Una terracotta attribuita a Pietro Bernini: Ninfa o Euridice?
della Redazione di Antiqua
A proposito di questo gruppo in terracotta, facente parte della Collezione Cagnola [Figura 1], non ci soffermeremo sulla correttezza della sua attribuzione a Pietro Bernini (1562-1629), padre del più celebre Gian Lorenzo, né tratteremo della sua probabile natura: opera originale o bozzetto per una fontana. Ci interessa piuttosto studiare il soggetto rappresentato, partendo dalla scheda pubblicata nella monografia dedicata alle arti decorative della stessa collezione che lo identifica come Apollo e Ninfa, ovvero come Orfeo ed Euridice (nota 1).
Figura 1. Pietro Bernini (?), terracotta patinata, cm. 45, Gazzada (Va), Collezione Cagnola, inv. SC.19 (foto di Vivi Papi).
Ciò che si vede un uomo nudo con la testa coronata d’alloro che abbraccia una donna accosciata, lambita da fiamme.
L’ipotesi di Apollo e Ninfa parrebbe da scartare perché la figura di un Apollo “soccorritore” è poco verosimile. D’altro canto, tra le tante figure femminili aventi a che fare con Apollo in presenza di fiamme, è stata individuata la sola Coronide, una mortale e non una ninfa.
Per altro, ciò avviene in circostanze affatto diverse: Apollo estrae dal ventre di Coronide, morta e distesa su una pira già ardente, il figlio avuto da lei: Esculapio.
Che il gruppo raffiguri Orfeo ed Euridice è quindi assai più plausibile. La loro storia è narrata sia da Virgilio che da Ovidio e ripresa alla metà del XV secolo dal Poliziano (nota 2).
L’antefatto alla scena che si suppone rappresentata nella scultura vede Euridice, sposa di Orfeo, calpestare un serpente che la morde, provocandone la morte, mentre sfugge al pastore Aristeo che la insidiava. Orfeo implora Plutone e Persefone che Euridice gli venga restituita e, grazie alla forza convincente del suo canto, ottiene il suo scopo. Unica condizione è che Orfeo non si volti a guardare Euridice prima che sia uscita dall’Ade, ma lui non la rispetta e perde definitivamente la sua sposa.
Quest’ultimo episodio viene raffigurato assai raramente nell’arte del primo Rinascimento e solo durante il Cinquecento si afferma come soggetto autonomo. Prevale però l’immagine di Orfeo che precede Euridice di qualche passo e si volta verso di lei provocandone la perdizione e la relativa disperazione. La difficoltà di rendere la sequenza narrativa produce spesso effetti poco convincenti, laddove “il gesto di Orfeo potrebbe apparire piuttosto la conseguenza, anziché la causa dello sconforto di Euridice” [Figura 2, nota 3].
Figura 2. Antonio Tempesta, Orfeo si volta a guardare Euridice, incisione (Pietro de Jode excudit), 1598, Firenze, Galleria degli Uffizi.
In ogni caso, raramente tra i due personaggi si stabilisce un contatto fisico, come nel caso del gruppo plastico attribuito a Pietro Bernini qui in esame.
Una significativa eccezione è costituita da un’incisione a bulino di Agostino Carracci (1557-1602) [Figura 3] che possiamo porre in stretta relazione all’opera del pressoché contemporaneo scultore fiorentino e che ci autorizza a identificare definitivamente in Orfeo ed Euridice il soggetto in essa rappresentato.
Figura 3. Agostino Carracci, Orfeo ed Euridice, incisione a bulino, cm. 15 x 10, ultimo quarto del XVI secolo, Firenze, Biblioteca Marucelliana, vol. XIX n. 139. Iscrizione in basso a destra: “Venetiis Donati Rascicotti formis”.
L’incisione appartiene alla serie detta delle Lascivie per il contenuto più o meno erotico delle immagini. Riscontriamo il medesimo intento anche nella terracotta dove i nudi sono piuttosto esibiti e i genitali esposti; quello maschile sarebbe ancora più esplicito se il pene non fosse stato rimosso, per non parlare di quello femminile con le fiamme ardenti in prossimità della vagina [Figura 4].
Figura 4. Dettaglio dell’opera rappresentata in Figura 1 (foto di Lucia Laita).
In entrambe le opere i due personaggi cercano di riunirsi in un ultimo abbraccio, come per altro riportano anche le fonti letterarie citate nella nota 2. Nell’incisione, tuttavia, Orfeo ed Euridice sono decisamente terrorizzati e guardano in direzioni opposte, forse, almeno per quanto riguarda Orfeo, nell’estremo tentativo di rimediare al suo errore.
Nel gruppo plastico, invece, la scena assume toni decisamente meno drammatici, i due si guardano con trasporto e l’abbraccio è particolarmente affettuoso [Figura 5].
Figura 5. Dettaglio dell’opera rappresentata in Figura 1 (foto di Lucia Laita).
Ritroviamo un atteggiamento simile in un dipinto di Alessandro Varotari detto Padovanino (1588-1649) che il volume citato nella nota 3 indica come ispirato alla stampa di Carracci [Figura 6].
Figura 6. Alessandro Varotari detto Padovanino, Orfeo ed Euridice, olio su tela, 164 x 119, Venezia, Galleria dell’Accademia.
Un ultimo aspetto riguarda lo strumento musicale ai piedi di Orfeo, pressoché nascosto dal mantello [Figure 7 a e 7 b]. Parrebbe trattarsi di una viola di fine Cinquecento che l’autore della scultura può aver deciso di coprire con il mantello, anche per evitare la non facile resa tecnica in terracotta delle corde. Per altro, nell’incisione di Carracci, la viola viene rappresentata senza corde, ossia uno strumento che non può suonare a suggello di una scena che non prevede futuro.
Figura 7 a. Dettaglio dell’opera rappresentata in Figura 1 (foto di Lucia Laita).
Figura 7 b. Elaborazione grafica della Figura 7 a.
NOTE
[1] Mario Scalini, in AAVV, La collezione Cagnola. Le arti decorative, Nomos, Busto A. (Va) 1998, p. 79.
[2] Virgilio, Georgiche, IV, 453-527; Ovidio, Metamorfosi, X, 1-105, 143-147, XI, 1-65; Poliziano, Fabula di Orpheo (vedi varie edizioni critiche).
[3] La citazione e l’incisione di Antonio Tempesta sono tratti da un bellissimo volume che ha fornito diversi spunti e del quale raccomandiamo caldamente la lettura: AAVV (a cura di Susanne Pollack), Il dolce potere delle corde. Orfeo, Apollo, Arione e Davide nella grafica tra Quattro e Cinquecento, Olschki, Firenze 2012.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, febbraio 2016
© Riproduzione riservata