La manifattura dell’Eugenia dei fratelli Manfredini
di Benedetta Gallizia di Vergano
Nella Milano della prima metà dell’Ottocento sono attivi, dal 1806 circa, con uno stabilimento per la fusione di bronzi, tre fratelli di origine bolognese, Francesco, Luigi e Antonio Manfredini. Già nota agli studi, la storia di questa manifattura e dei suoi proprietari, alla luce di una serie di documenti in continuo aggiornamento, è strettamente legata alle vicissitudini storico-politiche dell’epoca. Stando a quanto ci raccontano le carte, bisogna fare un salto indietro nel tempo fino al 1803-1804 circa per trovare il maggiore dei tre fratelli, Francesco Manfredini (morto il 16 giugno 1810; figlio di Giuseppe Manfredini e Anna Ruggi), attivo a Parigi con un laboratorio di “Bigiotteria, d’Indoratura dei metalli e d’orologeria”. Artefice molto apprezzato per la qualità dei suoi lavori, è autore di alcuni orologi destinati sia al Vice Presidente Francesco Melzi d’Eril (1752-1816), sia all’èlite della società italo-francese dell’epoca. Nel 1804 viene raggiunto nella capitale francese dal fratello Luigi (1771-1840) che, incisore presso la Regia Zecca di Milano dal 1798, ottiene un sussidio dal Ministero degli Interni, dove sono disponibili alcuni fondi per l’incoraggiamento delle Scienze, affinchè si specializzi nella professione di “Bigiottiere” e, soprattutto nella “fabbricazione degli smalti, casse d’orologi e analoghe manifatture”. Anche il minore dei fratelli, Antonio (1786-1838) seguirà la stessa strada. La concessione di questi sussidi a giovani che dimostrano di avere talento nelle arti è parte di un programma ben definito della politica portata avanti dal governo del Vicerè d’Italia, Eugenio de Beauharnais (1781-1824), figlio adottivo di Napoleone Bonaparte, convinto assertore dell’idea che quello della bigiotteria e della fabbricazione degli smalti e degli orologi sia un campo molto interessante di cui manca il Regno d’Italia. Questi sussidi, quindi, sono concessi con il preciso scopo di formare (seguendo l’esempio francese) artigiani capaci che, in seguito, andranno a promuovere le arti nel Regno. Un obiettivo dichiarato con ancora maggior forza nel piano predisposto da Francesco Manfredini per l’apertura, a Milano, dello stabilimento dell’Eugenia, grazie a generose sovvenzioni statali. Il più anziano dei tre fratelli, infatti, su invito del Vicerè d’Italia, trasferisce il suo laboratorio parigino a Milano. A tale scopo il Demanio gli fornisce un locale appena fuori Milano, oltre a concedergli il titolo di Orologiere del Re e il permesso di innalzare sulla porta del suo stabilimento lo Stemma Reale. In cambio il Manfredini deve istruire degli allievi, orfani scelti in base alle loro capacità negli orfanatrofi della città e dei dipartimenti. Ancora, Francesco Manfredini deve occuparsi anche del funzionamento e della direzione delle macchine delle Regie Zecche. A questo proposito ricordiamo che in una guida del 1808 scritta da Borroni e dedicata ai forestieri che volessero visitare le “…cose rare antiche e moderne della città di Milano…” si legge che nello stabilimento Manfredini, merita una visita la nuova macchina per battere le monete adottata dalla Regia Zecca che semplifica i metodi fino ad allora noti. La fabbrica, con sede nei locali del soppresso convento di Santa Maria alla Fontana, nei pressi di porta Comasina, dispone anche dei laboratori di orologeria (destinati a rimanere in perdita nei primi anni di attività), bigiotteria e doratura dei metalli: le macchine necessarie provengono in gran parte dall’estero, così come parte dei maestri che hanno anche il compito di formare gli allievi. I lavori di restauro degli edifici della Fontana proseguono almeno fino al 29 agosto 1807. L’anno successivo la manifattura è in attività e alcuni dei lavori lì eseguiti sono presentati all’esposizione “degli oggetti d’arti e mestieri” che si tiene ogni anno all’Accademia di Brera, uno dei quali vince la medaglia d’oro: si tratta di un orologio da tavolo ornato di statue e fregi in bronzo dorato rappresentante l’Aurora di Guido Reni, oggi conservato nella Biblioteca Ambrosiana a Milano. Una seconda medaglia, invece, è conferita “alla grandiosa manifattura di Bijouteria ove si fabbrica una quantità di minuterie d’oro, d’argento e di altre suppellettili di lusso”. Ma tra gli oggetti realizzati prima del 1810 ci sono anche candelabri, vasi, pendole e grandiosi orologi, molti dei quali destinati a ornare gli appartenenti di Palazzo Reale a Milano e tra questi va ricordata la pendola cosiddetta “della Musa Polimnia”, dal soggetto del gruppo in bronzo che la orna, oggi conservata nel Museo dell’Ottocento a Milano, insieme a quelle “delle Sabine” e di “Apollo e Diana”, e a un’interessante serie di candelabri con vittorie alate.
