Il mistero del rustico Sileno

della Redazione di Antiqua

Nel canto XVIII della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, al paladino Rinaldo, incaricatosi di liberare una selva da un incantesimo, sembra di intravedere, all’interno di un grande mirto, l’immagine di Armida così come all’interno di un Sileno ligneo si vedono le meravigliose immagini degli antenati. Testualmente:
Già nell’aprir di un rustico Sileno
Maraviglie vedea l’antica etade

(Tasso, GL, canto XVIII, vv. 233-34)
Nel suo commento alla classica edizione Mondadori del giugno 1943 (prima edizione maggio 1929), Pietro Nardi commenta: “Si tratta di quelle piccole figure di legno in forma di Sileno (era costui un satiro che allevò Bacco), rozzamente costrutte di fuori, ma fatte in modo che si aprivano, e dentro mostravano bellissime immagini di Numi. Si ponevano accanto alle statue dei Mercuri poste nelle vie di contado per mostrar la via ai viandanti.”e cita tra parentesi Della Torre, che si può identificare in Arnaldo Della Torre, autore di un commento alla Gerusalemme per la Biblioteca dei classici italiani, Paravia, Torino 1933.
Poco più tardi, nel 1953, nel suo commento alla Gerusalemme per l’editore messinese Principato (edizione con la riproduzione delle incisioni di Giambattista Piazzetta), Luigi Russo dice che “… Sileni si chiamarono certi satiretti di legno che si ponevano nelle vie di campagna insieme alle erme per indicare il cammino ai viandanti; questi satiretti di legno potevano essere aperti e allora all’interno mostravano immagini meravigliose di dei …”.
Russo aggiunge diverse altre cose rispetto ai Sileni, ma sebbene citi in proposito l’archeologo Goffredo Bandinelli e il suo Satiro e Sileni (voce per l’Enciclopedia Treccani), non fornisce alcun ragguaglio su questi curiosi oggetti lignei.
Sarà sicuramente a causa della deperibilità del materiale, ma non risulta che alcun museo archeologico esponga un esemplare di questi Sileni lignei apribili. Sembra confermarlo una cortese comunicazione ottenuta in data 22 settembre 2017 dalla Direzione del Civico Museo Archeologico di Milano.
Se non possediamo prove tangibili di questi oggetti, ne troviamo però un’immagine effigiata in un testo molto affascinate, anche se non sempre di facile comprensione per il grande pubblico, ossia Maschere della verità. Il pensiero figurativo dal Medioevo al Barocco, di Mario Andrea Rigoni (Carocci, Roma 2016, p. 39-40).
Si tratta del frontespizio (siglato BART.BRXE/EXCU) del volume Rime de gli Academici Occulti con le loro imprese e discorsi, edito a Brescia nel 1568, in cui si vede un Sileno apribile mediante uno sportello sul petto, accompagnato dal motto Intus non extra [Figura 1 e 1bis].

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Figura 1 e 1bis. Frontespizio delle Rime de gli Academici Occulti con le loro imprese e discorsi, Vincenzo di Sabbio, Brescia 1568.

Immagine e motto costituivano l’impresa scelta dagli Accademici Occulti di Brescia, i quali ne fornivano un’interpretazione ermetico-mistica. L’Accademia degli Occulti è forse la più importante istituzione culturale bresciana del Cinquecento, attiva dal 1563 al 1583, poi ripresa e cessata definitivamente nel 1623; si occupava di letteratura, in misura minore anche di musica, richiamandosi a valori di spiritualità interiore [Leggi].
Sempre Rigoni ricorda come Platone, nel suo Convivio (o Simposio), paragoni Socrate proprio a uno di questi Sileni facendo dire ad Alcibiade: “Io dico che costui è del tutto somigliante a quei Sileni che si trovano esposti nelle botteghe degli scultori, quelli che gli artisti raffigurano con zampogne e flauti, e che, se vengono aperti in due, mostrano i ritratti degli dei che racchiudono nel loro interno”(Platone, Simposio, con introduzione, traduzione e note di Roberto Luca, La nuova Italia, Firenze 1982).
Quanto ad Alcibiade, egli doveva avere una certa familiarità con l’argomento, quanto meno con le erme alle quali i Sileni lignei vengono associati, dal momento che diversi autori lo vogliono coinvolto nello scandalo della mutilazione di alcune di esse avvenuto nel 415 a.C. ad Atene alla viglia della partenza di un contingente ateniese per la Sicilia durante la guerra del Peloponneso [Leggi]. Le erme di cui parliamo erano teste scolpite su pilastri rettangolari sui quali apparivano i genitali maschili, nell’episodio riferito oggetto della mutilazione [Figura 2].

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Figura 2. Hermes itifallico, erma in marmo, stile arcaico 500 a.C. circa, Atene, Museo archeologico nazionale (NAMA).

Il testo di Rigoni fornisce due ulteriori indicazioni.
La prima è la segnalazione della ristampa dei Dialoghi italiani di Giordano Bruno, con note di Giovanni Gentile, nella terza edizione a cura di Giovanni Aquilecchia (Sansoni, Firenze 1972, pp.14-15, nota 1), dove si può approfondire il tema platonico dei Sileni nella letteratura rinascimentale, da Pico della Mirandola a Erasmo da Rotterdam, da Rabelais a Torquato Tasso, da cui siamo partiti, fino appunto a Giordano Bruno.
La seconda è più discutibile poiché riferita a una contesto “abissalmente” diverso, come dichiara lo stesso Rigoni. Si tratta del riferimento a certe figurette femminili in ceramica colorata di uso funerario del periodo classico di Teotihuacan (200-400 d.C.), dotate nel petto di uno sportello apribile che rivela immagini interne. Dell’esemplare citato, esposto nel 2001 a Madrid, Caixa Forum, nella mostra Teotuhauacan, ciudad de los dioses, non è stato possibile ottenere un’immagine. Mostriamo però l’immagine di una scultura con una vano al centro del petto, oggetto per ora non meglio identificabile, esposto nel 2010 a Città del Messico, Museo Nazionale di Antropologia, nella mostra con lo stesso titolo Teotuhauacan, ciudad de los dioses, successivamente esportata in varie città europee (Berlino, Zurigo) [Figura 3].

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Figura 3. Figura in pietra (mostra Teotuhauacan, ciudad de los dioses, 2010).

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, ottobre 2018
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