Due cassettoni “Maggiolini” e una storia di antiquariato tra Milano e Varese

di Andrea Bardelli

Nel 1874 a Milano, nel Salone dei Giardini pubblici (un ex convento delle Carcanine già trasformato in luogo espositivo e così battezzato per l’occasione), si svolge un’Esposizione storica di arte industriale in vista della costituzione di un Museo d’Arte Industriale che nel 1900 ha trovato la sua definitiva collocazione in Castello Sforzesco.
Le migliori famiglie della nobiltà milanese concorrono a fornire oggetti d’arte decorativa d’ogni genere: mobili, ceramiche, tessuti, ventagli, armi e armature, vetri, avori, bronzi, smalti e oreficerie.
Tra i donatori, nonché tra i membri del Comitato Esecutivo, troviamo il nob. Carlo Cagnola il quale contribuisce con numerosi oggetti e diversi mobili, in particolare due cassettoni identificati ai numeri 154 e 168 della sezione C (Mobilio a tarsie di legno dei secoli XVII, XVIII e XIX) del Catalogo con la medesima descrizione: “Cassettone di noce a tarsie di legno ombrato, opera del Maggiolino(nota 1).
I due cassettoni fanno tutt’ora parte della Collezione Cagnola anche se non sono attualmente esposti nella sale di Villa Cagnola a Gazzada (Va) aperte per le visite del pubblico.
Si tratta di due mobili piuttosto belli, dotati di piano in marmo (purtroppo non più quello originale) e intarsiati secondo il tipico lessico dell’ebanisteria neoclassica lombarda [Figura 1].

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Figura 1. Cassettone intarsiato (uno di una coppia), Lombardia, fine XVIII secolo, Collezione Cagnola, Gazzada (Va), n. inv. da assegnare (foto di Dario Cesaretto).

Maggiolini ?
Relativamente alla questione se si tratti effettivamente di mobili del Maggiolini possiamo avvalerci sia di una ricerca iconografica, sia di un’analisi tecnica.
Per quanto riguarda il primo aspetto ricorriamo all’indispensabile volume curato da Giuseppe Beretti e Alvar Gonzales Palacios sul Catalogo dei disegni del Fondo Maggiolini conservato nel Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano (nota 2). Se guardiamo al decoro che ricorre sulla fronte (disegnata come se si trattasse di una credenza a due ante) e sui fianchi [Figura 1 bis], troviamo qualche somiglianza, per quanto riguarda la coppa e le girali fogliate, in un disegno contrassegnato da C 101 [Figura 2] – attribuito da Beretti e Gonzales Palacios al pittore Giuseppe Levati (1739-1828) – sul quale compare la scritta “Mazenzaniga” (nota 3). Il motivo della cornucopia compare invece nei fogli B 442 e C 222bis.

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Figura 1 bis. Dettaglio del cassettone di Figura 1 (foto di Dario Cesaretto).

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Figura 2. Giuseppe Levati (attr.), Ornato per fronte di un comò, matita, penna e acquerello su carta greggia, mm 402×509 ((Beretti-Gonzales Palacios, op. cit. p. 272).

Tuttavia, come giustamente sostengono gli autori del Catalogo “un disegno appartenente al Fondo Maggiolini adoperato per la decorazione di un mobile non implica necessariamente che il mobile sia uscito dalla bottega …” (Beretti-Gonzales Palacios, op. cit. xxiii).
Per quanto riguarda il secondo aspetto, ossia l’analisi tecnica, i mobili hanno una struttura in noce che caratterizza i mobili di maggior pregio, inclusi quella di Maggiolini, ma il tipo di costruzione non ha quell’accuratezza che in genere viene riconosciuta alla bottega di Parabiago quando Maggiolini la dirigeva personalmente. Inoltre, l’intarsio, per quanto ricco e accurato, non mostra quella precisione che consente di riconoscere la mano di Giuseppe Maggiolini, almeno nel suo periodo migliore.
Tutto quanto precede ci permette di identificare una coppia di mobili di qualità medio alta, che non ci sentiamo però di attribuire alla bottega di Maggiolini, quanto piuttosto a quella di uno dei suo numerosi epigoni.
Un cartiglio interessante
Un particolare di grande interesse è un cartiglio che compare sul sotto piano di entrambe i mobili, sul quale si legge: “Colombo Pietro ebanista Varese spedisce al Sig. Subert Emanuele via Monte di Pietà N. 2 Milano, per mezzo Anzani [Figura 1 ter].

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Figura 1 ter. Cartiglio incollato sul sottopiano di uno dei due cassettoni di Figura 1 (foto di Dario Cesaretto).

L’antiquario Emanuele Subert (1830-1888) [Figura 3], di origine polacca, si trasferisce a Milano nel 1860 dopo aver vissuto per qualche tempo a Vienna e a Trieste. In quello stesso 1860 apre la sua prima galleria di antiquariato proprio in via Monte di Pietà 2 a Milano (nota 4).

