Iconografia della fucina di Vulcano

della Redazione di Antiqua

Tra gli affreschi dipinti da Bernardino Luini per una villa di proprietà Rabia nell’odierno comune di Sesto San Giovanni – denominata La Pelucca dal nome degli antichi proprietari, i Pelucchi – si trovava una Fucina di Vulcano (1513-1515 ca), ora alla Pinacoteca di Brera [Figura 1].

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Figura 1. Bernardino Luini, La fucina di Vulcano, affresco trasportato su tavola, cm. 240 x 163, Milano, Pinacoteca di Brera, Reg. Cron. 5520.

Dopo vari passaggi, nel 1816 la villa passa alla corona austriaca che la affida al Demanio e, tra il 1821 e il 1822, gli affreschi vengono ufficialmente staccati e consegnati al Demanio stesso che li assegna a varie destinazioni; la Fucina di Vulcano è collocata negli ambienti della Villa Reale di Milano (nota 1).
La figura di destra è ancora identificata con Venere nonostante l’attività poco femminile nella quale il personaggio è intento, l’assenza di una tradizione figurativa di “Venere fabbro” e la mancanza di attributi (non solo iconografici, ma di genere).
La definizione Fucina di Vulcano sembra appropriata, per quanto generica, per contrastare la tendenza ad affibbiare titoli più circostanziati a soggetti simili, per metterli in relazione a specifici episodi tratti dalla letteratura classica, cosa che spesso avviene senza conoscere le intenzione dell’autore, prescindendo da un approccio filologicamente corretto o dal semplice buon senso.
Che sia esistita e in parte ancora esista una certa confusione nell’identificazione dei soggetti è dimostrata da tre foto d’epoca raffiguranti lo stesso dipinto, identificato però nelle rispettive didascalie con titoli diversi: Vulcano e Venere temprano le armi di Marte [Figura 2], Vulcano e Venere temprano le armi di Achille [Figura 2 bis1] e La fucina di Vulcano [Figura 1 ter].

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Figura 2. Vulcano e Venere temprano le armi di Marte, Ed. Brogi.

Figura 2 bis. Vulcano e Venere temprano le armi di Achille, Ed. Montabone.

Figura 2 ter. La fucina di Vulcano, Ed. Anderson.

Tornando agli affreschi della Pelucca, altri frammenti vengono staccati più o meno abusivamente e finiscono sul mercato. Già nel 1822 Giovanni Battista Sommariva, forse committente di alcuni di questi strappi, possedeva nelle sue abitazioni tra Tramezzo e Parigi più frammenti della Pelucca.
Alcuni di questi vengono acquistati attorno al 1856 dal collezionista Otto Mündler, il quale nel 1863 li cede al Louvre. Contestualmente Mündler cede al Louvre anche un altro affresco già di proprietà Sommariva a Tremezzo: Vulcano che forgia le armi di Amore [Figura 3] per cui si è supposta una provenienza dalla Pelucca.

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Figura 3. Bernardino Luini, Vulcano che forgia le armi di Amore, Parigi, Louvre, inv. M.I. 345 (foto Alinari).

In realtà, l’affresco oggi al Louvre proveniva da un convento lodigiano, secondo le notizie fornite dallo stesso Giovanni Battista Sommariva, fonte da ritenere attendibile poiché il Sommariva era di Sant’Angelo Lodigiano (Agosti-Stoppa-Tanzi 2010, nota 64 p. 63), anche se il soggetto, o meglio la sua resa, appaia assai poco “conventuale”.
Presso la Pinacoteca Repossi a Chiari (Bs) è stato catalogato un calco in gesso di forma ovale, a cui è stato dato il titolo Venere, Marte e Cupido nella fucina di Vulcano [Figura 4]; la scritta SOMMARIVA POSSIEDE, che vi compare sul retro, rivela che esso è appartenuto a Giovanni Battista Sommariva.

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Figura 4. Venere, Marte e Cupido nella fucina di Vulcano, calco in gesso, cm. 5,4 x 4,2, spessore 4, Chiari (Bs), Pinacoteca Repossi, inv. K00108.

La scheda redatta a cura dei Beni Culturali della Lombardia data il calco in gesso alla prima metà del XIX secolo e lo mette in relazione a una medaglia, intesa un po’ ambiguamente sia come oggetto originale dal quale il calco sarebbe stato tratto, sia come oggetto finale al quale il calco funge da modello.
Non possiamo sapere se Sommariva intendesse creare dal calco una medaglia, ma è certo che il piccolo gesso ripropone in modo letterale il soggetto dell’affresco di Luini, ora al Louvre, che gli era appartenuto. Quella di riprodurre in forma miniaturizzata le opere della sua collezione era del resto un’abitudine di Sommariva come si deduce dai numerosi dipinti su smalto che si trovano oggi a Milano presso la Galleria d’Arte Moderna (nota 2).
Viene spontaneo identificare con Marte il personaggio in armatura che compare nell’affresco del Louvre (e nel calco di Chiari), tuttavia, potrebbe apparire poco plausibile la sua presenza accanto a Vulcano in un contesto “pacifico”, essendosi reso protagonista di una tresca con Venere (nota 3).
Si ripresenta il problema della “libertà” con cui i temi legati alla Fucina di Vulcano vengono trattati rispetto alle fonti e come altrettanto liberamente vengono identificati dalla critica.
In un dipinto di anonimo pittore veneziano del XVI secolo [Figura 5], di cui non si conosce l’ubicazione, si vedono Vulcano intento a forgiare armi, Amore, Venere e un uomo seminudo con elmo e gambali reggente una fiaccola che nel catalogo della Fondazione Zeri, a cui l’immagine appartiene, viene identificato con Marte.

