Oleg Zastrow, Croci e Crocifissi, tesori dall’VIII al XIX secolo, 5 Continents, Milano 2009, euro 80,00.

Un libro che tratta un argomento avvincente, quello dei crocifissi dall’antichità al XIX secolo, scritto da Oleg Zastrow, un eminente studioso che vanta un curriculum di tutto rispetto, eppure, forse per le troppe aspettative, si resta un po’ delusi.
E’ innegabile che i crocifissi scolpiti, intagliati, fusi o sbalzati stiano vivendo un momento di grande interesse sul mercato antiquario (non vogliamo pensare che la causa sia la polemica innescatasi sul crocifisso nelle scuole, quanto una rinnovata attenzione per gli oggetti d’arte più rari e preziosi). Certo è che questo volume avrebbe potuto soddisfare la curiosità di chi volesse saperne di più a proposito di questo oggetti non facilmente identificabili quanto a provenienza e, soprattutto, a epoca.
Diremo subito che il volume di Zastrow è comunque interessante e le foto davvero stupende aiutano ad apprezzare, nei particolari, questi crocifissi in rame sbalzato, legno, avorio, bronzo, argento e altro. Ecco le principali critiche che sentiamo di muovergli:
a) nuoce al volume la circostanza che esso sia una sorta di catalogo di una collezione, tra l’altro fatta di pezzi di qualità eterogenea, così che l’autore è stato costretto a lavorare solo sul materiale disponibile. Le schede sono ben fatte, ma sfruttano descrizioni ripetitive che si addicono più a un lavoro di classificazione che a un’opera con finalità divulgative;
b) non sono sempre specificati i criteri che consentono di risalire a epoca e provenienza. In alcuni casi, quindi, alcuni crocifissi che al profano possono sembrare del tutto simili sono assegnati ad ambiti diversi senza alcuna apparente giustificazione;
c) l’autore dimostra un certo accanimento nei confronti di un’altra pubblicazione (B. D’Onorio, in Ave Crux Gloriosa. Croci e Crocifissi nell’arte dall’VIII al XX secolo, Montecassino 2002) contro la quale si scaglia in modo che appare a tratti ossessivo;
d) quando l’autore si avvale di confronti, nuoce inevitabilmente la mancanza delle relative immagini, ma quando è stato possibile fare delle verifiche alcuni riferimenti sono parsi discutibili per la loro genericità;
e) infine, pur correndo il rischio di apparire provinciali, il testo inglese a fronte ci sembra solo uno spreco di pagine (ben venga invece se era l’unico modo, allargando l’utenza, per consentire la pubblicazione).
Detto questo (e scusate la pedanteria) è un volume da non perdere.

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