Ebanisteria parmigiana del Settecento. Il mobile di corte ritrovato
della Redazione di Antiqua (*)
Accanto ai mobili in legno massello che ne hanno, da sempre, caratterizzato la produzione, a Parma, a partire dalla metà del XVIII secolo, fa la sua comparsa il mobile di ebanisteria frutto della tecnica dell’impiallacciatura che prevede il rivestimento di strutture in legno “povero” con lastre di legni pregiati.
L’occasione storica alla base di questa innovazione fu l’arrivo a Parma, nell’autunno del 1749, di Luisa Elisabetta, primogenita di Luigi XV re di Francia, andata in sposa nel 1739 a Filippo di Borbone, figlio prediletto di Elisabetta Farnese imperatrice di Spagna, al quale la madre era riuscita a far assegnare, in occasione del trattato di Aquisgrana del 1748, il Ducato di Parma e Piacenza.
La Duchessa, abituata ai fasti di Versailles, si trovò subito a disagio nel nuovo stato dove le residenze ducali di Parma, Colorno e Sala erano state spogliate di ogni arredo dal predecessore di Filippo, il fratello Carlo, che nel trasferirsi a Napoli portò con sé tutti i tesori accumulati nei secoli precedenti dai suoi antenati farnesiani.
Prevedendo questa situazione e nel tentativo di rendere meno pesante il disagio della figlia prediletta, Luigi XV la fece accompagnare, come rivela lo storico Stryenski, (nota 1) da un seguito di 34 vetture cariche di mobili, dipinti e oggetti vari, nonché da uno stuolo di artigiani in grado di esaudire in loco ogni suo desiderio.
La generosità del re di Francia nei confronti della figlia non si limitò a questa prima occasione ma si manifestò anche negli anni successivi; arrivarono, così, a Parma mobili di grande ebanisteria che diventarono i modelli per la produzione locale, in piena trasformazione sotto la guida degli artigiani francesi operanti a corte.
Combinando le tecniche della più importante ebanisteria europea, quella francese, con la facile reperibilità di legni indigeni si costruirono mobili, in quantità limitata ma qualitativamente assai pregiati, nei quali alle strutture in quercia venivano sostituite quelle in pioppo e alle impiallacciature con legni esotici venivano sostituite quelle che utilizzavano radiche di olmo, di pioppo e rigatino di noce.
Per rendere i mobili meno soggetti alle deformazioni nel tempo garantendone, così, una maggior stabilità e un miglior funzionamento, gli ebanisti che operavano a Parma ricorrevano, già alla metà del Settecento, all’intelaiatura di schienali e fondi nonché all’utilizzo di doghe sovrapposte “a mattone”, come nel caso dei frontali sagomati dei cassetti, anticipando sistemi costruttivi che, altrove ed in particolare in Lombardia, sarebbero diventati usuali alla fine del secolo.
In questo contesto, incontrò grande favore anche l’impiego di piani in marmo per tavoli, commodes e consoles e la vicinanza delle cave toscane favorì la scelta di tipologie quali il bianco venato di Carrara, quello di Serravezza e il giallo di Siena.
Per sottolineare l’importanza che questo componente rivestiva nella valorizzazione del mobile basti pensare che l’incarico di selezionare i marmi e di lavorarli fu affidato, nientemeno, che allo statuario di corte Jean Baptiste Boudard (nota 2).
E’ doveroso precisare che il vero motore di questo fermento innovativo fu il primo ministro Guillaume Du Tillot, al servizio di Filippo fin dal 1730, che dotato di grande intelligenza e spirito illuministico, favorì lo sviluppo di arti e mestieri avvalendosi di collaboratori importanti, quali l’architetto Ennemond Alexander Petitot, il già citato Boudard, il tipografo Giambattista Bodoni, gli ebanisti e intagliatori Michel Poncet, Marc Vibert e Nicolas Yon.
