Un abilissimo maestro ebanista friulano, tanto elevato da vedere Oltralpe
di Andrea Bardelli
A Mattia Deganutti il prof. Claudio Mattaloni, suo conterraneo, ha reso grande omaggio con un’approfondita ricerca di notevole valenza scientifica e didattica, pubblicata nel volume Mattia Deganutti maestro lignario 1712–1794, edito da Libera Accademia, Cividale, 1999, un’opera (dal costo di soli 15 euro) per cui provo notevole considerazione e che consiglio vivamente a tutti gli appassionati del settore.
Il prof. Mattaloni dedica all’artista 278 pagine di meticolosa, complessa ed ampia ricerca, offrendo inoltre ricche testimonianze e riassumendo, dall’infanzia alla morte, tutta la sua carriera artistica.
Mattia Deganutti fu attivo nel periodo in cui ferveva il rinnovamento degli edifici sacri; ebbe pertanto, in prevalenza, delle committenze da parte di ecclesiastici e realizzò molti arredi legati al culto che sono tutt’ora conservati in numerose parrocchiali friulane: mobili da sagrestia, stalli e cori lignei Eseguì anche arredi civili di notevole valore artistico per famiglie nobili del Friuli e non solo, come lo stupendo esemplare qui riprodotto [Figura 1] che gli fu commissionato dai nobili cividalesi De Portis e al quale sono legate diverse curiose vicissitudini.
Figura 1. Mattia Deganutti, Credenza a doppio corpo, collezione privata.
Il mobile è stato pubblicato anche dal prof. Mattaloni mediante una foto in bianco nero del XIX secolo conservata nella Biblioteca Joppi di Udine; la relativa didascalia indica che fu venduto alla fine dell’Ottocento; il resto della storia l’ho seguito personalmente: il mobile approdò in Inghilterra e fu acquistato da un antiquario parigino. Nel 1978 fu rivenduto ad un collezionista emiliano alla cui morte gli eredi lo cedettero a un avventore friulano. Così il mobile è potuto tornare in Friuli, nella patria che lasciò alla fine dell’Ottocento.
Mattia Deganutti fu lo stipettaio più abile del Friuli per tutto il XVIII secolo; sebbene operasse in un ambiente provinciale, seppe affrancarsi vincoli stilistici locali, così come da quelli oltreconfine con i quali sicuramente si confrontò. Il suo talento deriva proprio dall’aver saputo cogliere nelle sue opere la leggiadria delle fogge veneziane abbellendole con stilemi d’oltralpe, fiorenti di leziosi francesismi.
In Friuli le sue opere ebbero un ascendente su fabri lignaminis contemporanei sicché è riscontrabile su manufatti dell’epoca una corrente stilistica “deganuttiana” palese nella profusione di stilemi rocaille e campiture a graticcio di chiara derivazione bavarese, di cui diremo appresso.
Dalle ricerche del prof. Mattaloni sappiamo che Deganutti era il primogenito di un contadino di nome Luca e sin da piccolo creava bellissimi oggetti lignei meravigliando i suoi compaesani.
Fu mandato giovanissimo a Venezia per apprendere l’arte della lavorazione del legno, dove dovette adattarsi alle rigide leggi delle corporazioni che regolavano il percorso formativo degli apprendisti; vi rimase dal 1723 al 1728, benché non potesse intraprendersi il garzonato prima dei 13 anni di età.
In quel contesto subì l’influenza del famoso architetto Giorgio Massari (Venezia 1687–1766), ma fu anche allievo dell’architetto tolmezzino Domenico Schiavi (1718-1795). Dalle testimonianze raccolte abbiamo quindi certezza che si forgiò nella cultura Veneziana.
Non si era però finora notato che l’arte lignea di Deganutti era permeata di uno spiccato sapore forestiero; osservando i suoi manufatti mi accorsi d’acchito che le sue decorazioni ubbidivano al lessico in voga presso le rinomate botteghe d’intaglio salisburghesi dell’epoca, con peculiarità diverse dai veneziani e dai friulani; ma rilevai altresì che la sua perizia le superava qualitativamente nelle incisioni a sgorbia, ma soprattutto nell’eleganza dell’impianto costruttivo.
