Le porcellane di Sèvres, 1752-1870
Parte seconda. Peculiarità dei manufatti vascolari e i fondi colorati
di Gianni Giancane
Premessa
Il riconoscimento di una porcellana realizzata dalla manifattura di Sèvres passa attraverso l’analisi comparata di tre parametri essenziali da rapportare ai diversi periodi storici di fabbricazione.
Per escludere la possibilità di un falso occorre infatti conoscere:
-quali possano essere le caratteristiche strutturali e stilistiche di un oggetto sfornato dall’opificio parigino;
-quali tipi di falsificazione si riscontrino con maggiore probabilità e frequenza;
-la bontà dei marchi (ai quali è stata dedicata la prima parte nel marzo di quest’anno [Leggi ]
Tali ambiti di studio dovranno ovviamente convergere verso un’unica e certa soluzione attributiva, sgombrando il campo, per quanto possibile, da dubbi ed incertezze.
In questa sede, soffermandoci sulla produzione vascolare, ci occupiamo del primo dei tre parametri sopra citati, lasciando a una fase successiva lo studio dei restanti aspetti, le falsificazioni e il confronto tra marchi autentici e non.
Le caratteristiche specifiche di un manufatto di Sèvres
Come già detto nella nota 2 della prima parte, un’indagine metodico-analitica per lo studio di un manufatto ceramico, contempla dei passaggi propedeutici di validità generale per qualsiasi manifattura, la nostra compresa.
Il tutto senza tralasciare, sempre se presenti, lo studio di particolari “segni” aggiuntivi, quali ad esempio numeretti o monogrammi incisi (o incussi) nella pasta ceramica ed altri ancora dipinti (speso sopra vetrina) che aiuterebbero non poco nell’accertamento definitivo di un certo opificio.
Ora, in linea generale, bypassando al momento lo studio comparato dei marchi nelle varie forme ed espressioni, un manufatto sfornato dall’opificio parigino dovrà necessariamente presentare – sempre e comunque correlate ai differenti momenti storici del periodo di fabbricazione – determinate caratteristiche essenziali.
Il loro elenco, qui proposto e corredato da esplicativa documentazione iconografica, pur non esaustivo, può essere considerato un sufficiente canovaccio, una sorta di vademecum a disposizione di qualsiasi collezionista “attento” e andrebbe così scandito:
1.
Una pasta molto bianca ed uno smalto di copertura brillante e trasparente, talmente fine e puro da evidenziare, e non coprire affossandoli, tutti i dettagli della lavorazione [Figure 1 e 1a].
Figura 1. Brocca con catino (qui non presentato), Manifattura di Sèvres 1756 circa, (h. cm. 35). Si colga l’estremo nitore del bianchissimo fondo ad esaltare la vivace policromia floreale (A. Balestrazzi, G. Godi, Le porcellane dei Duchi di Parma. Capolavori delle grandi manifatture del ‘700 europeo, Graphic Step, Parma 2021, p. 121).
Figure 1a. Dettaglio a forte ingrandimento di un piattino da gelato (patelle à glace), Manifattura di Sèvres 1836-1846, che evidenzia gli spigoli “fortemente vivi” sia dei setti radiali sulla tesa quanto del sottostante profilo circolare, per niente addensati e impastati dallo smalto finissimo di copertura (foto dell’autore). Oggetto già presentato dallo scrivente in precedente lavoro Alcune porcellane di Sèveres alla Corte di Francia tra feste, balli … e “gelati”, parte prima (settembre 2020) [Leggi].
2.
I pigmenti utilizzati nella decorazione, disponibili in una nutrita paletta, dovranno esprimere colori chiari (nel senso di definiti), nel loro insieme armoniosi e a prescindere dal motivo decorativo, la pittura dovrà risultare estremamente accurata [Figura 2] tanto al recto quanto al verso (ad esempio anche sul retro di un vaso, di una stoviglia, se ivi presente).
Figura 2. Contenitore per castagne (cm. 15,8 x 12,5 x h. cm.7,2) con il suo piatto (marronnière avec son couvercle et son plateau), Manifattura di Sèvres 1758, Parigi, Museo del Louvre, inv. OA 12181 1 (fonte).
