Una placchetta in bronzo con Cristo e l’adultera
della Redazione di Antiqua
Nota: una prima versione pubblicata nel settembre 2018 conteneva delle imprecisioni per quanto riguarda la scritta per terra, segnalateci da mons. Eros Monti (direttore di Villa Cagnola); abbiamo quindi provveduto alle necessarie modifiche.
Tempo fa lo scultore Guerrino Lovato ci ha segnalato una placchetta in bronzo raffigurante Cristo e l’adultera [Figura 1] di cui aveva già parlato nel suo blog Enigmi d’arte in un pezzo significativamente intitolato Cristo e l’adultera e l’indecifrabile scritta [Leggi].
Figura 1. Putinati Francesco (copia da), Cristo e l’adultera, bronzo, cm. 8,2 x 14,2, Venezia, collezione Guerrino Lovato.
La scena è tratta dal Vangelo secondo Giovanni (8, 1-11) in cui gli scribi e i farisei conducono un’adultera al cospetto di Gesù perché la giudichi. Gesù si china e si mette a scrivere col dito per terra e siccome quelli insistevano per avere un suo parere, egli pronunciò la famosa frase “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. La sventurata compare con le braccia al petto, mentre un’allusione alla fedeltà coniugale tradita è fornita dal bambino alle sue spalle che scalcia un cane.
Sulla placchetta compaiono alcune scritte a rilievo, l’una in basso a sinistra, che il Cristo indica, e l’altra, sempre in basso, ma al centro, dove poggia la punta del bastone tenuto da un vecchio.
Nella seconda sembrava di leggere FARINATI e una cifra in numeri romani [Figura 1 bis], creando l’illusione di poter identificare l’autore della placchetta.
Figura 1 bis. Dettaglio della Figura 1.
Partiamo da ciò che si sarebbe dovuto sapere fin dall’inizio, ossia che si tratta di una placchetta derivata da un’originale dello scultore e medaglista Francesco Putinati (Verona 1775-Milano 1848), attivo presso la Zecca di Milano [Figura 2].
Figura 2. Putinati Francesco, Cristo e l’adultera, piombo patinato, cm. 8,5 x 14,5, Asta Pandolfini, Firenze 24.4.2013 n. 191 (in coppia con placchetta dell’Ultima Cena).
La placchetta originale di Putinati è in piombo patinato rosso rame nel 1827, quarta e ultima di una serie comprendente L’Ultima Cena di Leonardo (1819), la Scuola di Atene di Raffaello (1825), Il Parnaso con Apollo e le Muse (1826), sempre di Raffaello, di dimensioni leggermente superiori alle altre; dagli stessi soggetti vengono realizzate anche altrettante medaglie (nota 1). La firma misteriosa alla base del bastone è quindi: PUTINATI MLCCCXXVII.
Svelata la paternità della placchetta, si è trattato di chiarire un altro piccolo mistero.
Dallo stesso catalogo del 2013 ricaviamo che la placchetta raffigurante Cristo e l’adultera risulterebbe tratta da Tiziano, più precisamente il Putinati avrebbe inteso immortalare “… la fama del maestro cadorino con la riproduzione in bassorilievo metallico dell’affresco padovano nella Scuola del Santo”.
Orbene, per la Scuola del Santo a Padova Tiziano esegue tre affreschi raffiguranti Il miracolo del neonato, Il miracolo del piede risanato, Il miracolo della donna ferita e non altro.
Dobbiamo però annotare che lo stesso identico soggetto, sempre nel corso dell’Ottocento, ha avuto numerose traduzioni a stampa. Ne conosciamo una incisa all’acquaforte da Pietro Anderloni (1785-1849) nel 1821 (stampatore Tanner) e dallo stesso dedicata al principe Ranieri, viceré del Regno Lombardo-Veneto [Figura 3].
Figura 3. Anderloni Pietro, Qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat, 1821, acquaforte, bulino, cm. 58,2 x 75,4 (foglio), Milano, Raccolta delle stampe A. Bertarelli [Vedi].
Anche in questo caso l’opera viene fatta derivare da Tiziano, ma non si allude ad alcun affresco padovano, bensì a un dipinto esistente “… nella Galleria della Sig.a Contessa Pino” come si deduce da una scritta in basso a sinistra (nota 2).
Un’altra versione all’acquaforte si deve all’incisore Alessandro Angeli che la esegue tra il 1820 e il 1830 (stampatore Pietro Barelli, Milano), dedicata al vescovo di Mantova Giovanni Battista Bellè e anch’essa dichiarata “di derivazione” da un dipinto di Tiziano.
