13).
Mottola Molfino riporta notizie prese dal “Fortnum-Drury”, dove il gruppo viene definito “molto ben modellato”. Fortnum riferisce che la “Deposizione “si trovava nel 1870 presso il Signor Corvisieri (nota 14). Anche in altri autori spesso questo gruppo viene detto” Deposizione Corvisieri”. Costantino Corvisieri (1822-1898) era archeologo, numismatico, paleontologo e collezionista, nonché Direttore dell’Archivio di Stato. Aveva un negozio d’antiquariato in Via della Vite a Roma, insieme al figlio Domenico. Il gruppo della Deposizione, tuttavia, non si trovava più presso di lui alla data della sua morte avvenuta nel 1898.
Segnaliamo infine che tempo fa è passata in asta da Christie’s, con l’attribuzione a Filippo Cuccumos , una coppia di aironi in porcellana bianca, montata su basi di legno dorate, Viene indicata una marca in blu con due CC intrecciate e incoronate, che però ma non è visibile nelle immagini fornite dalla casa d’aste [Figura 10]. Questi aironi ricordano il grande airone (altezza 62 centimetri) in porcellana bianca di Meissen che si trova al Museo di Dresda (n. inv. P.E. 136), facente parte dei grandi animali opera di J.J. Kaendler del 1731. Per prudenza questi pezzi meriterebbero qualche approfondimento.
Figura 10. Manifattura Filippo Cuccomos (attr.), Coppia di aironi, porcellana, 1765 circa, Christie’s, Londra novembre 2013 n. 241.
Alcune considerazioni finali
L’inedita figura di San Bartolomeo mette in evidenza le somiglianze con Sant’Antonio da Padova. L’impianto scultoreo è sostanzialmente simile, semplice: i santi sono in porcellana bianca con tracce di dorature a freddo, sono in piedi su di una piccola base, rappresentati ciascuno con i loro attributi. L’idea del movimento è data dal ginocchio piegato. La marca si trova sul retro della base ed è solamente incisa nella pasta. Misurano tutte e due 29 centimetri, le teste son inclinate a destra, la braccia sono aperte a sostenere un telo in una, la pelle nella seconda. Sembrerebbe siano stati utilizzati gli stessi stampi, modificando e adattando gli attributi caratteristici di ciascun santo.
Le due figure di San Francesco in estasi si presentano con struttura più complessa, arricchite da elementi architettonici con piante e rocce, dove sono inseriti i classici attributi del santo, ma in tutti e due i gruppi manca la rappresentazione della Croce. Poggiano entrambi su basi di legno dorato di gusto rocaille. Le altezze sono però diverse, una 32,5 centimetri e la più piccola cm. 26.
Quanto sopra trova rispondenza anche nelle marche. Le figure di Sant’Antonio con il Bambino Gesù e la nuova di San Bartolomeo presentano entrambe la marca incisa nella pasta nella parte posteriore della base: ROMA 1 Mag 1769, accompagnata dalle lettere CC intrecciate e contrapposte, sormontate da una corona.
La prima figura di San Francesco (vedi sopra Figure 4, 4 bis e 4 ter) presenta la marca incisa nella pasta sotto un leggio: Petrus Morigi Fecit Rome 1769 e le due C intrecciate e coronate, arricchite da doratura. Il secondo San Francesco (vedi sopra Figura 9) non presenta alcuna marca.
Verrebbe da pensare che le figure dei Santi più semplici siano quelle che dovevano essere presentate annualmente alla Camera Apostolica, mentre le altre più importanti e ricche potessero essere state eseguire su commissioni private. La marca con le due CC incrociate e contrapposte fa di sicuro riferimento a Capitano Cuccumos e il modo di intrecciare le lettere e la corona sovrapposta la avvicina a molte marche di porcellana soprattutto di manifatture di area germanica.