La necessità di far quadrare i conti di bilancio e, contemporaneamente, salvaguardare l’atmosfera da “piccola Versailles” che si respirava a Parma in quel periodo servì da stimolo per l’innovazione, con risultati sorprendenti che fecero del piccolo ducato un punto di riferimento per artisti, artigiani e governanti.
L’Accademia di Belle Arti e la Biblioteca Palatina sono le realizzazioni più famose volute dal Du Tillot che nei suoi vent’anni di amministrazione seppe conquistarsi la fiducia e la stima di chi ebbe a conoscerlo.
Fra i mobilieri francesi che per primi raggiunsero Parma, il lionese Michel Poncet fu senza dubbio l’ebanista per eccellenza; a lui va riferita la quasi totalità dei mobili impiallacciati prodotti nelle botteghe ducali in quel periodo.
I documenti, fino ad ora conosciuti, che riportano i pagamenti a lui effettuati sono assai significativi in proposito e ci dicono come, ad esempio, le uniche commodes di questo tipo, prodotte a Parma per la corte, fossero opera sua. Una disamina dettagliata e in gran parte condivisibile sull’argomento è stata condotta con meticolosità e competenza da Gonzales Palacios (nota 3), il quale pubblica gli inventari di corte e le fatture di Poncet (nota 4).
Trovando puntuale conferma nelle fatture di Poncet, gli inventari parlano di tre commodes rivestite in radica, prodotte fra il mese di giugno e quello di novembre del 1757, ad un prezzo di £. 500 a cui andavano a sommarsi £. 130 per le dodici maniglie e le sei bocchette in bronzo dorato fornite dallo stesso Poncet [Figure 1 e 2].
Figura 1. Poncet Michel, Una di una coppia di commodes, Parma 1757, cm. 89 x 149 x 66, Palazzina di Stupinigi (To).
Figura 2. Poncet Michel, commode, Parma 1757, cm. 92 x 144 x 67, Palazzina di Stupinigi (To).
Come risulta anche dai marchi corrispondenti ai vari inventari parmensi di cui sopra, questi tre mobili si trovano ora nella Palazzina di caccia di Stupinigi presso Torino, dove sono stati fatti portare dai Savoia dopo il1860 (nota 5).
Gli inventari tacciono invece a proposito di una quarta commode, prodotta nel 1572, quindi la prima in ordine di tempo ad essere uscita dalla bottega di Poncet. E’ rivestita in radica e destinata alla sala della musica nel palazzo di Colorno e costa £. 550 come recita una notula datata 14 marzo 1753 (nota 6).
Di questo mobile si era persa ogni traccia fino alla sua improvvisa ricomparsa sul mercato antiquario avvenuta nel 1998 [Figura 3].
Figura 3. Poncet Michel, commode, Parma 1752, cm. 92 x 144 x 67, Parma, collezione privata.
Avendo avuto la possibilità di esaminare dal vero a Stupinigi e a Parma l’intero “corpus”, si sono potute rilevare le affinità tecnico-stilistiche che legano indissolubilmente le quattro commodes.
In particolare, dal punto di vista formale, sembrano fare riferimento ad uno stesso modello con leggere diversità frutto di un’evoluzione stilistica che, nel caso della prima, risente ancora di una “impostazione un po’ robusta” propria dei modelli “reggenza” mentre già nella seconda, ed ancora di più nella terza e nella quarta che fanno parte di una coppia, le linee tendono ad alleggerirsi, soprattutto nella zona del grembiule.
Dal punto di vista tecnico, poi, le affinità sono molteplici e non lasciano adito ad alcun dubbio in merito alla comune paternità di questi mobili.
Innanzitutto, i legni usati sono talmente simili da far pensare ad un unico approvvigionamento; è, infatti, assai raro incontrare impiallacciature che utilizzano radiche di olmo selezionate in modo così accurato da presentare una tale uniformità di colore, di pezzatura e di disegno.
