Argenti placcati lucchesi doublé della prima metà dell’Ottocento

della Redazione di Antiqua

Nel suo saggio Oreficeria, contenuto nel secondo volume dell’enciclopedia Tecniche dell’Arte appena pubblicato da Mursia [Leggi recensione], Antonella Capitanio, fornisce una definizione di “placcatura” come segue: “Rivestimento di un metallo non prezioso, in genere rame, con un sottile foglio di argento e oro”. Prosegue scrivendo che la tecnica era già nota nell’antichità, ma si diffonde a partire dal 1742 a Sheffield nella produzione di argenterie tuttora note col nome della città inglese, come in altri centri dove viene definita con il termine francese Doublé … “che troviamo impresso come marchio di garanzia ad esempio su oggetti così realizzati a Lucca tra il 1810 e il 1847” (nota 1).
È scattata la curiosità di approfondire l’argomento, ma in rete non si trova pressoché nulla, tantomeno immagini di argenterie Doublé lucchesi
Perché fare un esempio così specifico? Una città in un arco di tempo relativamente breve?
Una spiegazione potrebbe essere che Antonella Capitanio è una specialista e conta tra le sue numerose pubblicazioni il titolo Orafi e marchi lucchesi dal XVI al XIX secolo (Spes, Parma 1986).
In questa pubblicazione fa riferimento a una legge del febbraio 1810 in base alla quale l’orefice è tenuto ad aggiungere al proprio bollo di garanzia quello delle cifre indicative della quantità di metallo prezioso (oro o argento) impiegato nel lavoro su cui sarà impressa doublé per intero (“in tutte le lettere”) e mostra un’immagine del marchio [Figura 1, nota 2].

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Figura 1. Marchio di un oggetto in argento doublé, Lucca 1810-1847.

Il titolo dei metalli viene dato in millesimi, anche se specificandone l’equivalenza in carati per l’oro e in denari per l’argento; in questo caso 10 M (=millesimi) indica la proporzione di argento che ricopre l’oggetto rispetto al metallo vile che lo costituisce.
Quello di Lucca sembra quindi un caso unico in Italia, almeno in una versione prevista dalla legge in modo così circostanziato.
L’arco temporale 1810-1847 è facilmente spiegabile in termini storici.
L’atto è stato promulgato a poco meno di 5 anni dall’insediamento di Elisa Bonaparte e del consorte Felice Baciocchi quali sovrani del Principato di Lucca e Piombino, nato dall’unione del Principato di Piombino, assegnato da Napoleone alla sorella il 18 marzo del 1805, con la Repubblica di Lucca, ceduta anch’essa ai coniugi Baciocchi il 24 giugno 1805.
Dopo il congresso di Vienna (1815), il principato cessò di esistere: Piombino entrò subito a far parte del Granducato di Toscana, mentre Lucca divenne un Ducato retto prima da Maria Luisa dei Borboni di Spagna (1782-1824) e, alla sua morte, dal figlio Carlo Lodovico dei Borboni di Parma (1799-1883). Evidentemente, i nuovi duchi di Lucca non ritennero di abrogare i provvedimenti del 1810 che restarono quindi in vigore fino al 1847 quando, dopo aver ceduto alcuni territori a Modena, anche Lucca passò ai Granduchi di Toscana.
È evidente che se il legislatore aveva avvertito l’esigenza di regolamentare questo settore produttivo significava che a Lucca si producevano numerosi manufatti in metallo placcato argento, affiancandoli ad altri in argento massiccio [Figura 2].

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Figura 2. Bottega lucchese, Cucchiaino con manichino a torciglione e paletta mistilinea, argento fuso. Cm. 25; marchi: sul coperchio, punzone G e punzone LP2 (burò di garanzia 1810-1847), Lucca 1831, inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Lucca (2015).

Allo stesso modo, è probabile che la decadenza, dal 1847 in poi, dell’obbligo per gli orafi lucchesi di autocertificare gli argenti “doublé” sia da mettere in relazione a un progressivo abbandono di questa tecnica. Gli artigiani si erano infatti accorti che l’ingente lavoro costituito dall’esecuzione del pezzo in rame (o altro metallo) in ogni parte, dalla predisposizione di una sottile lamina in argento, eseguita per lo più manualmente dai cosiddetti battiloro (nota 3) e dall’applicazione a caldo della lamina al manufatto era più dispendioso di quanto non risultasse l’impiego diretto, nell’esecuzione dell’oggetto, di una più spessa lamina in argento.
Questo ancor prima che i procedimenti di rivestimento galvanico da poco scoperti rivoluzionassero il settore (nota 4).
Ciononostante, due botteghe di placcatori, di cui una gestita dalla famiglia Cioni, erano attive a Lucca fino agli anni Sessanta del XX secolo.

NOTE

[1] A. Capitanio, Oreficeria, in Tecniche dell’Arte, II, Mursia, Milano 2021, p. 208.

[2] Il testo della legge è reperibile in rete. Più precisamente si tratta della Legge sui lavori d’argenteria, ed Oreficeria del 24 febbrajo 1810, contenuta nel Bollettino officiale delle leggi, e decreti del Principato lucchese da Gennajo a tutto Giugno 1810, stampato a Lucca presso Francesco Bertini nel 1810, n. 18, p. 42 [Vedi ]. Il comma sopra citato fa parte dell’art. 86 del Titolo Settimo (ivi p. 60), mentre il bollo di garanzia dell’orefice è regolamentato dall’art. 8 del Titolo Primo (ivi p. 44).

[3] Ciò sebbene il processo di laminazione, eseguito comprimendo progressivamente il metallo tra due rulli ruotanti in senso inverso, fosse noto almeno a partire dal XVI secolo (Capitanio 2021, p. 207).

[4] Fu per primo il fisico svizzero August de La Rive (1801-1873), attorno al 1840, a descrivere il processo di elettrodeposizione dell’argento che permetteva di rivestire in argento un oggetto realizzato in altro materiale all’interno di un bagno galvanico.

Saremmo grati a chiunque fornisse informazioni e immagini di oggetti plaqué eseguiti a Lucca dal 1810 al 1847.
Un particolare ringraziamento alla professoressa Antonella Capitanio per alcune precisazioni forniteci, nonché a Gianni Giancane e Alessandro Biancalana.


Ottobre 2021

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