Placchetta in bronzo di Ifigenia in veste di Prudenza
di Attilio Troncavini (*)
Trattiamo di una placchetta in bronzo, che qui vediamo riprodotta nell’esemplare della National Gallery of Art di Washington [Figura 1], il cui soggetto non è mai stato identificato in modo del tutto convincente. La scena è piuttosto complessa. Si vede una donna seduta su un drago, dietro la quale compare un’ancella che regge uno specchio; davanti a lei un uomo si appoggia a una mazza con la mano sinistra e con la destra regge una palma; dietro di lui, un altro uomo regge su un’asta la testa di un uomo barbuto con un berretto frigio; all’estrema sinistra, una statua di Artemide (Diana) con ai piedi un leone.
Figura 1. Maestro IOFF, Ifigenia in veste di Prudenza, rilievo in bronzo, d. cm. 6, Washington, National Gallery of Art (fonte wikimedia).
Cosa rappresenta
Premettendo che “Questa scena è sempre stata un enigma”, ci prova Jestaz a riconoscervi, seppur dubitativamente, la Presentazione della testa di Ciro alla regina Tomiride a proposito dell’esemplare conservato nel Museo Civico di Belluno. Egli cita Dacier che, sulla base di un’idea di Henri Girad, la riconosce come tale nell’esemplare utilizzato in una rilegatura per Grolier presso la Biblioteca di Francia (Dacier E., Un Grolier inconnu à la Bibliotheques de France, IV, 1933, p. 67).
Lo stesso Jestaz cita la proposta formulata da Rossi (in Rassegna della placchetta dal XV al XVII secolo, Udine 1984, p. 186 n. 29, successivamente confermata dallo stesso Rossi (La collezione Mario Scaglia. Placchette, Lubrina, Bergamo 2011, VI.13 p172b tav. XLIII), secondo il quale la scena raffigurerebbe Medea che aveva fatto tagliare a pezzi il fratello Absyrtus, ma non la condivide perché “essa fece spargere i resti del fratello lungo la strada per ritardare l’inseguimento del padre Aietes, non fece portare la testa come un trofeo” (Jestaz 1997 p. 41 n. 14).
Secondo noi non può essere Medea (cfr. Apollonio Rodio, Argonautiche) che non ha alcun rapporto con Artemide, la quale compare in effige sulla sinistra con i suoi attributi convenzionali (Callimaco, Inno ad Artemide, 4, 12).
Nemmeno però convince l’ipotesi che la donna seduta sia Tomiri poiché è noto che la testa di Ciro le sia stata presentata immersa nel sangue.
In precedenza, il Fulton aveva sostenuto che potrebbe trattarsi di un’allegoria della Prudenza. (Fulton 1989, p. 148 e 159 nota 8). A questa interpretazione si uniforma la Venturelli, insistendo sulla sua esaltazione tramite Artemide; la scena che vede l’uomo reggere una picca con in cima una testa viene correttamente identificata con il sacrificio ad Artemide dei forestieri che approdavano in Tauride, uccisi e decapitati (Venturelli, Legature a placchetta … s.d.).
Il ragionamento che lega Artemide alla Prudenza, sviluppato dalla Venturelli, è piuttosto complesso per cui si rimanda alla fonte citata.
È interessante rilevare come la studiosa citi l’Ifigenia in Taurica di Euripide (40 e ss.) e Le storie di Erodoto (IV, 193), dove si racconta del sacrificio ad Artemide di cui sopra, senza evidenziare il ruolo di Ifigenia che, come vedremo, è centrale ai fini del discorso che desideriamo sviluppare.
La Venturelli cita anche il commento di Servio all’Eneide di Virgilio (II, 116 e VI, 136) che riprenderemo in alcune considerazioni finali.
Concordiamo sul fatto che la placchetta rappresenti un’allegoria della Prudenza, come dimostra un’incisione di Marcantonio Raimondi con lo stesso soggetto, in cui si vede una donna seduta da un lato su un drago e dall’altro su un leone che, come già segnalato, compare nella placchetta ai piedi del simulacro di Artemide [Figura 2].
Figura 2. Marcantonio Raimondi, Allegoria della Prudenza, incisione, Vienna Albertine.
Con l’occasione segnaliamo un’altra placchetta che appartiene alla raccolta di Palazzo Madama a Torino [Figura 3], ivi identificata come Cibele, che mostra invece una Prudenza che sembra ricalcare l’idea del Raimondi (nota 1).
