Mobili ebano e avorio in Lombardia tra XVII e XIX secolo
di Andrea Bardelli
“Ebony And Ivory Live Together In Perfect Harmony” cantavano Paul Mc Cartney e Stevie Wonder nel 1982.
Diversi secoli prima, gli stessi principi espressi in quest’inno all’integrazione razziale erano fatti propri, sebbene con intenti meramente artigianali, dagli stipettai fiamminghi. Essi arano provetti intarsiatori e si erano specializzati nell’accostare tra loro legni di diverse essenze, ma anche di combinarli con altri materiali come metalli, avorio, osso, madreperla, secondo tecniche presumibilmente apprese dal contatto con l’Oriente.
Tra i tanti accostamenti, uno dei più frequentemente adottati dalla fine del XVI secolo, era quello tra ebano e avorio, tutti materiali d’importazione e particolarmente preziosi. Pare che il termine “ebanista” derivi proprio da ciò.
Questa tecnica si diffonde in tutta Europa e, per quanto riguarda l’Italia, attecchisce specialmente nel Ducato di Milano e nel Regno di Napoli, dove maestranze fiamminghe operavano al seguito delle truppe spagnole che li avevano occupati.
Gli stipi napoletani e quelli lombardi, anzi milanesi, seguono però diverse declinazioni: i primi più magliloquenti con grandi placche in avorio incentrate su scene di battaglie e di conquiste della dinastia regnante, con particolare riferimento al dominio delle Americhe, i secondi, più modesti, anche nelle dimensioni, con scene tratte dal repertorio classico e allegorico. Ne mostriamo tre versioni con il medesimo soggetto (un uomo d’armi): aperto e privo di ante, ad anta unica ribaltabile, a due ante [Figure 1, 2 e 3].
Figura 1. Stipo in legno ebanizzato e avorio, cm. 49x59x25, Lombardia, XVII secolo (Finarte).
Figura 2. Stipo in ebano, palissandro e avorio, cm. 46×52,5×31, Lombardia, XVII secolo, Collezione Cagnola, Gazzada (Va), Inv. MO.10.
Figura 3. Stipo in legno ebanizzato e avorio, cm. 52x60x30, Lombardia, XVII secolo (Adma).
Molto spesso, il fronte dei tiretti è contornato da cornicette intagliate “a guilloche”, un altro motivo che si lega alla cultura fiamminga perché la maggior parte delle cornici dei dipinti fiammnighi tra XVI e XVII secolo si avvalgono di questi elementi decorativi.
E’ probabile che questi mobili fossero destinati a contenere piccole collezioni di oggetti preziosi, come monete, gemme, reperti romani, gioielli, oggetti d’arte glittica. Un’altra ipotesi e che contenessero documenti importanti e che fossero delle scrivanie portatili, come lascerebbe intendere il modello chiuso da un’unica anta ribaltabile. In ogni caso, la presenza di serrature, di scomparti e accessi segreti e di rinforzi in metallo sugli spigoli, conferiva l’aspetto di forzieri, in contrasto con la facilità del loro asporto, agevolato spesso da maniglie fissate sui fianchi.
Sicuramente erano abbastanza diffusi, anche al di fuori della corte, presso i nobili, ma anche presso i ceti mercantile e i banchieri. Ne vediamo uno chiaramente rappresentato in una natura morta di Baschenis tra un mappamondo e diversi strumenti musicali [Figura 4].
Figura 4. Evaristo Baschenis (Bergamo, 1607 circa-1677), Strumenti musicali, olio su tela cm. 108×153, Venezia, Galleria dell’Accademia.
Gli stipi lombardi di cui stiamo trattando presentano alcune varianti come l’impiego dell’osso al posto dell’avorio, già in epoca antica, oppure l’alternanza del palissandro all’ebano, in toto o solo in alcune parti del mobilie [Figure 5 e 5 bis].
Figure 5 e 5 bis. Stipo in palissandro e avorio, cm. 40x54x34, Lombardia, XVII secolo (Finarte).
Questi stipi vengono in genere datati al XVII secolo in concomitanza alla dominazione spagnola, e degli spagnoli paiono rispecchiare lo stile severo dell’epoca, fatto di bianchi colletti inamidati su abiti totalmente neri. Sebbene alcuni esemplari compaiano sul mercato con una datazione al XVIII secolo e non si possa escludere, come sempre, la presenza di mobili ritardatari, riteniamo che nel Settecento fossero diventati del tutto anacronistici.
Non costituisce certo un’eccezione, ma una stravaganza lo straordinario trumeau databile alla metà circa del Settecento e facente parte degli arredi di Villa Cagnola a Gazzada (Va) [Figura 6].
Figura 6. Cassettone a ribalta con alzata, Lombardia, metà circa XVIII secolo, Collezione Cagnola, Gazzada (Va), Inv. MO.20.
In un tipico mobile in stile barocchetto lombardo decorato con cornicette nere, lo “scarabattolo” composto da vani e tiretti e il piano interno ribaltabile appaiono eseguiti con la tecnica ad intarsio ebano su avorio impiegata circa cento anni prima. E’ plausibile che si tratti di un arricchimento ottocentesco, nell’intento di rappresentare, in forma di citazione/commistione, una sintesi del gusto lombardo nei secoli.
Sicuramente è proprio nell’Ottocento che i mobili ebano e avorio vivono in Lombardia una nuova giovinezza. Il tentativo di creare uno stile nazionale dopo l’unità d’Italia, in Lombardia come in altre regioni, apre in realtà le porte a un diffuso eclettismo che mescola gli stili del passato e resuscita alcune formule.
La più celebre bottega che a Milano riporta in auge i mobili incentrati sulla combinazione tra ebano e avorio, talvolta sostituiti rispettivamente dal legno (noce o pero) ebanizzato e dall’osso, è quella di Ferdinando Pogliani, attiva durante la seconda metà dell’Ottocento.
Si veda, ad esempio lo stipo a due corpi in legno ebanizzato e placche di avorio inciso [Figura 7], passato sul mercato nel 2006 (Asta Farsetti, Prato), oppure quello non meno imponente [Figura 8], anch’esso passato in asta in tempi più lontani (del quale non siamo però in grado di fornire i riferimenti).
Figura 7. Ferdinando Pogliani, Doppio corpo in legno ebanizzato e avorio, Milano XIX secolo (Farsetti).
Figura 8. Ferdinando Pogliani, Doppio corpo in legno ebanizzato e avorio, Milano XIX secolo.
A parte la scelta dei materiali impiegati, non vi è alcuna possibilità di errore nel riconoscere gli esemplari ottocenteschi, sia nelle forme – anche quando rieccheggiano lo stile seicentesco più austero – sia per quanto riguarda i decori, dal momento che i soggetti figurati per le placchette di avorio inciso sono per lo più tratti da stampe neoclassiche, talvolta da opere del nostro Rinascimento, ma comunque lontane dal classicismo barocco che contraddistingueva gli esemplari seicenteschi.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, giugno 2014
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