Storie e arte nelle tele di santa Felicita del Ceranino e di Sant’agata a Turbigo

di Paolo Mira

Due tele della prima metà del Seicento, raffiguranti Santa Felicita e Sant’Agata, sono tra le opere più importanti del patrimonio storico-artistico conservato nella chiesa parrocchiale della Beata Vergine Assunta di Turbigo (Mi) (nota 1).
La locale devozione alle due martiri ha radici remote, che si possono collocare a cavallo del XVI e XVII secolo, grazie soprattutto all’interessamento della famiglia milanese dei Piatti, che per secoli rimase legata e condizionò favorevolmente le vicende di questo piccolo borgo dell’Altomilanese sviluppatosi lungo il corso del Naviglio grande.
Il padre gesuita Domizio Piatti, fratello ed esecutore testamentario del cardinale Flaminio, donò alla chiesa di Turbigo parecchie reliquie, con atto del 21 gennaio 1613 e in particolare affidò al padre Camillo Toppi di portare in paese gran parte del corpo di Santa Felicita, tolto dalle Catacombe di Santa Priscilla a Roma, accompagnato da atto istrumentato del 27 maggio 1612 e rogato da Giovanni Agostino Tullio. L’istanza per questa donazione venne dall’Illustrissima Signora Ortensia Santacroce, moglie di Francesco Borghese, fratello di papa Paolo V.
Riconosciute a Milano con atto della Curia Arcivescovile in data 26 ottobre 1613, le reliquie furono portate a Turbigo, dove fu stabilita la festa, con voto della Comunità, la quarta domenica di novembre, a differenza del calendario romano che ne fissa la memoria, unitamente a Perpetua, il 7 marzo. A testimonianza della devozione popolare e come ex-voto per la fine della peste di manzoniana memoria (1628-30) fu commissionato un quadro raffigurante la santa martire, sui cui torneremo tra poco.

La testa della santa fu inviata ai Padri Agostiniani Scalzi che erano presenti a Turbigo con un convento e officiavano la chiesa dei Santi Cosma e Damiano tutt’ora esistente, mentre un braccio arrivò in paese solo l’anno seguente accompagnato da bolla del 9 gennaio 1614.
Il 14 giugno 1636 arrivarono a Turbigo truppe di francesi e sabaudi – “sempre a noi fatali”, scriveva don Pietro Bossi, parroco di Turbigo dal 1844 al 1891 – probabilmente di passaggio a causa della guerra per la difficile successione del Ducato di Mantova e Casale Monferrato. Stanziatisi presso Tornavento, per ventidue giorni razziarono e terrorizzarono i paesi e il territorio circostante. Neppure la chiesa di Turbigo fu risparmiata e non accontentandosi del bottino raccolto, distrussero anche il corpo di Santa Felicita. Le ossa furono poi raccolte pazientemente dal parroco Giovanni Paolo Butero (1616-1652) in un’urna, dove ancora si trovano.
Don Bossi nella seconda metà dell’Ottocento pensò di ricomporre il corpo, riunendovi anche la testa e il braccio. Avuta la debita dispensa arcivescovile si accinse alla ricostruzione, quando una sgradita sorpresa lo costrinse a desistere: invece del cranio di Felicita trovò solo un cartone con della polvere, probabilmente del vero cranio e anche il braccio risultava composto da un impasto incerto. Mettendo a confronto le date dell’arrivo delle reliquie, il parroco notò delle discordanze, tanto da far sorgere il dubbio che alcuni pezzi del corpo non fossero della santa, “ma di un’altra Felicita sepolta nelle Catacombe”.
Il Martirologio Romano conferma e allarga i dubbi di don Pietro Bossi; risulta, infatti, che Felicita subì il martirio con i sette figli nel 162 circa, sotto Marco Aurelio. Sepolta con il più piccolo dei figli, Silano, nel cimitero di Massimo sulla Salaria, fu poi trasferita da papa Leone III nella basilica di Santa Susanna, dove non risulta sia stata tolta per essere di nuovo trasferita. E’ quindi assai probabile che tutte le reliquie conservate a Turbigo non siano della più nota martire, ma – senza sminuirne il valore e la devozione che hanno suscitato nei secoli passati – essere appartenute a un’altra cristiana, forse con lo stesso nome, sepolta in Santa Priscilla.

Ma la sorpresa più grande è giunta durante i lavori di restauro dell’opera pittorica [Figura 1] compiuti alcuni anni fa dal Laboratorio San Gregorio di Busto Arsizio (nota 2); nella fase di pulitura della tela, infatti, è emersa in maniera chiarissima, oltre al cartiglio della sottoscrizione popolare e alla data – per altro già visibili – la firma del pittore [Figura 2].

