Giovanni Clavella alias Garofaro, ebanista del Settecento
di Andrea Bardelli
Nel dicembre 1994, Sotheby’s presenta a Milano un mobile a due corpi impiallacciato in legni esotici e avorio eseguito attorno al 1725 e firmato da Giovanni Clavella detto Garofaro, fino ad allora sconosciuto [Figure 1, 1a e 1b].
Figura 1. Clavella Giovanni detto Garofaro, cassettone a ribalta con alzata, 1725 circa, Sotheby’s dicembre 1994 n. 1198.
Figure 1a e 1b. Particolari del mobile di Figura 1.
Nel commentare questo mobile in occasione del suo passaggio in asta presso Sotheby’s nel 1994, Alvar Gonzales Palacios (nota 1) scrive che “… la decorazione del nostro arredo potrebbe rammentare i modi dei grandi intarsiatori piemontesi del primo Settecento, come il Prinotto …”, ma poi esclude questa provenienza per la forma e la tecnica dell’intarsio, escludendo anche Liguria, Veneto e Roma. Sulla questione torneremo nelle considerazioni sulla provenienza.
Lo studioso si indirizza allora verso la Sicilia sulla base di diversi indizi: lo stemma che potrebbe essere riferito ad alcune famiglie siciliane (vedi oltre), il cognome Clavella e il soprannome Garofaro, principalmente quest’ultimo, comune in Sicilia declinato anche come Garofalo.
Egli cita anche due esempi che “confortano” una provenienza siciliana. Il primo è costituito dalle panche dell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, che sarebbero state disegnate dallo scultore Giacomo Serpotta (1656-1732); il secondo esempio è “… un mobile dalle proporzioni architettoniche simili a quelle del nostro, una volta presso un negoziante milanese”. Di questo mobile “… ancora inedito e di cui si ignora l’attuale ubicazione, presentava una decorazione simile alla nostra con poche figure: gli abbellimenti del coronamento, in legno intagliato e dorato, erano inequivocabilmente siciliani”.
Una coppia di mobili che potrebbero corrispondere a questa descrizione, giustamente attribuita a Giovanni Clavella, è comparsa sul mercato antiquario nel 2013 [Figure 2, 2a e 2b].
Figura 2. Clavella Giovanni detto Garofaro, cassettone a ribalta con alzata, mercato antiquario, già Galleria Silva (Galleria Silva Milano, Firenze 2013, pp. 32-39 n. 10).
Figure 2a e 2b. Particolari del mobile di Figura 2.
A parte la decorazione a intarsio, alcuni dettagli, come il disegno degli specchi e la forma dei piedi, sono significativamente identici nel mobile di Sotheby’s e in questi.
Alcune considerazioni sulla provenienza
Rispetto alla presunta provenienza siciliana, desidero in questa sede proporre un punto di vista diverso (nota 2).
Non mi pare che, anche solo sul piano decorativo il Piemonte c’entri, tanto meno Prinotto, mentre vedo proprio qualcosa di romano, soprattutto con riferimento a quel gusto internazionale, ibrido e stravagante, che caratterizza la mobilia romana del XVIII secolo.
Si veda, ad esempio, il cassettone a ribalta eseguito nel 1771 (!) dal tedesco Johann Friedrich Spindler (1726-1799 circa) per la famiglia romana Odescalchi [Figura 3, nota 3].
Figura 3. J. F. Spindler, cassettone a ribalta, Roma 1771, mercato antiquario.
Inoltre, contrariamente a quanto si sostiene a proposito della coppia di mobili di Figura 2 con riferimento agli “abbellimenti del coronamento, in legno intagliato e dorato”, non mi sentirei di definirli “inequivocabilmente siciliani”, alla luce di numerosi confronti con altri cassettoni a ribalta con alzata della stessa regione.
Elementi intagliati e dorati sulla cimasa sono presenti in varie regioni, a cominciare dal Veneto, ma anche il mobile romano vanta significativi esempi [Figura 4].
Figura 4. Bottega romana, cassettone a ribalta con alzata, Finarte Roma dicembre. 2001 n. 324.
