A proposito di un gruppo di paci derivanti dalla Pietà del Moderno

di Alessandro Ubertazzi

Poiché la prima cattedra universitaria che vinsi si trovava presso la Facoltà di Architettura dell’Ateneo di Palermo, nei tempi liberi dall’insegnamento bazzicavo “antiquarietti” e “raccoglitori di prima mano” presso i quali ho comperato diversi oggetti interessanti e, tra questi, una pace in metallo dorato (priva del suo manico) che rappresentava un “Compianto sul Cristo morto” [Figure 1 e 1bis].

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Figura 1 (recto) e Figura 1bis (verso). Galeazzo Mondella, detto il Moderno (da), versione rielaborata a Milano (?) attorno alla metà del XIX secolo, Compianto sul Cristo morto, ottone “fuso in terra” e dorato a “vernice”; sul retro tracce di un manico (fuso assieme) perduto; difetto di fusione in alto a sinistra vicino al capitello della emicolonna; retro incuso, mm. 155 x 112, collezione Ubertazzi, Milano (n. P1.110).

Il corpo di Cristo, deposto dalla Croce che si vede sullo sfondo, sta per essere adagiato nel sepolcro dalla Madre e da San Giovanni; il fronte del sarcofago è decorato di ovali con, al centro, un cherubino. La scena è incorniciata in una sorta di anconetta secondo lo stile manierista precedente al Sansovino: ai lati si riscontrano semi colonne con fusto scanalato affiancate da volute che le raccordano ai plinti; la trabeazione è ornata con motivo di serafini; il fastigio è coronato da una testa di cherubino al centro di due volute. Sul basamento è riportato un cartiglio che reca la scritta PIETAS / AD OMNIA.
Sui testi che avevo consultato, tale scena era normalmente ascritta al Moderno (nota 1).
La placchetta costituisce, infatti, la più tarda versione del “Cristo compianto” del Moderno.
Oggettivamente il prezzo che mi era stato chiesto era piuttosto contenuto (70.000 lire, 1992) e ciò mi aveva riempito di emozione pensando che si trattasse davvero di un’opera dei primi del Cinquecento.
Tuttavia, con il tempo mi accorsi che taluni autori dei testi consultati relegavano i rilievi di quella tipologia (in particolare con quel tipo di cornice) nel tardo Rinascimento se non addirittura nel periodo Barocco; esse erano “certamente desunte da una precedente composizione del Moderno” ma esse erano evidentemente affette da molteplici piccole modifiche che ne avevano appannato il vigore e l’incisività: ad esempio, Klaus Pechstein riteneva che una pace del tutto simile alla mia fosse opera olandese della seconda metá del XVI secolo (nota 2).

Poiché sto finalmente redigendo una prima stesura del catalogo della mia collezione, ho sottoposto per consigli la mia pace anche all’attenzione dell’amico Mike Riddick di Washington, esperto di bronzi rinascimentali. Con il suo rigore anglosassone e sicuramente forte di molta esperienza, nella sua lettera del 22 febbraio 2017 egli mi aveva testualmente riferito « This looks like it is probably a 19th century cast. This pax was very widely reproduced. Out of all the variants of this relief, your version of the pax is the most common. I have counted over 300 examples of this relief…definitely the most popular Moderno creation!» (note 3).
Le parole di Mike mi hanno fatto ricordare che, anni addietro, avevo comperato un catalogo generale delle Forniture per chiese della ditta Bertarelli [Figura 2, nota 4].

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Figura 2. Catalogo generale della ditta F.lli Bertarelli; forniture generali per chiese (catalogo n. 106), Capriolo e Massimino, Milano 1910.

Nelle pieghe della mia memoria visiva era rimasta l’impressione che tale catalogo riportasse anche l’immagine di alcune paci… e, in effetti, fra quelle ve n’era una fortemente corrispondente al mio rilievo e a tutti gli altri del genere (Figura 3).

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Figura 3. Particolare di una pagina tratta dal catalogo Bertarelli n. 106 del 1910.