Nel piccolo ed insolito manufatto destinato a contenere preparati a base di castagne (candite, lesse, in zuppa…) è possibile ammirare la straordinaria cura dei dettagli e dell’insieme grazie al colore di fondo blu (detto blue lapis) a ospitare bianchissime riserve contornate da dorature a racemi e altre espressioni floreali, a loro volta ospitanti vivaci esemplari della fauna avicola. Di grande pregio esecutivo la pittura si deve alla mano di Louis-Denis Armand (Parigi, 1723 – 1789).
3.
Paesaggi, scene mitologiche, arcadiche, galanti, motivi floreali e similari espressioni pittoriche, non presenteranno mai una pittura approssimativa, con colori sfocati e/o impastati. Ne presentiamo due opposti esempi [Figure 3 e 3a].
Figure 3. Splendido vaso a corpo globulare (h. cm. 37) prodotto dalla Manifattura di Sèvres tra il 1765 ed il 1770. La scena mitologica raffigurata su un intenso blu di fondo mostra conoscenza e padronanza delle più raffinate tecniche pittoriche; Parigi, Museo del Louvre, inv. OA 11853 (fonte).
Figure 3. Scena galante nel cavetto centrale di un piatto offerto come Sèvres del 1837 e per giunta di provenienza regale …, semplicemente improponibile (!) per l’ “untuosità” dei colori e la dilettantesca stesura pittorica (mercato antiquario).
4.
I colori di fondo sul corpo della porcellana, al netto delle riserve in bianco destinate alla decorazione, laddove utilizzati soprattutto nel Settecento, devono corrispondere alle date minime della loro scoperta e presentare cromie peculiari e facilmente riconoscibili (vedi paragrafo successivo).
5.
L’oro impiegato quale pigmento sarà sempre purissimo, a 24 carati (!), pertanto molto luminoso e con splendida resa pittorica, mai amalgamato con metalli di bassa qualità che renderebbero la doratura, piatta, opaca ed inespressiva. Anche in questo caso presentiamo un confronto tra due realtà opposte [Figure 4 e 4a].
Figura 4. Dettaglio della doratura presente sul piatto della Figura. 2. Stesa con meticolosa cura, si presenta in tutta la sua lucentezza grazie al sapiente lavoro di brunitura apportato dai maestri doratori.
Figura 4a. Parte inferiore di un piccolo vasetto pseudo Sèvres del XVIII secolo realizzato nei primi decenni del XX secolo. Si denoti la doratura in falso oro, di basso livello qualitativo, opaca e già in fase di netto distacco dal corpo ceramico (collezione privata).
6.
Per quanto riguarda i sistemi di fabbricazione (le façonnage), sempre con riferimento alla produzione vascolare, les assiettes (piatti, piattini, tazzine etc.) fino al 1840 circa sono formate al tornio (tournage) poggiando su un sottopiatto, quale base e sostegno; saranno corredate invece dagli anelli di calibrazione (le calibrage) solo a partire da tale data (nota 1).
7.
Per quel che concerne lo stile, ogni manufatto deve presentare un assunto stilistico-formale e un’espressione pittorica rigorosi ed armoniosi, tipici del periodo di fabbricazione [Figura 5], senza palesi distonie o difformità che lo renderebbero quanto meno dubbiamente anacronistico o esteticamente incongruo.
Figura 5. Coppia di vasi a fondo verde di gusto rocaille montati su basi in bronzo dorato (h. cm. 46), Manifattura di Sèvres 1765-1770, New York, Metropolitan Museum New York.
La datazione di questa splendida coppia di vasi, detti “vases cuir” (vasi cuoio) è suggerita da Brunet-Préaud in base al decoro nelle riserve ispirato a l’Amour Falconet e a la Nynphe (creati nel 1758 e 1761), ma spostato in avanti di circa un decennio a causa delle espressioni stilistiche delle dipinture (Brunet-Preaud 1978, p. 84)
La figura successiva evidenzia, invece, una forma adattata al nuovo periodo che subentrava, il Neoclassicismo, ma ancora legata al passato [Figura 5a].
Figura 5a. Vaso montato a candelabro (h. cm. 31), porcellana e bronzo dorato, Sèvres 1770 circa, Waddesdon, Waddesdon Manor, collezione Rothschild.