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Figura 1. Melchiorre Gherardini detto Ceranino, Santa Felicita, 1632, Turbigo (Mi), chiesa parrocchiale della Beata Vergine Assunta.

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Figura 2. Firma di Melchiorre Gherardini e data, dettaglio della Figura 1.

La scritta completa del cartiglio, posto nella parte inferiore del dipinto, è la seguente: “S. FELICITAS MARTIR CUIUS FESTum EX VOTO COMUtis TURBIGI CELEBRun DIE VIGIEmo TERo NOVr ob liberatione a peste – M. Gerardin.s 1632” (traduzione: Santa Felicita martire di cui si celebra la festa per voto della comunità turbighese, il giorno 23 novembre, per la liberazione dalla peste, M. Gherardini, 1632). Fu una vera scoperta; la notizia venne ripresa dalla stampa e il Museo Diocesano di Milano chiese di poter esporre la tela turbighese in occasione della mostra “Splendori al Museo Diocesano. Arte ambrosiana dal IV al XIX secolo” (nota 3).
Il nome del pittore comparso durante la fase di pulitura era davvero di primissimo piano nel panorama artistico lombardo e non solo: si trattava nientemeno che di Melchiorre Gherardini (1607-1668), discepolo nonché genero di Giovan Battista Crespi, detto il Cerano, a cui gli succedette nella direzione della bottega conquistandosi il soprannome di Ceranino. Del maestro pur non ereditando l’incisività espressiva imparò la libertà compositiva e coloristica ed è questa una caratteristica riscontrabile anche nella tela di Santa Felicita, nella quale vi è un forte accostamento di tonalità diverse e accese di colore.
Si tratta di una tassello importante per il catalogo del Gherardini, perché della sua produzione pittorica di questo periodo scarsissime sono le opere e tanto meno quelle firmate. Altrettanto curioso è il fatto che l’opera veniva ultima proprio in concomitanza della morte del Cerano, avvenuta a Milano il 23 ottobre 1632.
Purtroppo dell’altro dipinto raffigurante Sant’Agata [Figura 3], che con quello di Santa Felicita costituisce un pendant, non si hanno notizie certe; anche se è indubbia la datazione alla prima metà del XVII secolo, esso non porta alcuna data e firma.

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Figura 3. Anonimo, Sant’Agata, prima metà del XVII secolo, Turbigo (Mi), chiesa parrocchiale della Beata Vergine Assunta.

Diversa è la mano pittorica, comunque di alto livello, come pure le tonalità di colore e le sfumature utilizzate, che infondono all’immagine una connotazione quasi eterea.
La devozione a Sant’Agata, che a Turbigo era unita a quella di Sant’Apollonia, ha avuto origine molto probabilmente con l’arrivo da Roma delle reliquie della santa nel 1597, sempre per interessamento della famiglia del cardinale Flaminio Piatti.
Circa le Sante Agata e Apollonia, martirizzate durante la persecuzione dell’Imperatore Decio attorno al 250 d.C., sempre il parroco Bossi scriveva nelle sue ottocentesche memorie parrocchiali: “Sono feste, queste, votive delle donne; il giorno prima la levatrice assistita da un’altra donna fà per loro una colletta, il cui prodotto in generi qualunque, e denaro serve per ambedue le feste, e viene consegnato in natura al Parroco, che tanto sia o poco un anno per l’altro è tenuto con queste alle solite funzioni, ed a pagare gli inservienti. Le funzioni in ambedue i giorni consistono nella Messa cantata comune alla mattina, e Benedizione simile alla sera” (nota 4).
Le due opere, che erano state sottoposte a un lieve restauro nel 1767, come si apprende dalla nota rinvenuta dai Registri di Cassa parrocchiali, sono ancora conservate nelle cornici originali in legno ricoperto da sottili lamine d’argento.

NOTE

[1] Paolo Mira, I quadri di Santa Felicita e Sant’Agata, in Aa.Vv., La parrocchia e la sua storia, catalogo della Mostra storica per il quinto centenario di fondazione della parrocchia, Turbigo 1996.

[2] Paolo Mira, Scoperto un Gherardini autentico, in settimanale Luce del 5 settembre 1993.

[3] Splendori al Museo Diocesano. Arte ambrosiana dal IV al XIX secolo, catalogo della mostra a cura di Paolo Biscottini, Milano, Electa, 2000, p. 152.

[4] Pietro Bossi, Prammatiche e Memorie di Funzioni Sacre e di Legati di Culto e Beneficenza in Turbigo, manoscritto redatto attorno agli anni Settanta dell’Ottocento e conservato in Archivio Parrocchiale di Turbigo.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, luglio 2013

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