Ne avevo accennato anche a Mike che, il 14 aprile 2017, mi aveva risposto: «Thank you for the fascinating information about the Bertarelli family and their reproduction of the Moderno pax. That’s a very valuable piece of information! I will give you credit for discovering this when I write about this subject in my catalog. Thank you for providing the references as well. This will probably explain why there is such a large quantity of this variant of the pax and why so many are found in churches throughout Italy. As I mentioned, I’ve counted over 300 examples of this relief and many are “modern” casts found in churches» (nota 5).

L’amico Andrea Bardelli, conservatore della Collezione Cagnola a Gazzada (Va), ricordando la mia placchetta e le notizie sul catalogo Bertarelli che gli avevo confidato, mi ha recentemente segnalato una pace di quel genere proponendomi di commentarla (Figura 4).

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Figura 4. Deposizione nel Sepolcro, bronzo fuso, dorato e cesellato, mm. 166 x 12, iscrizione: PIETAS AD OMNIA/V.B.M., Castelfiorentino (Fi), Museo d’Arte Sacra di Santa Verdiana, pubblicata in Verdon Timothy (a cura di), Gesù (catalogo mostra alla Venaria Reale di Torino), Silvana, Milano 2010, p. 313, ivi identificata come opera di orafo toscano della fine del XV secolo.

Azzardo pertanto qui alcune riflessioni.
Nonostante la cornice della pace in questione sia leggermente discrepante da quella della mia per alcuni particolari (come, ad esempio, il cherubino sulla sommità dell’oggetto), il tratto con cui entrambe sono plasmate appare sostanzialmente lo stesso: artigianale non particolarmente sofisticato.
Sebbene le dimensioni della pace siano leggermente inferiori a quelle della mia, tuttavia le cornici dei due rilievi derivano certamente dallo stesso modello originale; ciò non deve stupire dato che, anche ai nostri giorni, per accelerare la produzione di oggetti in metallo colato, le fonderie ricavano stampi dalle precedenti fusioni.
Indipendentemente dalla scena rappresentata, entrambe le paci evidenziano una fenditura nella parte alta a sinistra: fin dalle origini della produzione di placchette, simili imperfezioni non hanno mai costituito un ostacolo alla loro diffusione. Con molta probabilità, tali lievi difetti sono connessi alla velocità e alla sommarietà del loro ciclo produttivo “industriale”: esso, infatti, è caratteristico dell’incipiente civiltà delle macchine nella quale il rigore perfezionista degli antichi artigiani, tende a soccombere a causa del dinamismo del mercato e della progressiva richiesta di prodotti sempre più concorrenziali nel prezzo.
Per concludere, i musei annessi alle moltissime chiese del nostro Paese, che talvolta custodiscono anche preziosissimi oggetti, spesso ospitano molti oggetti per il culto dei quali sarebbe interessante riconsiderare la datazione: in tal senso, occorrerà consultare (come ho potuto fare io stesso) vecchi cataloghi e repertori di strumenti rituali, rintracciare documenti contabili concernenti il loro acquisto, considerare gli oggetti liturgici anche sotto il profilo tecnologico-costruttivo e non solo sotto il profilo iconografico.

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Milano, Collezione Ubertazzi n. Pl.110

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Catalogo Bertarelli

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Castelfiorentino (Fi), Museo d’Arte Sacra di santa Verdiana