Quasi coevo all’opera precedente, testimonia il cambiamento stilistico in atto in quel momento storico con anse geometrizzanti neoclassiche coesistenti con drappi, ghirlande e foglie d’acanto ancora rocaille (Brunet-Préaud 1978, p. 94).
Ora, tutti i parametri fin qui esaminati, nessuno escluso, laddove congiuntamente soddisfatti e ulteriormente confortati (necessariamente) da uno studio critico dei marchi presenti, convergeranno verso una favorevole soluzione attributiva alla manifattura di Sèvres.
Considerazioni particolari sui colori di fondo
Tra tutti i riferimenti sopra citati è mia premura spendere alcune note aggiuntive sui cosiddetti fondi colorati e non perché i restanti elementi abbiano minore rilievo, tutt’altro. Il motivo è presto detto.
A partire dagli esordi a Vincennes e successivamente a Sèvres per tutto il secondo Settecento furono molto usati i cosiddetti colori di fondo, in particolare: giallo, blu, verde, rosa, con riserve bianche più o meno ampie profilate in oro (cartelle) nelle quali inserire un determinato decoro (nota 2).
Richiesti sempre da un’elevata committenza li si applicava tanto su importanti servizi da tavola, quanto sui vari complementi d’arredo tra i quali non mancavano certamente le “guarniture” da camino e gli straordinari vasi, anche di monumentali dimensioni, che al pari delle stoviglierie venivano realizzati con attenzione e cura particolarissime, maniacali, indicibili per i nostri tempi.
Proprio tali manufatti sono stati da sempre quelli più copiati, imitati, falsificati… (nota 3) e conoscerne pertanto le caratteristiche essenziali può risultare alquanto utile.
Per quanto nelle varie fonti si possa riscontare qualche piccola discordanza sull’esatta denominazione dei colori impiegati e sulla datazione della loro comparsa, basandoci soprattutto sull’autorevole e importante lavoro di Marcelle Brunet e Tamara Préaud (Brunet-Préaud 1978) e attraverso una personale rielaborazione effettuata consultando anche altre opere (nota 4), si riassume quanto segue.
Il primo a comparire, già in quel di Vincennes nel 1749 fu il fond jaune per indicare un pigmento giallo [Figura 6] che inizialmente si presentava sui toni pallidi del colore con incremento progressivo delle nuances a seguito di cangianti ricette.
Figura 6. Tazzina (h cm. 6, d. cm. 6) e suo piattino (d. cm. 12,89, fondo giallo e riserve bianche con bambini dipinti in camaïeu blu, pittore André-Vincent Vieilliard o Vieillard, Vincennes 1753-1755, Parigi, Museo del Louvre, inv. OA 6248 (fonte ).
Fino al 1751-1752 si contavano sostanzialmente due diversi tipi di giallo: jaune citron e jaune jonquille (giallo limone e giallo narciso) il primo dei quali era anche definito jaune paille (giallo paglierino). Dal 1754, secondo gli inventari di Vincennes, si parlava ormai soltanto di jaune citron, colore comunque destinato velocemente a soccombere (pare non fosse tanto apprezzato dalla clientela) a seguito del successo che stavano ottenendo nel frattempo gli altri pigmenti (che stiamo per conoscere).
Il breve periodo di uso del giallo ha fatto pensare a diversi operatori del settore, ieri come oggi, che tale pigmento fosse alquanto difficile da ottenere ed applicare, e da qui la rarità dei relativi manufatti. Niente di più errato.
Antoine d’Albis (nota 5) – autore, ma ancor prima chimico e capo del laboratorio della Manifattura di Sèvres, ivi attivo dal 1965 – nella sua pubblicazione Porcelaine de Vincennes. “Fond jaune, enfants camaïeu”. Trois remarquables contrefaçons (1993), smentisce categoricamente tale leggenda metropolitana assegnando la rarità dei pezzi a fondo giallo all’esiguo periodo di produzione, non certamente a un’ipotetica difficoltà di fabbricazione del colore, in realtà molto più facile da ottenere di quanto non si possa immaginare. (op. cit., pp. 18-27). E detto da una figura di siffatta levatura scientifica …
Tra il 1751 e il 1752 era intanto comparso il blue lapis [Figura 7], a base di cobalto o di ossido di cobalto, ideato da Jean Hellot, scienziato, chimico della manifattura.
