Lampada a olio o scaldavivande

della Redazione di Antiqua

Vi sono oggetti appartenenti al passato di cui non si ha più nozione, nel senso che non si riesce a capire intuitivamente a quale funzione fossero assegnati. Non possiamo che elogiare il ruolo svolto dai musei etnografici e da quelli sulla civiltà contadina e simili che contribuiscono a mantenere la memoria di cose dimenticate che “solo” cento anni fa erano di uso comune.
L’oggetto che ci accingiamo ad esaminare è sicuramente più antico e di accurata fattura, propostoci come torciera a olio in ferro battuto. Per la cronaca, è stato acquistato circa 20 anni fa in area bresciana con l’improbabile classificazione di “porta cero pasquale” [Figura 1].

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Figura 1. Lampada a olio (?), ferro battuto, altezza cm. 50 circa, collezione privata.

La base è quadripede e il sostegno è costituito da un tondino ritorto interrotto al centro da un nodo [Figura 1a], il vano “porta oggetti” è a giorno, delimitato da quattro fettucce, tre delle quali ripiegate su loro stesse e desinenti a ricciolo, che raccordano la base – dove compaiono fori sagomati “ad ali di farfalla” – a un bordo, anch’esso in tondino ritorto. La quarta fettuccia non si ripiega sul bordo, bensì prosegue a formare un elemento cavo a forma di piccolo imbuto o, se si preferisce, di tromba, indicato dalla freccia [Figura 1b].

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Figure 1a e 1b. Particolari dell’oggetto di Figura 1.

La forma dell’oggetto rimanda agli alari, ossia a manufatti in ferro battuto, sempre in coppia, che venivano inseriti nei camini con la funzione di trattenere la legna durante la combustione.
In molti casi, almeno uno dei due, recava nella parte superiore una sorta di “porta vaso” paragonabile a quello del nostro, utilizzato per inserire una ciotola o altro recipiente contenente del cibo con funzione di scaldavivande [Figura 2].

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Figura 2. Coppia di alari, Francia, ferro, altezza (massima) cm. 60, mercato antiquario, proposti con una datazione al XVII-XVIII secolo.

Altrettanto spesso, gli alari da camino erano corredati sulla parte anteriore, da una serie di ganci che servivano a sorreggere gli spiedi in cui erano infilzati i cibi da cuocere [Figure 3, 4 e 5].

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Figura 3. Alare (uno di una coppia), ferro altezza cm. 84, Italia, proposto con una datazione al XVII secolo, mercato antiquario.

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Figura 4. Coppia di alari, ferro, altezza (massima) cm. 99, Francia, proposti con una datazione all’inizio del XX secolo, mercato antiquario.

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Figura 5. Coppia di alari con le varie funzioni di contenimento della legna, scalda vivande e girarrosto.

Rispetto agli alari, il nostro oggetto è privo della “coda” su cui poggiava la legna e la sua conformazione – quattro piedi ricavati da un’unica lastra di ferro [Figura 1c] – rende impossibile il fatto che sia nato da un alare modificato.

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Figure 1c. Particolare dell’oggetto di Figura 1.

Siamo quindi in presenza di un oggetto autonomo: resta da capire se facente comunque parte di un set da camino o da esso completamente sganciato. Come di consueto abbiamo coinvolto alcuni autorevoli esperti che si sono variamente espressi configurando due ipotesi alternative. Le proponiamo entrambe.

Scaldavivande
La prima ipotesi identifica l’oggetto come uno scaldavivande, dove il cestello era destinato a contenere un recipiente; il tutto, collocato vicino al fuoco del camino consentiva di riscaldare un alimento qualunque oppure mantenere fluido il grasso animale (sugna) con cui “lubrificare” la carne allo spiedo durante la cottura. L’elemento “a tromba” segnalato con la freccia nella Figura 1b, del tutto insolito, è stato interpretato come un portacandele, anche se è forse più convincente ritenerlo un alveo dove infilare il pennello utilizzato per ingrassare il cibo, dal momento che l’utilizzo di una candela accanto a un camino acceso appare improbabile. In questo caso, comunque, l’oggetto farebbe parte di un corredo da camino, plausibilmente aggregandosi a una coppia di alari privi di scaldavivande incorporato, come l’esemplare raffigurato a destra nella Figura 2.

Lampada a olio
Una seconda “corrente di pensiero” riconosce nell’oggetto una lampada a olio nella quale il cestello alloggiava un recipiente contenente l’olio cosiddetto lampante in cui pescava uno stoppino di corda intrecciata, imbevuto di olio, per poi uscire proprio dall’elemento cavo (vedi ancora Figura 1b) dandogli così una giustificazione consona. Non si comprende, tuttavia, come mai il design attinga a un modello che, come visto sopra, fa capo all’ambito degli accessori da camino. In secondo luogo, riesce difficile capire a cosa servisse una fonte di luce a 50 centimetri dalla base, troppo alta per essere collocata, ad esempio, su un tavolo per illuminare il piano di scrittura e troppo bassa per essere collocata a terra e servire a qualcosa; impensabile potesse essere utilizzata all’occasione come torciera manuale poiché il ferro è un conduttore di calore e lo stelo sarebbe stato inafferrabile.
A favore dell’ipotesi lampada a olio gioca un curioso tipo di lampada, noto nel mondo anglosassone come rushlight che potremmo tradurre “luce al giunco”. Si tratta di uno stelo, montato spesso su un treppiedi, che termina con una specie di pinza in cui veniva bloccato un frammento di midollo essiccato della pianta di giunco cosparso di grasso che fungeva da stoppino; a seconda dell’inclinazione scelta, lo stoppino bruciava più o meno lentamente, producendo una luce più o meno fioca.
L’altezza degli esemplari rintracciati, databili dal XVII al XX secolo, va dai 25 ai 30 centimetri – altezze maggiormente compatibili, ad esempio, con una luce da tavolo – e, molto spesso, il meccanismo a pinza si accompagna a una tradizionale bugia per candele di cera o di sego, creando il medesimo effetto di “luce decentrata” rispetto allo stelo che osserviamo nell’oggetto in esame, qualora propendessimo per considerarlo una lampada [Figure 6, 7 e 7bis].

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Figura 6. Rushlight, ferro, altezza cm. 28, Inghilterra, XVIII secolo (fonte Alamy).

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Figura 7. Rushlight, ferro, altezza cm. 27, Galles inizio del XIX secolo, mercato antiquario.

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Figura 7bis. Lo stesso rushlight di Figura 7 in funzione.

L’epoca
Un problema che si presenta puntualmente con riferimento a oggetti come questo è la datazione.
Essi vengono eseguiti con tecniche e materiali che si tramandano da secoli e la loro funzione di oggetti d’uso li sottrae a una connotazione stilistica riconoscibile, senza che con questo venga meno una certa ricerca di eleganza formale. Lo stato di conservazione non aiuta a identificare l’epoca perché, nel caso specifico del ferro, esso da come e dove l’oggetto è stato tenuto; possiamo trovare ferri cinquecenteschi pressoché intatti e ferri appena centenari completamente corrosi dalla ruggine.
Pertanto, ciascun oggetto va giudicato in base alla forma, al virtuosismo che si intuisce dalla sua esecuzione e all’intelligenza delle soluzioni tecniche adottate, rinunciando per una volta al potere evocativo conferito dall’epoca.

Settembre 2024

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