Da Capodimonte a Napoli … e ritorno (passando per la Germania). Parte III
di Gianni Giancane
Nell’articolo precedente dal titolo Da Capodimonte a Napoli … passando per la Germania. Parte II (febbraio 2012) [Leggi] si era parlato delle fabbriche attive nel secondo Ottocento che avevano abbandonato quasi del tutto la produzione di porcellana. Queste erano una novantina circa tra maiolicari e riggiolari, caratterizzate da numerosi movimenti di maestranze dall’una verso l’altra o verso differenti destinazioni geografiche, relativamente vicine, come per De Simone a Castelli in Abruzzo o Coccorese a Roma, oppure o più lontane come per Cacciapuoti a Milano o Achille Mollica a Torino, con arricchimenti culturali spendibili negli immancabili rientri in “patria”.
Agli inizi del Novecento, la produzione di porcellana riprende per iniziativa di alcune ditte come quella del Cav. Chiurazzi, il più grande opificio napoletano dei primi decenni del secolo (grazie anche al contributo di valenti artisti quali il San Germano, il Savastano, i Borrelli padre e figlio e altri ancora), quella dell’Ing. Girosi (porcellana ad uso elettrico) e la produzione De Rosa.
La crisi tra le due guerre colpisce tutti indistintamente, riducendo il numero degli opifici a una ventina (impegnati quasi esclusivamente nella produzione di maioliche, terraglie e riggiole), facendo segnare il minor livello di produttività vuoi per la mancanza di materie prime, vuoi per la mancanze di commesse dall’America e dal Nord Africa (colonie libiche ed altri).
Il secondo Novecento
Finita la guerra e trascorso l’immediato dopoguerra, negli anni Cinquanta erano attivi a Napoli solo pochi e isolati laboratori artigianali, frutto di rimpasti ed ibridazioni varie. Tra questi ricordiamo quello di Pasquale e Giuseppe Mollica i quali, al rientro da Milano (dove lavoravano con il padre Cesare lì emigrato allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale), avevano aperto un laboratorio di statuine in ceramica e porcellana mantenendo la tradizione; oculatamente, avviarono la loro azienda acquisendo le maestranze dei migliori ceramisti disponibili sul mercato. La produzione dei Mollica si caratterizzò per la lavorazione dei fiori in ceramica e cestini intrecciati, oltre alle immancabili statuine, tenendo stretta la collaborazione con l’opificio di Milano.
Intanto la ripresa post bellica aveva indotto le amministrazioni centrali e locali a sostenere maggiormente veri corsi di formazione presso Istituti e Scuole ceramiche quali l’Istituto d’Arte Filangieri, il Suor Orsola Benincasa, l’Industriale Volta, per quanto a detta dei critici con modesti risultati.
Ma fu un episodio a cambiare qualcosa …
Verso la fine degli anni Cinquanta l’allora Ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Bosco, visitando la Reggia di Capodimonte, rimase negativamente colpito dal forte degrado di quelli che erano stati gli ambienti delle reali manifatture borboniche. Dispose l’immediato recupero degli immobili per ridare loro l’antico splendore e l’originaria destinazione d’uso. Nacque così a Capodimonte, nel 1961, l’Istituto Caselli con l’intento di formare ceramisti da inserire nelle imprese e spingendo significativamente verso la produzione della porcellana. I risultati non si fecero attendere anche perché perfettamente supportati da un’adeguata organizzazione logistica (la presidenza dell’Istituto fu affidata al Prof. Giorgio Baitello, già direttore dell’Istituto d’Arte a Sesto Fiorentino, pittore e ceramista di fama internazionale; le docenze invece furono affidate a qualificati esperti locali dotati di maestria e comprovata esperienza). Tra il 1964 e il 1967 furono attivate le sezioni dei modellisti-formatori e dei chimico-ceramisti, mentre gli allievi iscritti aumentavano progressivamente di numero.
L’input offerto dall’Istituto era più che significativo e aveva portato, già nel 1964, alla nascita della prima vera fabbrica moderna di porcellane, la Stile Porcellane Capodimonte, con sede a Calata Capodichino, che divenne presto una sorta di scuola-laboratorio (era stretto il contatto con il Caselli) in cui si producevano diversi prodotti, dai fiori alle statuine, dai lampadari alle specchiere, utilizzando le differenti tecniche esecutive quali il colaggio, la formatura, il tornio. Attiva sino al 1979 dette origine di fatto, alla sua chiusura, a tutta una serie di laboratori artigianali che ormai interpretavano uno stile della porcellana ribaltando quanto era successo nell’Ottocento, quando la ceramica aveva soppiantato quest’ultima, anche perché la ceramica negli anni Settanta non aveva più adeguato spazio e margini di mercato.