Anche il prof. Mattaloni si accorse che gli stalli del coro della parocchiale di Buttrio, realizzati nel 1755, presentavano richiami alle incisioni ornamentali del Blondel. Vediamo quindi di risalire in sequenza ordinata alla fonte del motivo di quest’influenza.
Orbene, bisogna ripercorrere la storia del Barocchetto bavarese – a cui attinge Deganutti – se si vuole giungere ad una corretta lettura iconografica della sua arte lignea.
Le volute asimmetriche capricciosamente contorte, incise a sgorbia dal Deganutti, si ritrovano – dipinte ad encausto – anche sulle ante dei mobili del Monte di Pietà di Cividale del Friuli, che il prof. Tito Miotti, nelle sue pubblicazioni (T.Miotti, Il mobile friulano, Gorlich, Milano 1975; T.Miotti, Nobiltà del mobile friulano, Udine 1990), riallacciò alla cultura francese derivandole dalle incisioni ornamentali di Jean Bérain. Dunque, senza discostarsi troppo in ambito geografico, in considerazione anche dell’area in cui operò il Deganutti con le sue vicissitudini storiche, sarà più prudente ritenere che ebbe maggiori contatti con la cultura oltremontana, per la precisione col Rococò bavarese, attraverso il receuil de composition fornito alla fine del secondo decennio del XVIII secolo dal De Cuvillés e divulgato non solo in Germania, ma sino a Vienna e ai confini d’Italia.
Jean François De Cuvilés nacque a Soignies Hainaut nel 1695, un villaggio del Belgio e morì a Monaco di Baviera nel 1768. Era affetto da nanismo e nel 1708 divenne buffone di corte al servizio di Massimiliano Emanuele di Baviera che allora risiedeva a Bruxelles. Durante i suoi molteplici viaggi in Francia il Principe Elettore portava sempre con sé il De Cuvillés rendendosi conto del suo grande interesse per l’arte. Volendo promuovere le sue virtú artistiche, lo mandò a studiare architettura a Parigi, presso l’Académie royale d’architecture, già istituita da Luigi XIV il 30 dicembre del 1671 al Palais Royal, sotto la direzione di Nicolas François Blondel (Ribemont 1618- Paris1686), ma trasferita al Louvre dal 1692 .
Qui il De Cuvillés rimase per cinque anni, dal 1720 al 1725 sotto la direzione dell’architetto Robert De Cotte (Paris 1656 – 1735).
Fu così che Jean François De Cuvillés respirò a pieni polmoni il Rococò francese e al suo ritorno a Monaco di Baviera nel 1725 fu nominato architetto di Corte.
Realizzò sin dall’inizio un repertorio di oltre 400 tavole incise di modelli decorativi che diverranno la base del Barocchetto e del Rococò bavarese in cui è evidente un forte influsso del nuovo stile del Messonier, massimo protagonista del Rococò francese.
Il De Cuvillés si era formato attraverso le opere del Blondel quali L’architecture française e i Cours d’architecture civile, ma i suoi ornati s’ispirarono profondamente anche ai disegni ornamentali del Messonier, oltreché a quelli di Lajoue e di Pineau, che però non copiò mai in modo pedissequo, ma esprimendo un suo stile personale. L’arte Rococò che fiorì a Wuerzburg, a Nymphenburg e in altri centri della Baviera e dell’Austria, dopo il 1730 s’ispirò in gran parte al suo Recueil de composition. I due capolavori principali del De Cuvillés sono l’omonimo teatro dentro la Residenz di Monaco di Baviera e l’Amalienburg nel parco di Nymphenburg. Il nano di corte, giullare di Massimiliano Emanuele, assurse così al ruolo di maggior protagonista dello stile Rococò bavarese.
Ecco dunque perché negli stalli del coro della Parrocchiale di Buttrio vige un richiamo al Blondel e – a conferma della mia tesi – dal prof. Mattaloni sono state raccolte testimonianze che il Deganutti fece studi a Vienna, e altre in cui gli si commissionò di realizzare degli sportelli “alla maniera todesca”.