Pendola detta “delle Sabine”
Pendola detta “di Apollo e Diana”
Al 1807-1808 circa va datato anche un gruppo di sei candelabri, detti au bon sauvage, per la figura di moro stante che regge i porta candela, due dei quali sono marcati L.M. (sigla di Luigi Manfredini). Questi pezzi potrebbero essere stati eseguiti dal Manfredini durante i primi anni di attività a Milano oppure in occasione del suo soggiorno parigino. In questo periodo (o forse un poco dopo, ma non oltre il 1814) viene prodotta anche la pendola, firmata “Manfredini Orolo.ro del Re Milano”, raffigurante il carro di Diana cacciatrice: la dea è in piedi sul carro preceduta da due figure femminili, inserite in una composizione che richiama il gruppo dell’Aurora di Guido Reni. L’insieme, noto in due esemplari identici (uno conservato a Venezia nella Fondazione Querini Stampalia, l’altro a Milano in Palazzo Isimbardi), dimostra la forte aderenza ai prototipi francesi coevi e a questo proposito è necessario aprire una breve parentesi. Andrà, infatti, notato come esistano alcune pendole firmate dai Manfredini o, più specificatamente da Francesco Manfredini, simili se non identiche ad altre opera dei bronzisti parigini Claude Galle (1759-1815) e Pierre-Philippe Thomire (1751-1843), fatto che induce a considerare la possibilità che Francesco Manfredini, citato nei documenti come orologiaio e quindi, probabilmente, specializzato nella fabbricazione dei meccanismi degli orologi piuttosto che delle casse (il bronzista della famiglia era Luigi) durante il suo soggiorno nella capitale francese abbia acquistato da questi artefici le casse in bronzo in cui inserire i suoi meccanismi. In seguito, in occasione del trasferimento della sua manifattura a Milano, oltre agli artefici e ai macchinari, potrebbe aver portato con sé alcuni di questi bronzi, utili per avviare il laboratorio d’orologeria nei primi periodi di attività dell’Eugenia. Questa identità di modelli è evidente in diversi casi, come quello della pendola detta “delle Sabine” (perché tratta dal famoso dipinto di David, oggi al Louvre), pubblicata da González-Palacios con una datazione al 1806-1814 circa. Di questo modello ne esiste un esemplare identico attribuito a Claude Galle. Un altro esempio è costituito da una pendola in collezione privata milanese raffigurante l’Addio di Ettore e Andromaca che reca il quadrante firmato Manfredini. Databile, come la precedente, tra il 1806 e il 1814, anche questo esemplare ha due fratelli gemelli coevi, uno firmato sulla mostra da Galle e il secondo che reca la firma “Lepaute à Paris”.
Il 16 giugno del 1810 Francesco Manfredini muore e Luigi e Antonio ereditano la gestione della manifattura che, stando al parere di una commissione di periti incaricati dalla Camera di Commercio Arti e Mestieri allo stabilimento per valutare se era veramente degno di ricevere ancora i sussidi statali, ne loda la bellezza, affermando che solo dall’anno della sua fondazione “si è stabilito il vero buon gusto … ed un importantissimo miglioramento in ogni manifattura nazionale d’Oreficeria, che da prima era pienamente trasandata, per non dire sconosciuta”. La commissione loda anche la manifattura di orologi, pezzi che “sanno distinguersi per l’eleganza dei disegni e per la squisitezza, precisione e perfezione d’ogni relativo lavoro d’ornato”. Quanto poi alla fusione, cesellatura e doratura dei bronzi lavorati, le parole di encomio non sono meno entusiaste, in particolare nei confronti di due candelabri “destinati ad ornare il Gabinetto di un illustre Signore Milanese”. Ma l’elenco degli oggetti usciti dai laboratori della manifattura prima del 1821 comprende anche due canestri in bronzo dorato, una spada con l’impugnatura e il fodero coperto d’oro smaltato e decorato da medaglie incise e altri ornati di bella qualità, un grandioso parterre in bronzo dorato ad uso di mensa per cento persone (pagato 80,00 lire italiane dall’arciduca Ranieri Giuseppe d’Asburgo Lorena – 1783-1853), scatole d’oro e altri piccoli oggetti impreziositi da brillanti, pietre, smalti eseguiti su commissione oltre a tutta una serie di oggetti destinati alle Corti europee. Tra questi ultimi citiamo il grandioso tripode d’argento dorato, realizzato intorno al 1813 per la Corte imperiale a Saint-Cloud, il candelabro a sedici lumi con ornamenti e figure passato in Inghilterra, i quattro tripodi in bronzo dorato dei quali due guarniti con lapislazzuli e gli altri due “in bronzo a verde antico”, un busto del Principe Beauharnais che l’Imperatrice d’Austria donò alla principessa Augusta Amalia di Baviera (1801-1877) e, ancora, il portafoglio “d’oro ricco di smalti e bassi rilievi” prodotto dai Manfredini in soli 33 giorni e regalato dalla Congregazione Centrale dello Stato Lombardo a “S.M. l’Augusta nostra Imperatrice e Regina in occasione delle faustissime sue nozze”, cioè Maria Luisa d’Asburgo Lorena (1791-1847), seconda moglie di Napoleone.
