I giocattoli della ditta Cardini di Omegna
di Luisa Dellanzo (*)
La storia che vi voglio raccontare oggi riguarda il rinvenimento dei “tredici Cardini”.
“Quel giorno tutto ebbe inizio con una telefonata concitata … era mio fratello che mi avvertiva di una fiera di beneficenza che si stava svolgendo in un paesino dell’entroterra ligure.
Gli risultava che il proprietario di uno storico negozio di giocattoli della vecchia Alassio, già chiuso da lungo tempo , volendo vendere lo stabile, avesse donato tutti i fondi del magazzino alla parrocchia di Solva e il parroco progettava di organizzare una favolosa lotteria.
Ricordavo bene quel negozio che era stato sede di molti peccati di gola della mia infanzia di bambino sfollato dalla città in guerra.
Senza por tempo in mezzo mi sono “fiondato” fin lassù, dove, ancora ansante per aver percorso le mulattiere, chiesi al parroco di acquistare in blocco tutta la merce.
Giustamente, il parroco mi rispose negativamente perché, mi spiegò gentilmente , il bussolotto dei numeri era pronto, ad ogni oggetto ne corrispondeva uno, inoltre la lotteria era stata pubblicizzata e l’aspettativa dei bambini era tanta.
Anzi parecchi biglietti erano già stati venduti.
Io, in preda a una frenesia che lascio immaginare ai collezionisti, avevo già adocchiato fra i premi esposti in bella vista parecchi esemplari “irrinunciabili”.
Non mi rimase così che acquistare tutti i biglietti in vendita e, per quelli già venduti, proporre un acquisto molto vantaggioso. O contrattando uno scambio con i bambini stessi.
A sera, mentre impoverito inverosimilmente, me ne tornavo a casa in una macchina straripante di scatole e scatolette nuove fiammanti, cantavo a squarciagola.
Fu così che, in tempi non sospetti, quando il giocattolo italiano non era ancora menzionato da nessuno, mi aggiudicai la collezione completa, pare l’unica esistente al mondo, di tutti i tredici giocattoli della ditta Cardini, prodotti nell’arco dei nove anni della brevissima vita della ditta” [Figura 1].
Figura 1. Vetrina “Cardini” nel Museo del Giocattolo e del Bambino di Santo Stefano Lodigiano.
Un po’ di storia
In pochi, anche sulle sponde del lago d’Orta, hanno memoria di una delle eccellenze dell’ingegno italiano. Eppure, tra il 1921 e il 1930, si produssero a Omegna (No) – la città che diede i natali a Gianni Rodari – una serie di magnifici balocchi in latta litografata.
La ditta era la Giocattoli Cardini e il suo titolare fu Ettore Cardini.
I giocattoli, in Italia, apparvero sul mercato assai tardi rispetto al resto dell’Europa e solo a partire dal 1920 si svilupparono sia l’industria che il commercio. Una di queste realtà fu proprio la Cardini di Omegna. L’azienda, fondata nel 1916, con l’Italia in guerra, si specializzò nella lavorazione di lamiere metalliche e, negli anni Venti, diventò famosa per la sua attività nel settore dei giocattoli.
Il giocattolo in lamiera, materiale scadente e facilmente deformabile, aveva molti punti a suo favore: un costo contenuto (che si rifletteva sul prezzo del giocattolo: dalle 12,90 lire della Torpedo alle 18,20 lire dell’aeroplano), una bella confezione, grazie a disegni e colori molto belli, durava a lungo ed era riproducibile in serie.
Così, in meno di dieci anni, la Cardini, utilizzando anche le pagine pubblicitarie del Corriere dei Piccoli, propose tredici giocattoli, del tutto originali e innovativi per il loro tempo.