Il Deganutti dimostra raffinatezza nelle sue opere; nel mobile qui riprodotto notiamo un’interpretazione Barocchetto realizzata con un impianto costruttivo che presenta soluzioni stilistiche prive di inflessioni provinciali, pertanto solenne ed elegante; altrettanto equilibrata ed armoniosa appare la notevole qualità incisoria che germoglia sul substrato ligneo e infine, modanature e cornici si adattano in perfetta sintonia impaginando l’opera. Sebbene vincolato dalla committenza ad una pacata sobrietà stilistica, il Deganutti si rivela un abilissimo e avveduto maestro ebanista del XVIII secolo, avendo inglobato e tradotto con rimarchevole perizia tutte le tre doti del faber lignaminis: marangone de noghera, marangone rimessero, marangone de soaze.
Mattia Deganutti è pertanto degno di appartenere all’aulica sfera dei massimi ebanisti italiani del tempo, se non altro per la sua visione internazionale; fu il solo in Friuli e Veneto a guardare Oltralpe, a dispetto dell’assoluta predominanza del polo artistico lagunare.
A mio avviso, dovendo realizzare mobili di culto e operare per una nobiltà provinciale conservatrice che non gli permise mai di esprimersi pienamente nella capricciosa espressione Rococò, Deganutti non poté dar completo sfoggio alla sua verve, diversamente da quanto fu possibile a grandi ebanisti quali il Piffetti in altri ambiti.
Nella sua produzione si nota che, pur avendo ampiamente vissuto il Rococò nella capitale della Serenissima, lo adattò nelle incisioni ma ben poco agli impianti costruttivi: la risposta sta proprio nel fatto che dovette anzitutto soddisfare il gusto dei suoi committenti e, nelle provincie, le fastose fogge Rococò non trovarono mai degna ambientazione.
Il valore estetico dei suoi manufatti fa presumere che se il Deganutti fosse stato attivo a Venezia o in altro importante centro collegato con l’Europa, al servizio di altolocate committenze, avrebbe dimostrato di saper interpretare il Rococò con padronanza e bravura in tutte le sue frange più leziose.
Analisi stilistica (Figure 1 a – 1 h, dettagli di Figura 1)
Formelle sagomate contornate da intaglio a stilemi di forte ispirazione bavarese, molto diffusi anche in Austria. Le forme irregolari di queste formelle [Figura 1 a] si ritrovano anche su mobili parmensi disegnati dall’architetto Ennemonde A. Petitot (Lione 1727 – Parma 1801) per Palazzo
Ducale a Colorno (Pr), anch’essi quindi di forte ispirazione francese. La campitura a graticcio della seconda formella [Figura 1 b] è anch’essa un derivato di cultura francese.
Figura 1 a.
Figura 1 b.
Anche i vasi acroterali [Figura 1 c] e soprattutto l’intaglio a traforo appartengono al lessico del Barocchetto bavarese.
Figura 1 c.
Modanatura a zoccolo e cerniera [Figure 1 d e 1e] sono tipiche dei mobili veneti; la voluta laterale alla base dell’alzata [Figura 1 f] è tipica dei mobili austriaci e bavaresi. Il ricco fastigio intagliato [Figura 1 g] è d’ispirazione bavarese, diverso dall’espressività delle cimase venete.
Figura 1 d.
Figura 1 e.
Figura 1 f.
Figura 1 g.
L’interno dello scrittoio [Figura 1 h] è sguarnito, povero, privo di cassettini, secondo modi prettamente austro-tedeschi che non hanno attinenze con l’ebanisteria italiana.
Figura 1 h.
Qui sotto un cassettone [Figura 2] le cui decorazioni ubbidiscono al lessico dell’architetto Petitot, dove riscontriamo delle formelle con evoluzioni asimmetriche derivate dal Rococò francese e simili a quelle adottate dal Deganutti (vedi ancora Figura 1 a).
Figura 2. Cassettone, Parma o Piacenza, inizi XVIII secolo.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, maggio 2019
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