Infine, le sole immagini che siamo riusciti a reperire dell’Oratorio palermitano di San Lorenzo [Figure 5 e 6] mostrano una certa attinenza, soprattutto per la combinazione dei materiali impiegati nell’intarsio, ma non mi sembrano decisive.
Figure 5 e 6. Palermo, Oratorio di San Lorenzo, particolare delle panche intarsiate, 1707 circa.
Allo stato attuale, l’assenza di qualunque notizia biografica su Giovanni Clavella ci impedisce di sapere di dove fosse originario e, soprattutto, in quali città abbia lavorato (nota 4).
Da una sommaria ricerca che abbiamo effettuato, il cognome Clavella sarebbe originario di Fabriano nella Marche e attualmente presente in provincia di Cremona. Il cognome Garofalo e simili è originario della Liguria ed effettivamente diffuso soprattutto nel Centro-Sud con particolare riferimento a Campania e Sicilia.
Decisivo ai fini di una corretta identificazione della provenienza di questi mobili potrebbe essere la decifrazione dello stemma inciso su una serratura [Figura 1c].
Figura 1c. Serratura del mobile di figura 1.
Lo stemma è complesso, ma Gonzales Palacios riesce a identificare alcune figure che rimandano alle famiglie Carafa, Fontana di Erice, Cavarretta e Riccio (o Rizzo) “tre delle quali sono, appunto, siciliane”. Evidentemente egli allude alle ultime tre perché la famiglia Carafa è di origine napoletana, anche se è proprio a Roma che la famiglia raggiunge l’apice della sua potenza dopo l’elezione al soglio papale di Paolo IV Carafa nel 1555.
Anche ammesso di aver interpretato correttamente lo stemma, resta sempre la possibilità che il mobile sia stato eseguito altrove rispetto al luogo di residenza della famiglia che l’ha commissionato.
Si veda l’esempio di uno stipo in cuoio verniciato rosso, punzonato e inciso in oro, fatto eseguire a Venezia dalla famiglia Acquaviva, presumibilmente in occasione del matrimonio, avvenuto nel 1585, tra i membri di due prestigiose famiglie napoletane: Margherita Acquaviva d’Aragona e don Diomede IV, terzo duca di Maddaloni, neanche a farlo apposta della famiglia Carafa (nota 5).
NOTE
[1] L’argomento è ripreso in Alvar Gonzales Palacios, Nostalgia e invenzione, Biblioteca d’Arte Skira, Milano 2010, pp. 52-53, tavv. XXII-XXIII.
[2] I mobili in questione sono considerati siciliani in un lungo saggio di Pierfrancesco Palazzotto dal titolo Arredi artistici e mobilieri. Una rassegna come contributo allo studio dell’abitare a Palermo tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, contenuto in Maria Concetta Di Natale- Pierfrancesco Palazzotto, Abitare l’Arte in Sicilia. Esperienze in Età Moderna e Contemporanea, Flaccovio, Palermo 2012, p. 69. Non vengono invece inseriti tra i mobili siciliani né da Enrico Colle (Il mobile Barocco in Italia, Electa, Milano 2000, Il mobile Rococò in Italia, Electa, Milano 2003), né da Mario Giarrizzo e Aldo Rotolo (Mobili e mobilieri nella Sicilia del Settecento, Flaccovio, Palermo 1992; Il mobile siciliano, Flaccovio, Palermo 2004).
[3] Nel commentare questo mobile, all’interno del suo volume Il linguaggio del mobile antico, Lucien Zinutti lo attribuisce correttamente a bottega romana, ma, in calce, scrive: “Un trumeau della stessa tipologia, attribuito alla manifattura piemontese, ricordo di averlo visto ad un’asta del nord Italia”, sottolineando la possibilità di una confusione col Piemonte come detto sopra (L. Zinutti, Il linguaggio del mobile antico, Devanzis, Treviso 2011, p. 333).
[4] Il dizionario curato da Paolo Cesari riporta solo “Clavelle Giovanni (XVIII secolo). Ebanista, detto il Garofaro” (rif. 2006: “Giovanni Clavelle”, AbacuSistemArte, a cura di Paolo Cesari, cod. 47596).
[5] Si rimanda all’articolo Uno stipo veneziano per Margherita Acquaviva d’Aragona (giugno 2015) [Leggi].
Maggio 2023
© Riproduzione riservata