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Figura 3. Ignoto pittore lombardo, Autore ignoto, Ritratto di Emanuele Subert (dettaglio), Milano, proprietà della famiglia.

Se nel 1874 i due cassettoni in discorso sono quelli esibiti nel corso dell’Esposizione di Milano, significa che Carlo Cagnola doveva averli acquistati da Emanele Subert tra il 1860 e il 1874.
Pietro Colombo
Le nostre ricerche si sono indirizzate su Pietro Colombo che spedisce i mobili da Varese a Milano. E’ chiaro che, nonostante la sua dichiarata professione di “ebanista”, non ne sia lui l’esecutore; probabilmente agiva come procacciatore per Subert e li poteva aver individuati in una delle numerose ville di campagna dell’aristocrazia milanese nel Varesotto.
Troviamo sue notizie nella Guida Ufficiale di Varese pubblicata nel settembre-ottobre 1886, specialmente dove si parla dell’Esposizione Regionale Varesina di quell’anno, nell’ambito della quale Pietro Colombo espone una “camera completa da letto” all’interno della sezione Sezione 6 (Industrie degli utensili e dei mobili in legno).
La conferma che Pietro Colombo gestisse un’impresa di un certo rilievo viene dal fatto che alla fine della Guida, tra le poche pubblicità, troviamo quella della Premiata Fabbrica di Mobili di Colombo Pietro, Varese, corso Vittorio Emanuele 6, con questo slogan: “Oltre alla fabbrica havvi un ben assortito magazzeno di mobili da soddisfare a qualunque richiesta (nota 5).
E’ probabile che Pietro Colombo e Carlo Cagnola, proprietario finale della coppia di cassettoni, se già non si conoscevano, si siano conosciuti proprio in occasione dell’Esposizione varesina del 1886, poiché il “nob. Senatore” Carlo Cagnola di Milano compare sia nel Comitato esecutivo, sia in una commissione per la Floricoltura, l’Orticoltura e la Frutticoltura.
Invece è improbabile che la loro conoscenza risalisse agli anni tra il 1856 e il 1858 in cui Carlo Cagnola inizia la ristrutturazione della Villa di Gazzada affidandosi all’architetto ticinese Clerichetti (nota 6), o agli anni immediatamente successivi, altrimenti il passaggio per la bottega dell’antiquario Emanuele Subert, forse, non sarebbe stato necessario.

NOTE

[1] Catalogo pubblicato dai Fratelli Treves, Milano 1987, p. 10 e 11. Non si comprende come mai i due mobili non abbiano la stessa numerazione o una numerazione contigua, circostanza questa riscontrabile anche per altri oggetti chiaramente facente parti di una coppia, forse come conseguenza di una particolare disposizione in mostra.
Agli inizi del Novecento, Carlo Cagnola viene indicato tra i possessori di mobili di Maggiolini da Alfredo Melani nel suo L’arte nell’Industria, pubblicato senza data per Vallardi (vol. II, p. 443, nota 1).

[2] Giuseppe Beretti-Alavar Gonzales Palacios, Giuseppe Maggiolini. Catalogo ragionato dei disegni, Inlimine, Milano 2014.

[3] Cherubino Mezzanzanica è stato fin da giovanissimo allievo di Giuseppe Maggiolini ed è lui che prosegue fino alla fine l’attività della bottega dopo la morte del maestro. A un suo mobile è dedicato l’articolo Secretaire firmato Mezzanzanica (maggio 2015) [Leggi].

[4] Ringrazio Michele Subert per avermi fornito le notizie e il ritratto del trisnonno (vedi).

[5] Più o meno negli stessi anni era attivo a Varese un altro artefice del legno, Giuseppe Colombo. Se ne parla a proposito di un restauro eseguito su alcuni arredi lignei della Basilica di San Vittore a Varese che sappiamo successivo a quello eseguito nel 1851 da Carlo Maciachini su pulpiti e cantorie “… rifacendo le parti logorate dal tempo ed aggiungendo ai pergami gli schienali, recanti intagliati con arte maestra emblemi religiosi”]. In particolare, il restauro avviene “sotto la oculata direzione del concittadino Giuseppe Colombo, troppo presto rapito all’arte e all’affetto di quanti l’hanno conosciuto” (Lanella mons. Luigi, La Basilica di San Vittore Martire a Varese, Famiglia Bosina, Va, 1967, p. 36).
Non abbiamo reperito notizie sull’Anzani citato nel cartiglio, presumibilmente lo spedizioniere cui è stato affidato il trasporto dei due cassettoni a Milano.

[6] Riccardo Bergossi, Luigi Clerichetti architetto tra Milano e Lugano, Archivio Storico Ticinese n. 154, novembre 2013, p. 44.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, ottobre 2017

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