Figura 7. Zuccheriera con coperchio (h. cm. 12), modello Buret, Vincennes, 1753 circa. Si può cogliere l’effetto maculato del blu di fondo e la ricca decorazione in oro che spesso mascherava i contorni sfumati del blu lapis lungo le riserve, Londra, Wallace Collection.
Deve il suo nome alle sfumature screziate che ricordano il blu di fondo del naturale lapislazzuli (nota 6); la polvere di cobalto veniva “soffiata” attraverso un velo di garza sul corpo ceramico ancora non smaltato, con conseguente disomogenea distribuzione; deposta la vetrina, il manufatto era sottoposto a cottura.
Sul finire del 1753 comparve un’altra tonalità di blu detto blue céleste [Figura 8].
Figura 8. Fioriera (cuvette à fleurs) modello Russel, Vincennes 1756. Dalla classica forma allungata (cm. 16 x 33), è imperniata sul decoro centrale in riserva mistilinea, e riccamente dorata, ad angeli giocherellanti su nuvole, di splendido livello qualitativo, tratto dall’opera La Poésie di Boucher, Londra, Wallace Collection.
Citato nei registri della manifattura come bleu Hellot, potrebbe riferirsi, come suggerito da Brunet e Préaud (1978), al bleu du Roy, definito prima del Natale di quell’anno bleu ancien che aveva riscontrato grandi consensi da parte di sua Maestà. A base di rame e di altri elementi (cobalto compreso), più chiaro e delicato del precedente blu ma decisamente costoso, presentava delicate nuances turchesi e fu alquanto richiesto dalla nobiltà, compresa Madame de Pompadour; ebbe grande notorietà tra il 1756 ed il 1757.
Proprio nello stesso periodo, prima del trasferimento dell’opificio da Vincennes a Sèvres, comparve il fond vert [Figura 9].
Figura 9. Zuccheriera con coperchio con riserve bianche, a decoro floreale, su fondo verde con nastriformi e sinuosi profili dorati a campanule, Vincennes 1755-1756, The Royal Collection Trust/ © Her Majesty Queen Elizabeth II 2017, inv. no. RCIN 39899 (fonte thefrenchporcelainsociety).
A base di rame, vide il susseguirsi di numerose ricette preparatorie miranti all’ottenimento di una particolare e più consolidata tonalità di verde. Si passò così dal verde bluastro degli inizi ad un caldo verde mela negli anni Settanta del secolo attraverso quelle significative modifiche che suscitavano in Hellot compiacimento ed esaltazioni continue (nota 7).
Nel 1758 venne alla luce il famoso “rosa”, le fond rose; derivante da modifiche su alcuni colori di fondo rossastri, tra il carminio ed il violaceo (nota 8), già presenti in quel di Vincennes, conquistò subito i mercati [Figura 10].
Figura 10. Brocca (h. cm. 16,3) e catino (cm. 26,4 x h. cm. 5,6), fondo rosa e riserve bianche con decori floro-faunistici di grande livello pittorico, Manifattura di Sèvres, 1758. Il set fu probabilmente acquistato da Luigi XV nel 1758, Londra, Wallace Collection.
Ottenuto attraverso complesse e costose tecniche, che pare prevedessero anche la presenza di particelle d’oro in soluzione colloidale mescolato ai restanti pigmenti (stagno), ottenne un gran successo per un decennio, quando anche il suo utilizzo segnò il passo. Fu probabilmente identificato da un pittore che lo voleva utilizzare nella sua tavolozza, tal Philippe Xhrouet e licenziato positivamente dall’Hellot come bon (buono).
Le dorature sui fondi rosa presentavano, però, alcune problematiche applicative: bisognava infatti proteggerne i contorni con dei tratti color carminio onde evitare la decolorazione del fondo quando questo veniva a contatto con l’oro [Figura 10a].
Figura 10a. Ingrandimento della brocca di cui sopra che evidenzia (frecce rosse) i tratti in carminio adiacenti alle profilature in oro (intervento grafico dell’autore).
Il bel fondo rosa non andrebbe identificato con il cosiddetto Rose Pompadour, termine questo coniato in Inghilterra intorno al 1760, non a Sèvres (!), per identificare una particolare tonalità cremisi-bordeaux e non il celebre rosa di Sèvres qui presentato.