Dopo la “Stile” altre tre fabbriche ebbero un impatto significativo sulla produzione e sui mercati: la Mollica (destinata però ad una vita non lunga), la Majello (dei fratelli Walter e Lucio) e la Nuova Capodimonte dei Savastano, tutte comunque importanti per i relativi ed insostituibili contributi apportati al sistema della produzione della porcellana.
Gli ultimi due decenni del Novecento vedono il proliferare di numerosi laboratori – spesso, ed erroneamente a parere dello scrivente, definiti minori – dove piccole gestioni a conduzione familiare contribuiscono a supportare un’economia fondata, al tempo stesso, su tradizione e innovazione e a creare un tessuto connettivo tra piccola e media impresa.
Agli inizi del terzo millennio, ventiquattro imprese dislocate tra Napoli e la provincia, si sono consociate, mentre altre ne chiedono l’adesione, fondando il “Consorzio Capodimonte” allo scopo di promuovere la produzione di ceramica e porcellana di Capodimonte, istituendone un marchio ben definito e impegnandosi alla tutela dello stesso.
Ancora una volta, su questi manufatti troveremo una N coronata dipinta o stampata, spesso in blu, che ovviamente starà per Napoli, così come avveniva per quella della Real Fabbrica Ferdinandea, accompagnata dalla dicitura Capodimonte in omaggio allo stile interpretato.
L’Attesa, Porcellane De Palma, Calvizzano (Na), marchio dipinto a mano (N coronata), anni Settanta del XX secolo.
Da sottolineare che esistano in realtà anche altre fabbriche italiane, attive in diversi contesti geografici, in particolare in area veneta, che producono manufatti in stile Capodimonte, apponendovi una N o la dicitura Capodimonte accanto al loro marchio specifico. Ricordiamo tra queste le Porcellane Principe, Venere Porcellane d’Arte, Cesare Villari Porcellane, tutte nel vicentino, capaci di creare manufatti di notevole livello esecutivo e qualitativo.
Vecchietto con oca e colombe, Porcellane Cesare Villari, Vicenza, N coronata dipinta, anni Ottanta del XX secolo.
Esistono poi anche importanti artisti, attivi in laboratori individuali, che hanno utilizzato o utilizzano tale elemento di legame tra la cultura ceramica partenopea e i loro manufatti. E’ questo il caso del Prof. Piergianni Cedraschi a Milano, il quale ha realizzato pregevoli sculture in porcellana in stile Capodimonte, su cui appare, accanto al logo proprio dell’artista, una inconfondibile N quale “tributo” all’arte napoletana.
Figure 2 e 2 bis. Pescatore, prof. Piergianni Cedraschi, Milano, marchio dell’autore ed N dipinta, anni Sessanta del XX secolo.
I fiori di Capodimonte
Non potevamo concludere questa “passeggiata” da Capodimonte a Napoli passando … per la Germania, senza fermarci un attimo su una peculiarità della produzione partenopea, quella dei fiori.
Fin dal Settecento tanto in Germania quanto in Francia, ma anche in Italia, a Capodimonte o a Napoli i fiori venivano realizzati quale elemento decorativo da applicare su altri manufatti ceramici o in porcellana per impreziosirne l’aspetto estetico-formale. Tale tendenza, pur proseguendo nel corso degli anni nelle tre aree di cui sopra, ha finito col creare in tutto il Napoletano una particolare produzione artistica di fiori fine a se stessi. Proprio il risveglio della porcellana negli anni Cinquanta del secolo scorso ha condizionato positivamente tale produzione in quanto il fiore è più facile e veloce da realizzare, non necessita di modelli e stampi da predisporre, ha bisogno pertanto di un minor numero di passaggi e inoltre, fattore di non secondaria importanza, può essere realizzato anche da un artigiano con poco investimento iniziale e in piccoli laboratori spesso individuali. Intorno a queste semplici ma essenziali esigenze è fiorita un’attività che oggi ripropone il “Capodimonte contemporaneo” all’insegna dei fiori oltre ai manufatti di più classica concezione.
I fiori inoltre sono opere uniche, lavorati interamente a mano in semplici o così intrigate composizioni, con maestria e realismo spesso impensabili.
Fiori, F.lli Mollica & C., Capodimonte, N apposta a stampo, anni Sessanta del XX secolo.
Un’ultima riflessione
Nell’ultimo decennio sono apparse sul mercato antiquario numerose porcellane assai dozzinali, anche in forma di biscuit, marcate, spesso sopra smalto, con lettere quali la N, la M, la P sormontate da corona o altri improponibili marchi di fantasia, non appartenenti di certo a nessuna delle tante e note manifatture europee. Vengono spesso proposte come autentici Capodimonte da venditori “impreparati” (…e si arrabbiano pure se non ci credi !), ma sono manufatti realizzati al giorno d’oggi in laboratori dell’estremo Oriente.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, aprile 2012
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