Ai fratelli Manfredini si deve anche il merito di aver riscoperto il procedimento di fusione in sabbia e staffa (fino ad ora, però, utilizzato solo per oggetti di piccole dimensioni) per pezzi di grande mole: ne sono un esempio le statue equestri destinate ad ornamento dell’Arco della Pace del Sempione a Milano. Gli studi e gli esperimenti per riuscire a fondere queste figure in breve tempo e con poca spesa risalgono al 1806 quando, in occasione del matrimonio tra il principe Eugenio de Beauharnais con Augusta Amalia di Baviera, la città di Milano decide di far erigere da Luigi Cagnola (1764-1833) un arco trionfale in marmo bianco nella piazza d’Armi, coronato da un imponente gruppo in bronzo commissionato ai Manfredini. L’insieme, secondo il progetto originario di Abbondio Sangiorgio (1798-1879) doveva essere composto da una biga guidata da Napoleone e trainata da dieci cavalli. Nel 1814, con la caduta di Napoleone e l’arrivo degli austriaci, però, i lavori furono interrotti per poi riprendere solo nel 1827 fino al completamento nel 1837.
Tornando indietro di qualche anno, nel 1822, Luigi e Antonio Manfredini (che si ritirerà dalla società l’anno successivo), in gravi difficoltà economiche, chiedono con successo di trasferire i laboratori di bigiotteria e di fabbricazione dei bronzi dorati di piccole dimensioni all’interno della mura della città, nella nuova casa Castiglioni, vicino al ponte di Porta Orientale. Nei locali della Fontana restano il deposito, il magazzino e il laboratorio per la fusione delle opere di grande mole. In città esisteva già un negozio di vendita della manifattura, sicuramente in attività nel 1821, sito prima in Pescheria Vecchia vicino al Coperto de’ Figini e poi spostato in piazza San Paolo, nel quale si vendevano dai pezzi di oreficeria all’uso di Parigi e Ginevra, ai bronzi dorati, alle posate d’argento oltre a ricevere commissioni per qualsiasi tipo di oggetto in oro e argento. Nel 1823 Luigi, impossibilitato a gestire da solo lo stabilimento, a causa anche della sua attività presso la Regia Zecca, si associa al genero Giovan Battista Viscardi (1791-1859; ne aveva sposato la figlia Costanza Manfredini, nata nel 1803 dal matrimonio con Teresa Bernabei): lo stabilimento cambia così ragione sociale per diventare la “Luigi Manfredini e Compagno”. In questi due anni di transizione (1822-1823) e fino al 1838, le commissioni di oggetti di piccole e medie dimensioni si susseguono: tra i diversi pezzi, tutti di committenza aristocratica sono da ricordare gli apparati commissionati dal nipote di Francesco Melzi d’Eril, Giovanni Francesco (morto nel 1832), per la cappella di famiglia a Bellagio costruita su progetto di Giocondo Albertolli (1742-1839), ma in questi anni, e in particolare a partire dal 1829-1830, ha inizio la collaborazione tra Luigi Manfredini e l’architetto bolognese Pelagio Palagi (1775-1860): il Manfredini si avvale spesso del genio del Palagi per disegnare dai piccoli oggetti e medaglie da fondere in bronzo ai più importanti monumenti, come nel caso di quello dedicato al poeta neoclassico Vincenzo Monti (1754-1828) per il Palazzo di Scienze, Lettere ed Arti di Milano o di quello a Francesco I vestito all’eroica, posto su un piedistallo ornato da bassorilievi raffiguranti il ritorno di Sua Maestà a Vienna reduce da Parigi, accolto con il suo seguito dal popolo esultante da un lato e le armi della casa d’Austria dall’altra, accompagnate da quelle della città di Vienna. Luigi la porterà personalmente in Austria, nella città di Graz. Ma più interessanti sono le commesse di arredi che giungono da parte di Palagi, in qualità di architetto di Corte, incaricato da re Carlo Alberto di Savoia (che regnò dal 1831 al 1849) del rinnovo della villa di Racconigi e poi di palazzo Reale.
