Una coppia di scatole torinesi in argento dell’Ottocento

di Gianni Giancane

Esaminiamo una bella e particolare coppia di scatole in argento [Figura 1] sottoposte alla mia attenzione da un assiduo e gentilissimo lettore. Nella più grande [Figura 2] prevale l’andamento più allungato sul lato frontale, la seconda [Figura 3] presenta un aspetto tendenzialmente compatto. Al centro di entrambe, in una ampia riserva pseudo globulare, spicca il blasone nobiliare d’origine.

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Figura 1. I due contenitori nel loro insieme, collezione privata.

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Figura 2. La scatola di maggiori dimensioni: cm. 24 x 13, altezza 10,5; peso: 731 gr.

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Figura 3. La scatola più piccola: cm. 13 x 11, altezza 10,5; peso: 417 gr.

Caratteristiche specifiche
Realizzate a sbalzo, partendo da una lastra d’argento battuta a martello, e dotate di prese a forma di pinnacolo, ottenute per fusione, manifestano un elevato livello qualitativo d’esecuzione.
Sono impreziosite alla base da un lineare profilo fitomorfo a palmette lanceolate, intervallate da piccole sferule, di gusto impero, e sul coperchio da una pregevole incisione floreale ricorrente sull’intera linea perimetrale.
Il corpo centrale è scandito su ogni lato da una serie di pronunciate e sinuose baccellature opposte e convergenti rispetto all’asse mediano della fronte, interrotte al centro, sui due lati maggiori di ciascun manufatto, da uno stemma nobiliare; un’evidente ma elegante perlinatura a linea continua delimita e chiude il profilo superiore delle scatole.
Sul coperchio si notino i poderosi pinnacoli e l’elegante incisione [Figura 1a].

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Figura 1a. Le scatole aperte.

L’imponente pinnacolo dai motivi fogliari, svettante sul coperchio, è assicurato allo stesso da un dado a farfalla, a sua volta “ricoperto” da un’inconsueta semisfera coassiale e solidale con esso, a testimonianza di attenzione e cura dei particolari [Figure 4 e 4a].

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Figura 4. Dettaglio del pinnacolo con il particolare dado di chiusura.

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Figura 4a. Gli stessi elementi della Figura 4 visti dal lato opposto; si noti la filettatura originale del perno e la particolarità del dado di fermo.

Possiamo notare come le scatole, più larghe e panciute alla base, dall’andamento pseudo piramidale agganciato a più classici motivi ad urna, o volendo a cinesizzante pagoda [Figura 3a], manifestino quelle importanti movenze che conferiscono deciso slancio e dinamicità plastica ai manufatti, aggraziandoli e rendendoli alquanto eleganti.

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Figura 3a. La più piccola delle due scatole vista dallo spigolo anteriore destro che esalta le forti movenze del corpo.

Paternità dell’opera
La prima impressione che ne ho ricavato, d’impronta e senza approfondimenti tecnici, mi ha rimandato all’aerea austro-ungarica verso la metà del XIX secolo, per quanto lo stile si rifacesse ad un più classico ed antecedente Alt Wien (Vecchia Vienna), di gusto baroccheggiante.
Con non poca sorpresa, esaminati i punzoni ed il merco [Figure 3b e 2a], e accertatane l’assoluta bontà (nota 1) mi sono ritrovato in area italiana, nel secondo quarto del XIX secolo, in quel di Torino, e più precisamente “alla corte” di Carlo Balbino (Torino, 1777 – …), uno dei più noti ed importanti maestri argentieri piemontesi, attivo dalla fine del Settecento fino alla metà inoltrata del secolo successivo.

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Figura 3b. Il fondo della scatola più piccola con i punzoni ben incussi e chiaramente leggibili; si denoti anche la tecnica esecutiva d’epoca che assicura la base ai lati della scatola con ribattiture e brasature.

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Figura 2a.  Punzoni e merco dell’argentiere presenti sul fondo della scatola più grande.

A sinistra: aquila con corona e scudo sul petto, punzone di garanzia utilizzato per i grossi lavori d’argento a 1° titolo (950/1000) dal 1824 al 1861 nei territori del Regno di Sardegna; a destra: testa di toro vista frontalmente, punzone territoriale per l’Ufficio di Torino utilizzato nello stesso periodo, e sempre affiancato al precedente, in presenza di argenti a 950/1000; al centro: merco dell’argentiere Carlo Balbino, un leone tra le iniziali C e B in campo ovale, utilizzato dal maestro per i lavori a 1° titolo (il merco con gli stessi elementi inseriti in losanga veniva usato sugli argenti a 2° titolo 800/1000).

Figlio di Giuseppe Balbino, argentiere a sua volta, depositò il proprio punzone nel 1824 (Augusto Bargoni, Mastri Orafi e Argentieri in Piemonte dal XVII al XIX secolo, Centro Studi Piemontesi, Torino, 1976, pag. 45) e rimase attivo almeno fino al 1858 (Angela Griseri, Argentieri piemontesi a Palazzo Reale, in Porcellane ed Argenti del Palazzo Reale di Torino, Fabbri Editori, 1986, pag. 144).
Fu argentiere di corte ed autore di una ricchissima serie di manufatti, sacri e profani, anche per altre committenze, denunciando sempre un grande livello realizzativo che gli valse premi e riconoscimenti vari (nota 2).
A proposito dello stile delle due scatole qui esaminate, Gianguido Sambonet riferisce di Carlo Balbino quale allievo e discepolo di Giocondo Albertolli, architetto, “…che aveva pubblicato numerosi disegni di ornamenti ispirati allo stile barocco…” (G. Sambonet, Maestri Argentieri Italiani tra Settecento e Ottocento, Accademia dell’Argento-Fondazione Greggio, Padova, 1996, pag. 74). È quindi da individuare in quest’alveo la particolare struttura composito-costruttiva dei nostri due graziosissimi oggetti.

Doverosa considerazione
Per quanto nutrita e variegata sia stata la produzione del Balbino, non è proprio facile reperire opere del maestro sul mercato e la convergenza tra l’aspetto antiquario-commerciale e quello storico rende i due oggetti pregevoli e molto interessanti, anche per l’alto titolo della lega utilizzata pari a 950/1000 (1° titolo), più raro e riservato ad opere particolari e/o richieste da elevata committenza, come nel nostro caso, rispetto al 2° titolo (800/1000), molto più frequente.

NOTE

[1] Per la differenza tra punzoni e merco si rimanda alla nota 8 di un mio precedente articolo Acetoliera romana. Giovacchino o Pietro Belli (aprile 2019) [Leggi].
Per i riferimenti bibliografici specifici si rimanda a: Augusto Bargoni: Mastri Orafi e Argentieri in Piemonte dal XVII al XIX secolo, Centro Studi Piemontesi, Torino, 1976, tav. XII e pag. 263 scheda B 17), e ancora: Donaver-Dabbene, Argentieri Italiani dell’Ottocento, Ed. Malavasi, Milano 2001, Vol. I, pag. 61 e 62 e Vol. II, Malavasi, Milano 1989, pag. 77.

[2] È in corso di elaborazione da parte dello scrivente un altro lavoro sul nostro argentiere, al quale rimandiamo i lettori per ulteriori ed approfondite notizie sulla sua attività.

Settembre 2022

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