Figura 3. Ignoto artefice, Prudenza, rilievo in bronzo, cm. 7,5 x 10, Torino, Palazzo Madama, inv. 1199_B.
Una nuova ipotesi
Riteniamo, tuttavia, che la donna seduta sul drago nella placchetta di cui alla Figura 1, con cui abbiamo aperto questo contributo, sia proprio Ifigenia rappresentata come personificazione della Prudenza (Bardelli-Fantone 2017 p. 22-25).
Questa convinzione nasce dal fatto che nella scena del sacrificio descritta da Euripide è Ifigenia ad agire in prima persona:
“Così docile alle leggi di un culto di cui si compiace la dea Artemide, ma che non ha niente di bello altro che il nome di culto (del resto taccio temendo la mia signora), schiava d’un uso che esisteva già in questi luoghi prima di me io sacrifico tutti i Greci che sbarcano qui o almeno sono io che li consacro perché ad altri compete sgozzarli in segreto nelle profondità di questo palazzo sede della Dea” (Euripide, Ifigenia in Tauride, 25-42).
Nella stessa scena narrata da Erodoto è alla stessa Ifigenia che i Tauri recano in sacrificio le teste dei Greci innalzate su pali. Erodoto cita espressamente la mazza con la quale le vittime sono abbattute a cui, nella placchetta, si appoggia l’uomo con la palma:
“Fra queste popolazioni i Tauri hanno le seguenti abitudini: sacrificano alla vergine i naufraghi e i Greci catturati anche al largo; fanno così: cominciato il rito di consacrazione, colpiscono la vittima sulla testa con un bastone. Secondo alcuni gettano poi il corpo della vittima giù da una rupe (in effetti il santuario sorge su una rupe) e ne piantano la testa su un palo […]. Sono i Tauri stessi ad affermare che la divinità a cui offrono questi sacrifici è Ifigenia, la figlia di Agamennone. […]” (Erodoto, Storie, libro IV, 103) (nota 2).
Il commento di Servio all’Eneide
Giunti a questa conclusione, ossia che il personaggio assiso su drago, nonché il soggetto della placchetta, sia Ifigenia nei panni della Prudenza, riprendiamo, come preannunciato, i due brani del commento di Servio all’Eneide di Virgilio che la Venturelli cita a proposito della placchetta in esame (nota 3).
Il primo brano è un commento al verso 116, 117 e 118 del libro II dell’Eneide in cui ai Danai (Greci) viene chiesto di sacrificare una giovane (per placare l’ira di Diana-Artemide).
Servio spiega che quando i Greci furono giunti in Aulide, Agamennone uccise inconsapevole un cervo di Diana scatenando le ire della dea che fece tacere il soffio dei venti, impedendo la navigazione, e scoppiare una pestilenza. Gli oracoli dissero che Diana sarebbe stata placata solo dalla morte di una giovane della stirpe di Agamennone. Ifigenia, figlia di Agamennone e destinata al sacrificio, fu sottratta alla morte dalla compassione della dea, sostituita da una cerva e trasportata in Tauride presso il re Toante. Qui divenne sacerdotessa di Diana e mentre effettuava sacrifici umani alla dea, come narrano Euripiede ed Erodoto, riconobbe il fratello Oreste, il quale uccise Toante e portò via la statua di Diana nascosta in un involucro di legno.
Il secondo brano, un commento ai versi 136 e 137 del libro IV dell’Eneide, costituisce una sorta di sequel rispetto al primo: Oreste dopo aver ucciso il re Toante in Tauride fuggì con la sorella Ifigenia e collocò la statua di Diana colà sottratta non lontano da Ariccia.
In esso si parla di un ramo dorato che non ha alcuna attinenza con Ifigenia, ma che compare in altri versi del libro VI dell’Eneide. Come spiega la Sibilla Cumana a Enea, egli dovrà strappare questo ramo dorato per accedere agli Inferi ed incontrare il padre Anchise.
Per questo troviamo il ramo sorretto dalla Sibilla Cumana al centro di una rara placchetta in bronzo del cosiddetto Maestro di Orfeo raffigurante Enea che scende agli Inferi [Figura 4], stabilendo con la placchetta di Ifigenia un inedito collegamento di ambito squisitamente letterario.
Figura 4. Maestro di Orfeo, Enea scende agli inferi, rilievo in bronzo, d. cm. 6, Gazzada (Va), Collezione Cagnola, inv. PL.052.