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Figura 5. Anonimo veneziano, Fucina di Vulcano con Marte e Venere, dipinto, XVI secolo, ubicazione sconosciuta (Zeri n. 47033).

Se accettiamo quanto scritto sopra sull’incompatibilità tra Marte e Vulcano in un contesto di questo genere, si potrebbe allora trattare di Enea e l’episodio sarebbe “liberamente” ispirato all’Eneide (VIII, 416-453).
In Virgilio, però, sono i Ciclopi, su ordine di Vulcano, sollecitato da Venere, a forgiare le armi di Enea; Amore non compare in questo episodio dell’Eneide e neanche Enea.
Inoltre, nel dipinto si vede abbastanza chiaramente che Vulcano è intento a forgiare la punta di una freccia e l’attenzione che Amore dedica all’operazione porgendo a Vulcano un modello di freccia indica che la scena potrebbe rappresentare proprio Vulcano che forgia le frecce di Amore.
Il personaggio elmato non potrebbe quindi essere Enea e si fa nuovamente strada l’ipotesi che si tratti di Marte, ipotesi rafforzata dal fatto che è seminudo e regge una lancia, condizione che si addice maggiormente a Marte piuttosto che ad Enea. In questo contesto, si fatica semmai a comprendere il significato delle armi ammonticchiate ai suoi piedi, se non con il fatto che ci troviamo nella bottega di un fabbro.
D’altro canto, a chi meglio di Marte, in quanto dio della guerra, si potrebbe pensare per presiedere alle operazioni di confezionamento di armi.
Non dovrebbero esserci allora più dubbi circa il fatto che anche il personaggio in arme nel dipinto di Luini del Louvre (vedi ancora Figura 3) sia Marte e che il titolo Vulcano che forgia le armi di Amore sia del tutto corretto, laddove Amore, in braccio a Venere, sembra dare indicazioni a Vulcano su come desidera vengano forgiate le sue frecce, molte delle quali compaiono ai piedi della pietra che regge l’incudine. Per completare il quadro, il piccolo cane tra le braccia di un amorino in basso a destra, cui Venere rivolge il suo sguardo, in quanto emblema di fedeltà, potrebbe alludere alla fedeltà che di lì a poco sarebbe stata tradita, collocando la scena in un tempo che precede la scoperta da parte di Vulcano della “storia” tra Venere e Marte.
Un nuovo esempio di come una scena possa essere variamente interpretata è fornito da una xilografia di Giovanni Battista Palumba [Figura 6] nella quale si vede Vulcano, questa volta intento a forgiare un elmo, Amore con arco e frecce ai suoi piedi, Venere e un uomo in armatura, armato di lancia, che le accarezza una spalla; si notano inoltre una corazza completa appesa a un albero.

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Figura 6. Giovanni Battista Palumba, Vulcano forgia le armi di Enea e Venere le consegna, xilografia cm. 30,3 x 21,8, 1500-1516 ca. Pavia, Musei Civici.

Chi è l’uomo in arme, di nuovo Marte?
Diciamo subito che il Palumba, attivo a Roma agli inizi del XVI secolo, era un uomo colto o comunque in contatto con i numerosi intellettuali del suo tempo che riflettevano sulle rovine antiche e sulla loro influenza nella cultura contemporanea, e non è quindi possibile che la scena sia stata composta in modo casuale e irrispettoso della filologia antica (nota 4).
Il problema è, ancora una volta, interpretare correttamente quali fossero le sue intenzioni.
Se la xilografia in questione viene spesso intitolata Venere, Marte e Vulcano, la scheda dei Beni Culturali riferita all’esemplare dei Musei Civici di Pavia, qui riprodotto (nota 5), identifica con precisione la scena come Vulcano forgia le armi di Enea e Venere le consegna, specificando che il titolo è tratto dalla bibliografia (ivi citata) riguardante la xilografia e che la scena riunisce due momenti narrati nell’Eneide di Virgilio: Vulcano che forgia le armi di Enea (Eneide, VIII, 439-453) e Venere che gliele consegna (VIII, 615).

NOTE

[1] Molte delle notizie sulle vicende storiche e collezionistiche dei dipinti di cui si parla sono tratte da: Agosti-Stoppa, Bernardino Luini e i suoi figli (catalogo mostra Milano, Palazzo Reale 2014), Officina Libraria, Milano 2014, p. 106, ivi citato Agosti-Stoppa-Tanzi, Il Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini (catalogo mostra Rancate 2010), Officina Libraria, Milano 2010, p. 63 nota 64; Block notes 2010, p. 244.

[2] Adele Chavassieu d’Haudebert al GAM (ottobre 2010) [Leggi].

[3] L’episodio è riferito da Omero (Odissea, del canto VIII versi 266-369). Le rappresentazioni che vi si rifanno mostrano Marte e Venere che flirtano all’insaputa di Vulcano oppure quest’ultimo che li sorprende imprigionandoli nella rete.

[4] Giovanni Battista Palumba o Colomba, forse bolognese, a lungo noto come “Maestro IB con l’uccello”, dal momento che firmava le sue stampe con IB seguito dal profilo di un volatile (poi identificato appunto con una colomba), era legato al poeta Evangelista Capodiferro e al circolo culturale gravitante attorno al cardinale Giovanni Colonna. Su di lui si trova in rete una buona voce enciclopedica [Leggi]; vedi anche Vincenzo Farinella, Archeologia e pittura a Roma tra Quattrocento e Cinquecento. Il caso di Jacopo Ripanda, Einaudi, Torino 1992 pp. 37 e 51.

[5] Aldovini Laura, scheda SIRBeC scheda SRL – F0130-00271 (2011) [vedi].

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, gennaio 2018

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