Rimane misteriosa la data che viene posta su quasi tutti i pezzi: ROMA I° maggio 1769. Per ottemperare alle richieste legate alla privativa papale del 1761, le figure dovevano essere consegnate per la festività dei Santi Pietro e Paolo che cade il 29 giugno. L’anno 1769 è quello di morte di Papa Clemente XIII, Carlo Rezzonico (2 gennaio) ed anche l’anno dell’elezione del nuovo Papa Clemente XIV, Giovanni Vincenzo Ganganelli (19 maggio 1769). Rimane però sempre oscura la data del 1° maggio.
Se la manifattura del Capitano, pur tra problemi e difficoltà, ha avuto una durata di circa 20 anni e se, come da accordi con la Camera Apostolica, doveva consegnare una figura di santo ogni anno, queste dovrebbero essere circa 20 mentre a noi ne erano note solamente tre a cui possiamo ora aggiungere l’inedito San Bartolomeo in collezione privata, arricchendo di un piccolo tassello la conoscenza della sua produzione.
C’è da sperare altri pezzi della manifattura si nascondano nei depositi di qualche museo o presso collezionisti e che nuovi fortunati ritrovamenti si aggiungano a questo permettendo una migliore conoscenza della prima manifattura che ha sperimentato la produzione della porcellana a Roma.
NOTE
[1] Mottola Molfino, 1977, p.51.
[2] Ibidem, p. 51.
[3] Filippo Cuccumos potrebbe definirsi Capitano forse per un passato da militare nell’esercito pontificio?
[4] Per le notizie su Samuel Hirtz vedere Mottola Molfino, 1977; Santuccio 1988; Biancalana, 2001.
[5] Biancalana, 2001, p. 20 ,21.[Alcune notizie su Samuel Hietz lui sono contenute nell’articolo Gli hausmaler su porcellana: un fenomeno complesso e ancora poco conosciuto. Parte II, di Alessandro Biancalana, pubblicato a marzo di quest’anno (Leggi), ndr].
[6] Supplica al cardinale Torrigiani, 7 aprile 1762 (Biancalana, 2001, p. 20).
[7] Mottola Molfino 1977, p. 52.
[8] Santuccio 1988, p. 82.
[9] Santuccio 1996, p. 262.
[10] Santuccio 1988, p. 87, n. 4.
[11] Biancalana 2001, pp. 20-21.
[12] Mottola Molfino 1977, p. 54, n. 14.
[13] Per notizie sulla Deposizione: Santuccio 1988, p.86, n. 52; De Mauri 1956, p. 506; Mottola Molfino 1977, p. 53; Melegati 1999-2, p. 301. La suddetta festa è quella dei Santi Pietro e Paolo, mentre Sua Beatitudine si riferisce a Papa Clemente XIV Ganganelli, il cui papato va dal 1769 al 1774.
[14] Fortnum 1873, p. 463.
Bibliografia citata o specifica
-Cracas, Diario ordinario, n. 7437, Roma 2 marzo 1765.
-C. D. E. Fortnum, A descriptive catalogue of the maiolica, hispano-moresca-persian-damascus, and rodhian wares in the South Kensington Museum, Londra 1873, pp. 463.
-L. De Mauri, L’amatore di maioliche e porcellane, Milano 1924.
-F. Sacchi, Filippo Cuccumos capitano romano ceramista, in La ceramica n. 10, 1964
-A. Mottola Molfino, L’arte della porcellana in Italia, 2 vol, Busto Arsizio 1977.
-G. Santuccio, Filippo Cuccumos e la manifattura di porcellane in Via Panisperna a Roma, in Bollettino d’arte, Roma 1988.
Maggio 2021
© Riproduzione riservata
Post Scriptum (novembre 2021)
Contrariamente a quanto scritto nell’articolo, il San Bartolomeo di Filippo Cuccumos non è inedito, essendo stato già pubblicato da Giuliana Santuccio nel saggio Die Porzellan Manufaktur Cuccomos in Rom, contenuto in: Ulrich Pietsch-Theresa Witting (a cura di), Zauber der Zerbrechlichkeit. Meister Eurapaisches Porzellankunst, Lipsia 2010, pp. 259-263 (ringraziamo Alessandro Biancalana per avercelo segnalato).