Epoca e autore della placchetta di Ifigenia
Il riferimento ai testi classici, più volte ripreso, ci consente di svolgere anche qualche considerazione finale sull’epoca della placchetta e sul suo autore, il misterioso Maestro IOFF, identificato di volta in volta con vari artefici come riportato nell’articolo Placchetta di Marco Curzio del Maestro IO.FF. (novembre 2017) a cui si rimanda [Leggi].
È invalsa l’opinione che l’iconografia di Ifigenia si diffonda in campo artistico dopo la pubblicazione delle tragedie di Euripide avvenuta nel 1503 a Venezia (nota 4).
Se ciò riguardasse anche la nostra placchetta, ossia se la sua ideazione fosse avvenuta sull’onda della nuova popolarità dovuta al soggetto, la dovremmo collocare dopo il 1503, escludendo dal novero dei possibili candidati ad essere il Maestro IOFF proprio il più accreditato, ossia quel Giovanni Fondulino Fonduli, scultore cremasco attivo a Padova e presente anche a Milano, che risulta deceduto prima del 1497 (nota 5).
È pur vero che l’interesse verso un autore classico e il dibattito letterario che ne deriva precede la pubblicazione della sua opera e che, in epoca umanistica, intellettuali e artisti comunicavano “in tempo reale”, diremmo oggi, quindi il soggetto della placchetta potrebbe essere stato concepito anche prima dell’ultimo decennio del XV secolo.
Nel loro volume intitolato Il mito di Ulisse nella pittura a fresco del Cinquecento italiano (Jaca Book, 1996) Marco Lorandi e Orietta Pinessi scrivono: “… più che il modello di Euripide, pur noto in ambito cinquecentesco …, il tema ebbe fortuna attraverso la divulgazione delle Metamorfosi ovidiane (libro XII) sia in latino, sia nelle volgarizzazioni di Nicolò degli Augustini (1531) e di G. Andrea Anguillara (1578) e ancora attraverso le Fabule di Igino”.
Se ciò fosse vero, la placchetta di Ifigenia dovrebbe considerarsi ancora più tarda. Tuttavia, il tema a cui si riferiscono è quello in cui Ifigenia, destinata ad essere sacrificata a Diana, viene sostituita con una cerva, come ci ha “appena” raccontato Servio.
NOTE
[1]
Il tema della Prudenza sotto il profilo iconografico è in realtà assai più complesso. Si è soliti rappresentarla in senso allegorico anche mostrando un essere tricefalo, dove le tre teste corrispondono alle tre diverse età dell’uomo, talvolta accompagnato da una triade bestiale (lupo, leone, cane) accanto alla quale compare spesso un serpente.
Per un primo approfondimento, che può fornire stimoli per ulteriori ricerche, si possono consultare in rete i seguenti contributi: Vedi e Vedi.
Nella simbologia cristiana, invece, leone e serpente (drago) rappresentano spesso le forze del male; sull’argomento: Antonio Quacquarelli, Il leone e il drago nella simbolica dell’età patristica, Quaderni di Vetera Christianorum, XI, Bari 1975.
[2] Per un errore di trascrizione, questo verso, il numero 103, è stato citato dalla Venturelli come 193 e da Bardelli-Fantone come 113. Per quanto riguarda l’uomo che regge la palma, la Venturelli pensa “… a un simbolo del trionfo nelle competizioni e sulle avversità della sorte; piuttosto che alla tenacia e alla forza, qualità necessarie per superare la sorte avversa” (Venturelli, op. cit., nota 26).
[3] In Appendice, la traduzione integrale dei due commenti di Servio a cura di Eugenia Fantone.
[4] Euripides, Τραγῳδίαι ἑπτακαίδεκα (Tragœdiæ septendecim), Aldo Manuzio, Venezia febbraio 1503.
[5] Maria Verga Bandirali, Giovanni Fonduli (De Fondulis, De Fondutis, Fondulo, Fondullus, Fondolin), Giovanni, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 48 (1997) [Leggi].
Bibliografia (sopra citata in forma sintetica)
-C. B. Fulton, The Master IO.F.F. and the Function of Plaquettes, in Italian Plaquettes, Studies in the History of Art, 22, Alice Luchs, Washington, National Gallery of Art, 1989.
-B. Jestaz-T. Franco, Le placchette e i piccoli bronzi. Le Sculture (catalogo del Museo Civico di 1482 (Belluno, III), Cornuda 1997.
-Paola Venturelli, Legature a placchetta per Jean Grolier, tesoriere generale di Luigi XII a Milano. Considerazioni sul maestro IO.F.F. (s.d. saggio pubblicato sul sito della Biblioteca Braidense di Milano, versione web a cura di V. Balsamo e G. Mura) [Leggi].
