Medoro o Adone in una porcellana ottocentesca

della Redazione di Antiqua

Chi, in quella grigia mattina del 16 dicembre 19…, si fosse introdotto furtivamente, a suo rischio e pericolo, nella camera in cui si svolge la scena che dà principio alla nostra storia, sarebbe rimasto oltremodo sorpreso nel trovarvi un giovine coi capelli arruffati e le guance livide, che passeggiava nervosamente avanti e indietro; un giovane nel quale nessuno avrebbe riconosciuto il dottor Falcuccio, prima di tutto perché non era il dottor Falcuccio, e, in secondo luogo, perché non aveva alcuna rassomiglianza col dottor Falcuccio”.

                                                                                                                                                          Achille Campanile, Se la luna mi porta fortuna, (Ed. F.lli Treves, Milano 1929, p. 5)

Esaminiamo un gruppo in porcellana raffigurante un uomo esanime accudito da una donna, in una posizione che potrebbe ricordare una sorta di Pietà laica [Figura 1].

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Figura 1. La morte di Adone, porcellana, Europa centro-orientale (?), seconda metà del XIX secolo, Collezione Cagnola, Gazzada (Va), inv. PO.508 (2016), non esposto (foto di Gabriele Ghielmi). Viene citato “uomo morente” senza ulteriori indicazioni in un inventario del 1954 (AVC, Casa Cagnola, cartella 3 fascicolo 2); potrebbe rientrare, ma non è identificabile con certezza, in un elenco del 1946 eseguito da Victor Renato Bacchi esperto di New York (AVC, Casa Cagnola, cartella 3 fascicolo 1).

La qualità non eccelsa del manufatto ha fatto passare in secondo piano l’identificazione di epoca e provenienza, inducendomi a concentrare l’attenzione sul soggetto rappresentato.
A prima vista, sembrava di poterlo identificare in Angelica e Medoro, due personaggi che troviamo nel canto XIX (17-42) dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
Come è noto, Angelica, si imbatte casualmente nel giovane saraceno che giace ferito dopo una battaglia, lo soccorre e se ne innamora.
Sembra proprio questa la scena che vediamo rappresentata nella porcellana, così come la raffigurano in pittura diversi autori. Si vedano, ad esempio, Giovanni Lanfranco [Figura 2] e Lorenzo Lippi [Figura 3].

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Figura 2. Giovanni Lanfranco (1582-1647), Angelica e Medoro, ubicazione sconosciuta (fototeca Zeri n. inv. 106458).

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Figura 3. Lorenzo Lippi (1606-1665), Angelica e Medoro (1632-34), Dublino, National Gallery of Ireland.

In quest’ultimo dipinto vediamo chiaramente in primo piano una spada che troviamo in forma di daga anche nella porcellana, mentre in entrambi i dipinti notiamo, sulla sinistra, Cupido nell’atto di scoccare la freccia che farà innamorare i due personaggi.
Troviamo lo stesso amorino in un dipinto di cui non è stato possibile reperire notizie e accostiamo alla porcellana, vista da un’altra angolatura, per quello che potrebbe apparire un confronto definitivo per quanto riguarda l’identificazione della scena [Figura 4 e 1 bis].

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Figure 4 e 1bis. Confronto tra il particolare di un dipinto di autore ignoto (XVII secolo) e il particolare della porcellana di cui alla figura 1.

Tuttavia, nella porcellana compare un personaggio destinato a stravolgere il senso della scena stessa: un putto che invece di scoccare la freccia tiene una fiaccola girata verso il basso.
Si tratta inequivocabilmente di un riferimento a Cautopates, uno dei due assistenti di Mitra (l’altro si chiama Cautes) spesso utilizzato nell’arte come genio funerario.
La sua presenza appare quindi del tutto incompatibile con il fatto che Medoro è invece destinato a guarire e vivere con Angelica una storia d’amore.
Si è allora pensato a un’altra scena, quella che vede coinvolti Venere e Adone morente, due personaggi che troviamo nel libro X delle Metamorfosi di Ovidio (nota 1).
Adone, di cui Venere si era innamorata, viene ferito mortalmente durante una caccia al cinghiale, per cui la maggior parte delle opere che ritraggono la scena mostrano scene di caccia sullo sfondo (in Angelica e Medoro vediamo talvolta scene di battaglia) e vi compaiono spesso putti (in prevalenza non tedofori), cani e colombe (simbolo di Venere) e una lancia accanto al corpo di Adone [Figura 5].

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Figura 5. Muzio Cesari (1619-1690), Venere e Adone (copia da un’opera del Cavalier d’Arpino, 1640 ca., Digione, Musèe Magnig [Vedi].

Nella stessa collezione Cagnola è possibile ammirare una versione in porcellana di Venere e Adone, attribuita alla manifattura di Frankenthal [Figura 6], nella quale sono presenti quasi tutti gli “ingredienti” evidenziati ai quali si aggiunge un’ancella di Venere.
Troviamo un numero superiore di ancelle, ma nulla che rammenti la caccia al cinghiale, in un dipinto raffigurante Venere e Adone di Rubens [Figura 7].

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Figura 6. Manifattura di Frankenthal, Venere e Adone, terzo quarto del XVIII secolo, Collezione Cagnola, Gazzada (Va), inv. PO.90, come guarnitura di un centrotavola di Meissen insieme ad altri elementi di provenienza diversa (foto di Gabriele Ghielmi).

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Figura 7. Rubens, Venere e Adone, (1602 ca), collezione privata.

Ciò dimostra che non tutte le rappresentazioni di Venere e Adone, Adone morente o La morte di Adone che dir si voglia sono ambientate all’interno di una scena venatoria. In compenso, nel dipinto di Rubens compare il putto tedoforo, con la torcia rivolta verso il basso , che non troviamo mai, è utile ribadirlo, nelle raffigurazioni di Angelica e Medoro.
Risalendo a ritroso nel tempo, troviamo una raffigurazione simile a quella in porcellana da cui siamo partiti in un affresco pompeiano identificato come Adone morente [Figura 8].

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Figura 8. Morte di Adone, affresco (decorazione IV stile), seconda metà I sec. d.C., Pompei, Casa di Adone ferito [Vedi].

Non pare sussistano quindi più dubbi circa il fatto che l’autore della porcellana abbia voluto raffigurare un Adone morente e non Medoro, anche se è solo il dettaglio del Cautopates a darcene conferma. Vista però la forte similitudine con molte raffigurazioni dell’Angelica e Medoro (vedi ancora Figure 4 e 5), non possiamo escludere che l’ignoto ceramista abbia tratto i due personaggi centrali da un’illustrazione della scena descritta dall’Ariosto (nota 2).

NOTE
[1] Possiamo allora identificare il putto con lo stesso Cupido non solo perché assai spesso associato a Venere, ma anche perché egli compare talvolta in ambiente tombale senza ali con la fiaccola rovesciata.

[2] Anche se in un contesto incruento, possiamo trovare due personaggi nella stessa posizione per rappresentare Rinaldo e Armida oppure Diana ed Endimione.