Ora, nel linguaggio comune antiquariale, nelle sue varie forme ed espressioni, il termine “rosa Pompadour” ha finito, purtroppo, con l’identificare il più delicato e inconfondibile fond rose di Sèvres che negli annali della manifattura era ufficialmente annotato, sempre dall’Hellot, come un fond couleur de rose très frais et trés agréable (molto fresco e piacevole).
Concludiamo la nostra carrellata sui fondi colorati del Settecento con una nuova tonalità di blu, sempre a base di cobalto, che comparve nel 1763 (Brunet-Préaud 1978, p.36) con il nome di bleu nouveau [Figura 11] quale forma migliorata del precedente bleu lapis.
Figura 11. Uno di una coppia di vasi con coperchio (h. cm. 47,6), dalla ispirata forma neoclassica ma con evidenti retaggi del passato: corpo a bulbo, lesene scanalate, greca nella parte alta, ghirlande, rosette e foglie di acanto, su fondo bleu nouveau, a rafforzare i toni dei bianchi e dell’oro; probabile modello di Jean-Claude Duplessis, Manifattura di Sèvres 1765, Londra, Wallace Collection.
La cromia era molto più scura, più uniforme (senza screziature) e prevedeva ben tre mani sovrapposte di smalto colorato a base di cobalto stese a pennello su un’altra, precedentemente fissata, ma a base di ossido di cobalto.
Il pigmento ebbe un gran successo e intorno al 1768 prese il nome di beau bleu (blu bello).
Divenne di fatto il più classico bleu de Sèvres, che ancor oggi, come citato dalla stessa Manifattura: “contribue sans conteste à la renommée internationale de la Manufacture” (contribuisce senza dubbio alla reputazione internazionale della Manifattura).
Esisterebbe in realtà un ulteriore colore, il fond noir (fondo nero). Ottenuto con una mescola di ossidi di ferro, manganese e cobalto, comparve nell’ultimo quarto del XVIII secolo ma era destinato quasi esclusivamente a oggetti dipinti a cineserie e complici anche le cruente vicissitudini della Rivoluzione, non ebbe una grande diffusione. Per “dovere di cronaca” ne riportiamo una testimonianza nell’immagine successiva [Figura 12].
Figura 12. Rinfrescatoio per bottiglie con decoro a cineserie in oro e platino su fondo nero (cm. 16,4 x 18,6 h. cm. 23,3), Manifattura di Sèvres 1791, doratore Jean-Jacques Dieu (fonte getty.edu/museum).
In definitiva, la produzione di siffatte espressioni stilistiche, i meravigliosi fondi colorati di Sèvres, fu una costante per tutto il XVIII secolo pur con decisa prevalenza delle differenti tonalità del blu, soprattutto il beau bleu, a dominare i mercati nazionali ed europei.
Superato il periodo di transizione tra i due secoli, soprattutto a causa delle richiamate vicende storiche, l’800 vide inizialmente la comparsa di un nuovo fondo colorato, di color beige, dalle delicate tonalità cangianti dal caramello all’ocra tenuissimo, le fond nanquin o nankin [Figura 13] e progressivamente l’affermarsi degli sgargianti fondi oro (fond or), tipici del periodo dell’Impero e della Restaurazione [Figura 14].
Figura 13. Vaso di chiara ispirazione neoclassica (h. cm. 22) ad arabeschi, festoni, e ghirlande floreali con suonatore di aulòs in riserva centrale, il tutto su delicato fondo nanquin, manifattura di Sèvres 1800-1802, Parigi, Grand Trianon (Brunet-Préaud 1978, p. 242).
Figura 14. Uno dei vasi (se non il vaso) più importanti della Manifattura di Sèvres, detto étrusque à rouleaux (con cartiglio, all’etrusca) di imponenti dimensioni (h. cm. 127). Dipinto dal pittore Antoine Béranger è scandito in alto da dieci medaglioni in cameo raffiguranti storici personaggi e, al centro, da un intero cartiglio circolare con l’entrata a Parigi dei vari monumenti portati dall’Italia da Napoleone, Manifattura di Sèvres 1810-1813, Sèvres, Musée National de Céramique (Brunet-Préaud 1978, p. 250).