Il catalogo ufficiale comprendeva: il camion 18BL, la torpedo 50 HP [Figura 2], la limousine 509, l’automobile da corsa, la locomotiva gruppo 690, il tram elettrico N.12, la giostra dei cavalli, la giostra volante, la giostra dei dirigibili [Figura 3], la giostra aereo [Figura 4], la motonave Saturnia, la corriera e la cucina a gas N.10 [Figura 5].
Figura 2. Torpedo 50 HP, ditta Giocattoli Cardini, Omegna, 1921-1930.
Figura 3. Giostra dei dirigibili, ditta Giocattoli Cardini, Omegna, 1921-1930.
Figura 4. Giostra aereo, ditta Giocattoli Cardini, Omegna, 1921-1930.
Figura 5. Cucina a gas n. 10, ditta Giocattoli Cardini, Omegna, 1921-1930.
I giocattoli si distinguevano per l’alto grado delle finiture e il loro movimento era garantito da una molla in acciaio, che caricata, permetteva al giocattolo di muoversi per un tempo sufficientemente lungo. Le automobili potevano addirittura girare in cerchio, sia a destra che a sinistra, tramite lo sterzo a scatto, oppure proseguire in rettilineo. Questi giocattoli, tutti di ugual misura, erano inseriti in scatole di cartone rappresentanti i fondali o gli edifici necessari per completare il gioco: l’hangar per l’aeroplano, il garage per la limousine, la rimessa per il tram, il tunnel per la locomotiva, un porto dove attraccare la motonave e così via.
La Cardini affidò il compito di eseguire le illustrazioni per le scatole ad Attilio Mussino, uno dei più brillanti disegnatori del “Corrierino”, noto per aver dato una nuova, moderna interpretazione grafica delle “Avventure di Pinocchio”, da lui illustrate per l’editore Bemporad. C’erano persino dei personaggi che si potevano staccare dalla scatola, ritagliandone le figure. Nel dicembre del 1924, Ettore Cardini depositò il brevetto completo di disegno anche negli Stati Uniti, consapevole che la sua invenzione fosse un miglioramento. E disse: “La mia invenzione consiste in una scatola per giocattoli, rappresentante persone, animali, alberi o qualunque oggetto, caratterizzato dal fatto che un pezzo di cartone abbastanza grande è applicato in corrispondenza in uno dei lati della suddetta scatola e provvisto, nel caso richiesto, da un buco in corrispondenza dell’apertura della scatola. Nell’altra parte del suddetto foglio di cartone, l’interno o l’esterno di un palazzo, un paesaggio, può essere illustrato in relazione alla natura del gioco contenuto nella scatola. Il cartone in oggetto dovrà essere prodotto in una maniera per la quale, quando si piegano le due parti e dopo la parte alta sarà parte integrante del gioco stesso. Per esempio, un garage, un hangar, un porto, una galleria, una stazione, una stalla o simili”.
Un colpo di genio, un tocco d’artista
La vocazione imprenditoriale dei Cardini risaliva al nonno e al padre di Ettore. Il primo, Giovanni, costruiva attrezzi agricoli nella frazione omegnese di Cireggio mentre il papà, Candido Cardini, si dedicò alla produzione di oggetti di uso domestico in ottone nella zona di Bagnella.