Così come del tutto particolari sono sia il pioppo dalla patina rossastra usato per le strutture che il rigatino di noce impiegato per disegnare le losanghe, scontornare i bordi e profilare gli spigoli quasi a simulare i legni esotici delle commodes francesi [Figura 4].
Dettaglio Figura 3.
Anche la tecnica costruttiva è la medesima ed è affascinante rilevare come gli spessori dei legni siano identici, così come i chiodi usati per l’assemblaggio, da quelli piccolissimi a testa rettangolare per l’unione dei fondi ai cassetti a quelli più robusti con testa umbonata per il fissaggio delle guide. L’orditura, poi, a doghe orizzontali sovrapposte “a mattone” adottata per i frontali dei cassetti rappresenta una soluzione all’avanguardia per quel periodo, mutuata direttamente dalla Francia così come quella per la costruzione dello schienale che utilizza una struttura a quattro pannelli inseriti con la tecnica del “canaletto” [Figura 5].
Dettaglio Figura 3.
L’unica differenza fra la prima commode del 1752 e le successive del 1757 risiede nel sottopiano che, nella prima, risulta “aperto” e dotato di due traverse che collegano lo schienale con il longherone sagomato anteriore, mentre, nelle altre risulta “chiuso” da tre pannelli in pioppo.
C’è da chiedersi, in conclusione, come un mobile così prestigioso sia potuto finire sul mercato antiquario e da qui in una collezione privata. Occorre, anche, far presente che il marmo attualmente collocato sulla commode del 1752, ancorché coerente, non è quello originale bensì è stato commissionato dal proprietario attuale in sostituzione di un piano in noce con tracce di dipintura “a finto marmo” non pertinente, ma certamente antico, quale si presentava all’atto dell’acquisto sul mercato antiquario.
E’ possibile che il piano originale sia stato rotto in una data imprecisabile tra il 1752 (data di esecuzione del mobile) e il 1802 (data del primo degli inventari ottocenteschi in cui la commode non compare registrata) e che per questo sia stato “declassato”, forse spostato in un magazzino e successivamente alienato, ben prima quindi delle vendite di alcuni arredi a seguito della già citata dispersione post unitaria.
NOTE
[1] Briganti Chiara, Curioso itinerario delle collezioni ducali parmensi, Cassa di Risparmio di Parma, Parma 1969, p. 14.
[2] Sulla figura del Boudard in generale vedi: Marco Pellegri, G.B. Boudard statuario francese alla Real Corte di Parma, Battei, Parma 1976.
[3]
Gonzale Palacios Alvar, Gli arredi francesi, collana Patrimonio artistico del Quirinale, Electa, Milano 1996, pp. 48-52.
Notizie sugli stessi mobili sono contenute in: Gabrielli Noemi, Museo dell’Arredamento Stupinigi, Torino 1966, figura 80; Cirillo Giuseppe-Godi Giovanni, Il mobile a Parma fra barocco e romanticismo, Banca del Monte di Parma, Parma 1983, pp. 133-134, figure 333 e 334.
[4] Gli inventari sono quelli relativi alla Reggia di Colorno (1802, 1805, 1811) e di Parma (1811); vedi Gonzales Palacios op. cit., pp. 326-343. Le fatture di Poncet sono pubblicate nello stesso volume, pp. 363-367.
[5] La legge del 24 giugno 1860 è il primo dei provvedimenti che determinano il trasferimento pressoché integrale delle proprietà immobiliari e mobiliari alla Corona d’Italia e successivamente da questa al Demanio, con conseguente dispersione degli arredi tra varie dimore sabaude e altre destinazioni (Cappelli Gianni, Il mobile parmigiano dal Medioevo al Novecento, Battei, Parma 1996, pp. 126-127; Briganti, op. cit., pp-107-115).
[6] Gonzales Palacios op. cit., p. 363.
(*) Questo articolo è stato pubblicato su Antiqua.mi nell’ottobre 2016, siglato S.G e A.B.
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