Una Vicenza d’argento

di Luca Trevisan

Al termine della peste che aveva flagellato, tra le altre, anche le città venete nel biennio 1576-77, i vicentini presentarono alla Vergine del santuario di Monte Berico, per ringraziarla dello scampato pericolo, un modellino d’argento raffigurante la città. Si trattava in sostanza di un’immagine della loro “piccola patria” che veniva donata alla Madre di Cristo dalla quale Vicenza aveva ricevuto protezione.
Qual era tuttavia la forma urbis prescelta per rappresentare, chiaramente semplificato nella riproduzione, il centro berico?
Come attestano le fonti cartografiche e i documenti dell’epoca, all’originario nucleo urbano cinto dall’antica cortina di mura altomedievali, di andamento pressoché circolare, si erano aggiunti una serie di borghi che progressivamente, nel corso dei secoli, erano stati a loro volta muniti con la costruzione di mura di difesa, cosicché nel suo insieme la città aveva assunto una struttura particolarmente irregolare. Nei secoli, però, il circuito altomedievale delle mura di Vicenza aveva sempre caratterizzato – anche in epoca successiva alla sua realizzazione, in concomitanza con la ricordata espansione del territorio urbano in borghi esterni secondo un piano più o meno organizzato – il limite netto e definito tra la dimensione autenticamente urbana (la città vera e propria) e la periferia. Lo si evince, ad esempio, dalla Pianta Angelica di Vicenza (una mappa della città realizzata per essere spedita a Roma), che nella definizione accurata delle emergenze architettoniche rivela un evidente contrasto tra l’intessitura del nucleo urbano originario racchiuso entro la riconoscibilissima cinta muraria altomedievale e la conformazione delle addizioni più tarde: a voler significare in questo modo, pur nella pretesa di includere l’intera città (e si tratterà di un’impostazione che riconosciamo pure nelle piante posteriori), l’attenzione che era riposta nel distinguere l’universo urbano architettonicamente organizzato secondo un piano edilizio che fondava la propria ragion d’essere nello sviluppo di un apparato oramai coerente e unitario, da quello extraurbano, più recente, disomogeneo e in parte estemporaneo. E sarà non a caso informata di una sensibilità di equivalente matrice la manoscritta Descrizione della città di Vicenza redatta dal notaio Silvestro Castellini indicativamente tra il 1614 e il 1618 (conservata presso la Biblioteca Bertoliana di Vicenza), rigorosamente suddivisa in due volumetti sulla base di criteri di carattere topografico, relativi pertanto all’area «dentro dalle mura», il primo, e a quella «delli borghi», il secondo: ancora una volta, pertanto, stabilendo una gerarchia tra il mondo della città (la città vera) e le sue addizioni periferiche più tarde.

Dunque, per rispondere alla domanda che ci siamo posti in apertura, che forma sarebbe stato opportuno dare a Vicenza nel modellino che doveva simbolicamente rappresentare la città? Non vi erano dubbi: la riconoscibilità immediata del contesto urbano era legata all’articolazione della città antica e questa costituì pertanto il fondamento dell’ex voto che venne realizzato, il quale – stando alle fonti coeve – «ha da durar perpetuamente et di andar in processione». Sfortunatamente però il gioiello argenteo, che doveva «durar perpetuamente», venne, come vedremo, miseramente distrutto nel momento stesso in cui si dissolveva la Repubblica di Venezia. Ma andiamo con ordine. Approvatane l’esecuzione ai primi mesi del 1577, il manufatto fu completato – come si ritiene – nel 1578 avvalendosi verosimilmente delle competenze e delle indicazioni fornite dai perticatori che in quegli anni andavano misurando la città per la realizzazione della citata Pianta Angelica, ma anche del parere «de molti eccellentissimi maestri de Venetia et di messer Andrea Palladio».
Il modello d’argento della città fu immediatamente oggetto di devozione e di particolare richiamo, al punto tale che tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento due tra i più celebri pittori di Vicenza dell’epoca, Alessandro Maganza prima e Francesco Maffei poi, dipinsero una serie di tele incentrate sulla figura dell’allora santo patrono di Vicenza, san Vincenzo, reggente il modello della città [Figure 1, 2, 3 e 4].