Il giovane Ettore, compiuti i suoi studi al Collegio Industriale di Vicenza, lavorò a Torino alla Chiribiri, nota fabbrica automobilistica e, successivamente, come direttore tecnico, alla Metalgraf di Lecco, specializzata in scatole di latta litografata. Dopo essersi “fatto le ossa”, tornò sulle rive del lago d’Orta dove, mettendosi alla prova, fondò una sua attività. Da principio poté contare sull’impegno dei parenti più stretti e di un paio d’operai, ma quando la fabbrica raggiunse il suo picco di vendite a metà degli anni Venti, spinta dalla moda per i giocattoli già diffusa all’estero, la manodopera comprendeva un’impiegata, tre operai, dieci ragazzi, cinquantadue donne e quattro apprendiste. La Cardini rappresentava una delle prime esperienze di produzione seriale dei giocattoli, grazie alle nuove tecniche di produzione. Il metallo veniva litografato a colori a Milano da una stamperia e veniva inviato a Omegna, dove gli operai montavano i giocattoli incastrandone i vari pezzi inserendo le piccole linguette nelle corrispondenti fessure. La Cardini, che si estendeva su di una superficie di ottomila metri quadri, era un’azienda all’avanguardia per quei tempi: generatori autonomi di corrente, ambienti luminosi, spazi razionali. All’ultimo piano della fabbrica in via Comoli c’era persino una scuola di formazione professionale dove venivano progettati i giocattoli e veniva realizzato il prototipo. La produzione si concentrò in meno di un decennio, dal 1921 al 1930. Una vita breve per questi giocattoli che venivano anche esportati all’estero, soprattutto in Argentina, dove i Cardini aveva dei parenti. In quegli anni vennero prodotte anche scatole di latta pubblicitarie per altre ditte, come l’autobus Perugina del 1925, utilizzato come scatola di cioccolatini. L’azienda omegnese, inventò anche il motto “Fate i capricci”, rivolgendosi idealmente ai bambini d’ogni età, e fu la prima in Italia a servirsi della stampa per pubblicizzare i propri prodotti. La pubblicità, attraverso le pagine della «Domenica del Corriere» e del «Corriere dei Piccoli», proponeva il gioco come un premio, un incentivo: “Papà, se tu comperi un giocattolo Cardini, il più bravo, il più studioso diverrò tra i bambini”. Ma, come si dice, le cose belle non durano a lungo, e anche la storia della Cardini – sul versante dei giocattoli- ebbe vita breve. Alla fine degli anni Venti l’economia entrò in crisi. L’ingranaggio della crescita si inceppò a causa della speculazione finanziaria che si materializzò in tutto il suo dramma nell’ottobre del 1929 con il crollo di Wall Street.
I consumi precipitarono ovunque e i giocattoli, non certamente assimilabili ai beni di prima necessità, non si vendevano più. Così Cardini fu costretto a riconvertire la produzione, occupandosi – per conto della FIAT e dell’industria automobilistica – di fari, fanali e altri accessori. Finiva così un’epoca, con i suoi giocattoli di latta dal fascino straordinario. Fra il 1937 e il 1940 la ditta venne suddivisa in due “rami” d’attività: l’Officina Meccanica Ettore Cardini e la fabbrica di mobili in ottone Alfredo Cardini. L’Officina Meccanica, durante il secondo conflitto mondiale, produsse caricatori di mitragliatrici per la Breda e la Beretta. In un reparto della fabbrica venne persino allestito un poligono di tiro per i test di collaudo. Poi, nel dopoguerra la produzione cambiò nuovamente “indirizzo”, specializzandosi nella più pacifica attività legata agli oggetti di uso domestico: il cavatappi Eterno, modello brevettato, fischietti e reti per letti. Ettore Cardini, in seguito ai postumi di un’operazione chirurgica, morì e con la sua scomparsa la fabbrica di via Comoli chiuse definitivamente i battenti.
Nel 1992, l’omegnese Giovanni Solaro, raffinato intellettuale ed ex libraio, diede alle stampe un bel libro intitolato La giostra delle libellule, interamente dedicato alla produzione dei giocattoli della Cardini [Figura 6].
Figura 6. Giovanni Solaro, La giostra della libellula, Libreria il Punto, Omegna (No) 1992.
Una vera chicca, da intenditori. E un giusto riconoscimento per quella stupenda pagina della creatività e dell’intelligenza cusiana che operò proprio negli anni in cui ad Omegna il piccolo Gianni Rodari frequentava le scuole elementari.
(*) Tratto dalle memorie di Paolo Franzini Tibaldeo, fondatore del Museo del Giocattolo e del Bambino con sedi a Santo Stefano Lodigiano e a Cormano.
Dicembre 2021
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