Tuttavia, una breve ricerca fatta sull’opera di Tiziano ha rivelato che tra i dipinti che gli vengono attribuiti il Cristo e l’adultera in questione non figura (nota 3), rendendo possibile l’ipotesi che così si ritenesse nell’Ottocento.
La più celebre versione del dipinto si trova oggi alla Pinacoteca di Brera di Milano con un’attribuzione al pittore Bonifacio de’ Pitati noto anche come Bonifacio Veronese (1487-1553) che la dipinse attorno al 1550, probabilmente con la collaborazione dell’allievo Antonio Palma [Figura 4].
Figura 4. De Pitati Bonifacio, Cristo e l’adultera, olio su tela cm. 175 x 340, Milano, Pinacoteca di Brera (Inv. Nap. 402; inv. Gen. 213; Reg. Cron. 151).
La tela faceva parte dal legato del cardinale Monti all’Arcivescovado di Milano del 1650 e perviene a Brera nel 1811.
Nella scheda di Nicosetta Roio per il volume dedicato alla Scuola veneta di Brera (nota 4), non si fa alcun cenno al fatto che il dipinto possa essere stato, in passato, attribuito a Tiziano.
Nella stessa scheda si segnala una seconda versione (cm. 102 x 198) apparsa a un asta Christie’s a Londra in data 11 febbraio 1966 e si cita la “versione” del Palazzo dei Camerlenghi di Venezia, ora nelle Gallerie dell’Accademia, pubblicata dalla Moschini Marconi nel 1962 (nota 5).
A meno che non sia lo stesso dipinto venduto a Londra nel 1962, una terza versione (escludendo quella ora alla Cini), potrebbe essere quella segnalata nel 1963 presso la collezione B. Jones a Greenville, South Carolina (USA) come “anonimo del XVI secolo” (nota 6).
Ci si domanda a questo punto se uno di questi due ultimi non sia il dipinto già appartenuto alla “contessa Pino”, richiamato in calce all’incisione di Pietro Anderloni.
Un altro enigma …
E l’altra scritta? Quella in basso a sinistra che Cristo indica col dito?
Indecifrabile, come nel Vangelo di Giovanni che non rivela cosa Gesù stesse scrivendo.
Nel dipinto di Brera si notano, con una certa fatica a causa della posizione abbastanza elevata del quadro [Figura 5], tracce di una scritta nascosta da una grossa stuccatura nella direzione del dito di Cristo; non si nota invece alcuna scritta alla base del bastone.
Figura 5. Il dipinto di Bonifacio Veronese nella sua attuale collocazione (luglio 2018).
Miglior fortuna, ma scarsi risultati ingrandendo un dettaglio dell’incisione di Alessandro Angeli [Figura 6]: si legge solo una composizione alfa numerica di fantasia probabilmente come quella riportata sulla placchetta.
A.B.
Figura 6. Dettaglio di un incisione di Alessandro Angeli [Vedi].
NOTE
[1] Queste notizie sono tratte dal catalogo Giunti (Firenze) della mostra Leonardo da Vinci. L’uomo universale, tenutasi presso la Galleria dell’Accademia di Venezia nel 2013. Ringrazio Guerrino Lovato per la segnalazione.
[2] Possiamo identificare la contessa Pino in Vittoria Peluso (1766-1822), famosa ballerina che sposò in seconde nozze il conte Domenico Pino, generale dell’Armata napoleonica. Alla morte del primo marito, il marchese Bartolomeo Calderari, ereditò un cospicuo patrimonio comprendente villa Garrovo a Cernobbio, ora villa d’Este [Leggi].
[3] E’ stato consultato: L’opera completa di Tiziano, Rizzoli, Milano 1969 (Apparati critici e filologici di Francesco Valcanover).
[4] AAVV, Pinacoteca di Brera. Scuola veneta, Electa, Milano 1990 p. 75-76.
[5] Per amore di precisione, si tratta di una versione (cm. 181 x 304) dello stesso soggetto, ma non dello stesso dipinto ed è quindi sostanzialmente diversa (Moschini Marconi Sandra, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte del secolo XVI, Poligrafico, Roma 1962, n. 92 p. 56, inv. n. 50; cat. n. 278). Dal 1953 di trova in deposito presso la Fondazione Giorgio Cini a Venezia.
[6] Bologna, Archivio Zeri [Vedi].