-A. Bardelli-E. Fantone, Il fascino dell’antico. Le placchette in bronzo della collezione Cagnola, Gazzada (Va) 2017.
Questo articolo nasce dalla rielaborazione della scheda relativa a un esemplare della placchetta in esame, pubblicata nella brochure che ha accompagnato la mostra Il fascino dell’antico. Le placchette in bronzo della collezione Cagnola a cura di Andrea Bardelli e Eugenia Fantone (Villa Cagnola a Gazzada, Va, 17 ottobre-30 novembre 2017) e ne costituisce un approfondimento.
Appendice
SERVIO, COMMENTARIUS.
VERSO 116 (E SS.), ENEIDE, LIBRO II:
“Col sangue placaste i venti e con una ragazza sacrificata (v. 116);
quando all’inizio, o Danai, giungeste alle spiagge iliache (v. 117);
occorre cercare i ritorni col sangue e sacrificare con una vita argolica (v. 118)”
Commento di Servio.
Iphigenia [titolo dato a margine da Servio].[Sanguine placastis ventos et virgine caesa] Cum Graeci ad Aulidem venissent, Agamemnon Dianae cervum occidit ignarus. Unde irata dea flatus ventorum removit. Quamodrem cum nec navigare possent, et pestilentiam sustinerent: oracula consulta dixerunt Agamemnonio sanguine Dianam esse placandam.
Ergo cum ab Ulysse per numptiarum simulationem adducta Iphigenia in eo esset ut immolaretur numinis miseratione sublata est: cervaque supposita: et translata ad Tauricam regionem regi Thoanti tradita est. Sacerdosque facta Dictynae Dianae, cum secundum statutam consuetudinem humano sanguine numen placaret, agnovit fratrem Orestem: qui accepto oraculo, carendi furoris causa cum amico Pylade Colchos petierat: et cum his occiso Thoante simulachrum sustulit absconditum fasce lignorum.
Traduzione di Eugenia Fantone:
Quando i Greci furono giunti nell’Aulide, Agamennone uccise inconsapevole un cervo di Diana. Per questo la dea irata fece tacere il soffio dei venti. Perciò non potendo navigare, e subendo una pestilenza: gli oracoli consultati dissero che Diana sarebbe stata placata dal sangue (stirpe) di Agamennone.
Pertanto, quando Ifigenia con la scusa delle finte nozze fu condotta là [in Aulide] da Ulisse per essere sacrificata fu sottratta alla morte dalla compassione della dea: sostituita da una cerva: e trasportata nella Tauride fu affidata al re Toante.
Nominata sacerdotessa di Diana Dictinna, mentre secondo una consuetudine inveterata placava la divinità con sangue umano, riconobbe il fratello Oreste: che ricevuto un oracolo, per evitare la pazzia aveva raggiunto la Colchide con l’amico Pilade: e dopo aver ucciso Toante portò via la statua nascosta in un involucro di legno.
VERSO 136-137, ENEIDE LIBRO VI:
“Ascolta ciò che deve essere fatto prima. Nascosto in un albero ombroso (v. 136) un ramo d’oro, con foglie e gambo pieghevole (137)”
Commento di Servio:
Fabula de arbore aureo [titolo dato a margine da Servio].[Latet arbore opaca Aureus] Licet de hoc ramo, hi qui de sacris Proserpinae scipsisse dicunt quiddam esse mysticum affirment: publica tamen opinone hoc habet.
Orestes post occisum regem Thoantem in regione Taurica cum sorore Iphigenia (ut supra diximus) fugit et Dianae simulachrum inde sublatum haud longe ab Aritia collocavit. In huius templo post mutatum situm sacrificiorum fuit arbor quaedam de qua infringi ramum non licebat.
Traduzione di Eugenia Fantone:
Benché di questo ramo coloro che dicono di avere scritto sui riti di Proserpina affermino che c’è qualcosa di mistico, tuttavia questo risulta dalla tradizione.
Oreste dopo aver ucciso il re Toante nella Tauride fuggì con la sorella Ifigenia (come dicemmo sopra) [Eneide, libro II, v. 116] e collocò la statua di Diana di là sottratta non lontano da Ariccia. Nel suo tempio dopo il cambiamento del rito dei sacrifici ci fu un certo albero dal quale non era lecito strappare un ramo.
(*) Prima pubblicazione: Antiqua.mi, febbraio 2018, firmato A.B. (alias Attilio Troncavini)
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