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Figura 1. Alessandro Maganza, Madonna con il Bambino, sant’Anastasio e san Vincenzo con il modello della città di Vicenza, 1613, Thiene, chiesa di San Vincenzo.

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Figura 2. Alessandro Maganza, San Vincenzo e un angelo presentano a Cristo il modello della città di Vicenza, 1593, Poiana Maggiore, chiesa parrocchiale.

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Figura 3. Francesco Maffei, San Vincenzo col modello della città di Vicenza, 1625 ca., Vicenza, Coll. Museo Civico (deposito palazzo Trissino-Baston).

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Figura 4. Francesco Maffei, San Vincenzo col modello della città di Vicenza, 1625 ca., Vicenza, Museo Diocesano.

Dipinti che oggi costituiscono dei documenti formidabili e importantissimi per la conoscenza di questo ex voto, il quale fu – come anticipato – infelicemente e sfortunatamente distrutto dai francesi nel 1797. Giunti a Vicenza ed occupato (così come avevano fatto con molti altri edifici religiosi della città) il santuario di Monte Berico, le truppe napoleoniche individuarono immediatamente questo splendido gioiello, che decisero ipso facto di fondere. La speranza di ricavarne un blocco consistente di metallo prezioso si infranse tuttavia miseramente non appena si accorsero che quello che credevano un oggetto eseguito interamente in argento altro non era, in realtà, che un modello ligneo rivestito di sottili lamine d’argento.
A distanza di quasi quattro secoli e mezzo è nato a Vicenza un comitato di esperti (all’interno del quale ho avuto il piacere di essere convocato in qualità di storico dell’arte) per la ricostruzione del modello argenteo che raffiguri la Vicenza tardo-cinquecentesca. È stato dunque bandito un concorso vinto dall’architetto Romano Concato, il quale, a partire dalle fonti a disposizione (mappe, piante, dipinti), è riuscito a riconoscere, per quanto possibile, i particolari del modellino del 1577, così da poterne ricreare una copia quanto più fedele all’originale in un rendering dettagliatissimo in cui raccontare la storia della città e di quel famoso ex voto.
E proprio a partire dal rendering che ha vinto il concorso [Figure 5, 6 e 7] si sta provvedendo in questi mesi, ancora facendo appello alla munificenza dei vicentini che oggi come allora hanno donato l’argento, a riportare in vita con le più moderne tecniche orafe affiancate dalla sapiente lavorazione artigiana il simbolo di Vicenza. Che è ad un tempo simbolo della sua storia devozionale, simbolo della sua realtà urbana, simbolo della sua stimata specificità nel campo dell’oreficeria.

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Figura 5. Rendering completo del nuovo modello della città di Vicenza (copyright arch. Romano Concato).

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Figura 6. Dettaglio del progetto della Basilica Palladiana (copyright arch. Romano Concato).

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Figura 7. Dettaglio del progetto della cattedrale (copyright arch. Romano Concato).

E così dalla fine del 2013 il gioiello tornerà a svolgere la sua funzione di ex voto e di contrassegno iconografico del centro berico [Figure 8, 9 e 10].

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Figura 8. Dettaglio di un torrione della cinta muraria già realizzato (foto copyright arch. Romano Concato).

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Figura 9. Dettaglio di palazzo Chiericati già realizzato (foto copyright arch. Romano Concato).

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Figura 10. Dettaglio della chiesa di San Lorenzo già realizzata (foto copyright arch. Romano Concato).

Le mura, le porte civiche, le chiese con gli alti campanili, le case medievali, i più appariscenti palazzi palladiani; tutto racconta allora di nuovo quella città, una città organizzata secondo le coordinate dei centri del potere: il potere politico, da un lato, imperniato nella sede della Basilica Palladiana e nell’elemento svettante dell’annessa torre civica; e quello religioso, dall’altro, incardinato nella mole della cattedrale e della sua grande cupola.
I due poli di una dialettica opportunamente rivendicata nel nuovo modello di Vicenza.


Prima pubblicazione: Antiqua.mi, aprile 2013

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