Il primo incarico sembra sia stato quello di realizzare gli ornamenti della “ricca Caminiera e dei due specchi a Consol”, insieme ad altri due “tavoli a consol”, al camino, fino ai cosiddetti manettoni a collo d’oca per le antine a vetri, i Gattoni per le tende e due canestri. Terminata questa commissione, i lavori per i palazzi reali torinesi non sono finiti e alla Fontana si realizzano sia la cancellata per Palazzo Reale, sia le sei specchiere destinate alla nuova Sala da Ballo, su disegno di Pelagio Palagi, che, ancora, dei candelabri che per loro natura sono “di molta importanza” e i cui modelli vennero preparati da Domenico Moglia (1780-1862) ancora una volta su disegno di Pelagio Palagi. Probabilmente si tratta di quelli destinati alla sala della Pubbliche Udienze del Palazzo Reale di Torino.
Nel 1840 Luigi Manfredini muore e due anni dopo è Viscardi a rilevare l’azienda producendo oggetti in bronzo, ferro e ghisa e portando a termine buona parte dei lavori rimasti incompiuti dopo la morte del Manfredini, come la già citata cancellata per il Palazzo Reale di Torino con le due figure in bronzo di Castore e Polluce, su modello di Abbondio Sangiorgio, i satiri della fontana di Palazzo Vecchio a Firenze, e la fusione per una statua equestre colossale raffigurante re Carlo Alberto, commissionata dalla città di Casale Monferrato e, ancora una volta, realizzata su disegno del Sangiorgio. Per avere un’idea delle dimensioni basti pensare che il solo cavallo è più alto di quelli dell’Arco della Pace di Milano. Giovan Battista Viscardi manterrà attiva la manifattura della Fontana fino al 1853 quando è costretto a chiudere e a licenziare gli operai.
Candeliere
Le commissioni per Palazzo Reale e quelle per le altre committenze aristocratiche forniscono un’immagine di quello che si potrebbe chiamare “lo stile Manfredini”, come viene a delinearsi negli anni a partire dal 1823 circa. Un gusto caratterizzato dall’uso di motivi classici dalle forme solide, robuste e ben definite non di rado tratte dai disegni di Pelagio Palagi e Domenico Moglia e molto vicine a quanto andavano facendo i più importanti bronzisti dell’epoca come i già citati bronzisti francesi Pierre-Philippe Thomire e Claude Galle.
NOTA
Per una disamina completa sulla manifattura dell’Eugenia e sulle problematiche relative alla sua produzione si veda:
Gonzàles-Palacios, in Maria Luigia Donna e Sovrana. Una Corte Europea a Parma 1815-1847, catalogo della mostra, Parma 1992; E. Colle, Pelagio Palagi e gli artigiani al servizio della corte sabauda, in “Arte a Bologna. Bollettino dei musei civici d’arte antica, n. 5, pp. 58-74; E. Colle in E. Colle, A. Griseri, R. Valeriani, Bronzi decorativi in Italia. Bronzisti e fonditori italiani dal Seicento all’Ottocento, Milano 2001; B. Gallizia di Vergano, Nuovi documenti per i Manfredini, in “Rassegna di Studi e di Notizie”, vol. XXVI, anno XXIX, Milano 2002, p. 239 passim; B. Gallizia di Vergano, La manifattura dell’Eugenia dei fratelli Manfredini, in “Gli Splendori del Bronzo. Mobili e oggetti d’arredo tra Francia e Italia 1750/1850”, catalogo della mostra, a cura di G. Beretti, A. Cottino. B. Gallizia di Vergano, L. Melegati, Torino 2002, p. 27 passim; A. Turicchia, Luigi Manfredini e le sue medaglie, Roma 2002; B. Gallizia di Vergano, Un’ipotesi per i Manfredini: le pendole di Palazzo Reale, in “Rassegna di Studi e di Notizie”, vol. XXVII, anno XXX., Milano 2004, p. 67 passim; C. Napoleone in “Il Valore del Tempo. La raccolta di orologi a Palazzo Isimbardi tra Classicismo e Romanticismo”, catalogo della mostra, a cura di Q. Conti, Milano 2006; B. Gallizia di Vergano, Candelabri per l’uso della Corte: da Parigi a Milano, i primi anni di attività dello stabilimento dell’Eugenia, in “Rassegna di Studi e di Notizie”, 2009 (in corso di pubblicazione); G. Beretti, B. Gallizia di Vergano, I bronzi dell’Imperatore, Milano, 2009 (in corso di pubblicazione)
2 Aprile 2009 © riproduzione riservata