Dopo il primo quarto del secolo, motivi stilistici e decorazioni furono abbastanza diversificati, con fondi variabili dalle campiture bianche a quelle monocrome (dai diversi colori) a ospitare dipinture sempre impeccabili e di superba bellezza, sicuramente in linea con i cangianti gusti di una società in continua trasformazione ma anche con reiterati revival pur sempre richiesti dai mercati.
Finalità da conseguire
Giunti al termine del nostro percorso vale la pena rimarcare gli obiettivi minimi del nostro dire: come il riconoscimento dei pigmenti e delle peculiari cromie descritte, che soltanto la manifattura era in grado di produrre e utilizzare, aiuti non poco ad indirizzare correttamente un manufatto verso l’opificio parigino escludendo falsificazioni, antiche e recenti, più o meno palesi.
Certamente, ai fini di una definitiva e univoca certezza attributiva, occorrerà il conforto contestuale di tutti quegli altri parametri sopra citati, non ultimo il riconoscimento dei marchi (autentici) e in particolare della loro congruenza.
Ma di falsificazioni e marchi parleremo un’altra volta.
NOTE
[1] Per le differenze tra le varie tecniche di fabbricazione (le façonnage) e i differenti periodi del loro utilizzo vedasi quanto ampiamente dettagliato dallo scrivente, anche con esplicativa documentazione fotografica, in un precedente articolo: Alcune porcellane di Sèveres alla Corte di Francia tra feste, balli … e “gelati”, parte seconda (aprile 2023) [Leggi].
[2] Esisteva comunque una larga produzione di stoviglierie a fondo monocromo bianco – dipinte con vari motivi, tra i quali gli immancabili decori floreali tanto di moda nel periodo rocaille – ugualmente appetite dai mercati.
[3] Non è che i fondi bianchi con decori vari non siano stati presi di mira dagli imitatori e/o dai falsari …, ma i “fondi colorati” hanno sempre registrato un particolare interesse, vista la loro importanza storico-antiquariale e commerciale.
[4] Tra tutte segnaliamo, in particolare, due importanti pubblicazioni: Préaud (1977) e Préaud-d’Albis 1991.
[5] Antoine d’Albis è autore di rilevanti lavori sulle porcellane di Vincennes e Sèvres, ma ancor prima chimico e capo del laboratorio della Manifattura di Sèvres dove intorno al 1965 mise a punto un particolare impasto ceramico bianco che prese il nome di PAA, pâte Antoine d’Albis. Dal 1988 al 2015, è stato Presidente de La Société des Amis du Musée national de céramique, associazione fondata nel 1930.
[6] Considerato in senso lato come minerale il lapis o, meglio, lapislazzuli, dovrebbe a rigore intendersi come roccia, una roccia metamorfica formata dall’associazione di tre minerali propriamente detti (lazurite, calcite, pirite).
[7] Si parlava di vert de Saxe (richiamo evidente al verde utilizzato nella tavolozza di Meissen), vert brun e vert gai (allegro), riferiti ad un altro ricercatore Jean-Mathias Caillat. Tutti i tentativi erano lodati da Hellot che ne esaltava con enfasi i risultati in quanto ad ogni tentativo ne seguiva un altro “encore plu beau!” (ancora più bello!) come lui puntualmente archiviava.
[8] Per il colore ivi citato e definito “violetto” vedasi le fond violet in Préaud-d’Albis 1991, pp. 126-127.
Bibliografia essenziale
-Marcelle Brunet – Tamara Préaud Sèvres, Des Origines à nos Jours, Office du Livre, Fribourg, 1978.
-Tamara Préaud, Porcelaines de Vincennes. Les Origines de Sèvres, Paris, Editions de Musees Nationaux (1977).
-Tamara Préaud – Antoine d’Albis, La Porcelaine de Vincennes, ed. Biro, Paris 1991.
-Adrian Sassoon, Vincennes and Sèvres Porcelain , Catalogue of the Collections, The J. Paul Getty Museum, Malibu, California, 1991.
-Antoine d’Albis, Porcelaine de Vincennes. “Fond jaune, enfants camaïeu”. Trois remarquables contrefaçons, Les cahiers de Mariemont, volume 24-25, 1993.
Giugno 2024
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