NOTE

[1] A proposito del Moderno, questa occasione mi induce a ricordare che, sul concetto di modernitá, Tomás Maldonado ha scritto il fondamentale testo “Il futuro della modernitá” (Feltrinelli, Milano, gennaio 1992). In realtà, oggi, il termine “moderno” è usato spesso anche a sproposito e molti sono erroneamente convinti di sapere cosa significhi esattamente.
Curiosamente, approfondendo il concetto, Maldonado non si è posto il problema di dove e quando il termine “moderno” fosse nato.
In realtà, pochi sanno che, nell’ultimo decennio del Quattrocento, Galeazzo Mondella (un bravissimo artigiano orafo di cultura umanistica) aveva deciso di chiamarsi “Moderno” per contrapporsi, con quel nome inventato (ma foneticamente assai simile al suo cognome) al bravissimo scultore Pier Jacopo Alari Bonacolsi, suo contemporaneo, che aveva deciso di chiamarsi “L’Antico”: in realtà, l’Antico intendeva così sottolineare con orgoglio la volontà di riportare nei suoi lavori il senso della bellezza tradizionale, coltivata elegantemente in passato dal mondo greco-romano.
Con quel nome il Moderno, pretendeva, invece giustamente, di cogliere il senso del suo tempo o, meglio, di cogliere i sintomi di un’attualità suscettibile di varcare con intelligenza i tempi futuri.
Proprio perché si interessava alle cose a ai modi del suo contesto, il Moderno creava oggetti (spettacolari quelli in bronzo dorato) nei quali esplicitava precisi riferimenti alla cultura del suo tempo: questa, peraltro, era influenzata dai movimenti esoterici di cultura neoplatonica riferiti, con molta evidenza, al pensiero di Marsilio Ficino.
Non sfugga il fatto che il termine “moderno” (come d’altronde la stessa parola “moda”) è etimologicamente correlato al concetto di “modo”: l’aggettivo “moderno” intende, in realtà, riferirsi ai “modi caratteristici e peculiari del proprio tempo”.
Personalmente credo che “moderno” sia ciò che avviene oggi o, meglio, ciò che oggi si pensa debba avvenire per contribuire all’evoluzione del tempo che viviamo. In questo senso il concetto di “contemporaneo” rappresenta qualcosa che avviene senza tale presunzione, mentre il concetto di moderno è di natura tendenziale.
Per sentirmi moderno devo vivere nella piena contemporaneità ma con lo sguardo rivolto al domani, assistito dagli strumenti culturali che mi consentono di andare correttamente in quella direzione. In altri termini, credo che moderno sia l’atteggiamento che fa sentire desiderabile il tempo a venire, che ci proietta verso un futuro desiderabile.

[2] Klaus Pechstein, Bronzen und Plaketten vom Ausgehenden 15 Jahrhundert bis zur Mitte des 17 Jahrhunderts, catalogo del Kunstgewerbe Museum di Berlino (Brüder Hartmann per i Musei Statali del patrimonio prussiano (3’ sezione) Berlino, 1968, fig. 250.

[3] «[La tua pace] sembra una fusione del 19’ secolo. Tale pace è stata ampiamente riprodotta. Di tutte le varianti di questo rilievo, il tipo più comune è la versione in forma di pace. Ho contato oltre 300 esemplari di questo rilievo… sicuramente la più popolare delle creazioni del Moderno».

[4] La ditta Bertarelli è stata fondata nel 1795 da Pier Giuseppe con lo scopo iniziale di produrre candele; essa si era specializzata nella produzione e nella commercializzazione di oggetti sacri e di apparati liturgici; si è successivamente sviluppata fino alla fine degli anni ’60 del secolo scorso ingrandendosi progressivamente per poi chiudere la sua attività.
Giulio, Luigi Vittorio e, piú tardi, anche Achille, sono i tre nipoti del fondatore che hanno trasformato radicalmente quell’Azienda portandola a raggiungere, agli inizi del XX secolo, i 13.000 mq. di superficie con 300 operai e 10.000 modelli di oggetti in produzione.
Soprattutto il fratello minore Achille (Milano 12 novembre 1863 – 20 maggio 1938) si distinse per imprenditorialità e lungimiranza industriale trasformando il settore delle forniture per chiese e conventi, tradizionalmente artigianale, in una imponente realtà produttiva industriale.
Da illuminato mecenate, Bertarelli nel 1925 lasciò tutta la sua collezione al Comune di Milano che, a partire dal 1927, la ospitò in alcuni vasti ambienti del Castello Sforzesco: la raccolta, che oggi porta il nome del donatore, costituisce un aspetto importante della realtà museale milanese.
Occorre,, infine, ricordare che la sensibilità per le problematiche sociali ha indotto Bertarelli a compiere altre significative imprese fra le quali, assieme ad altri mecenati, la fondazione del Touring Club Italiano.

[5] «Grazie per le informazioni affascinanti sulla famiglia Bertarelli e la loro riproduzione della pace del Moderno. Questa è una fonte molto importante di informazioni! Farò riferimento a te quando scriverò su questo argomento nel mio catalogo. Grazie per avermi fornito anche i riferimenti. Questo probabilmente spiega perché c’è una tale grande quantità di varianti di questa “pace” e perché se ne trovino così tante nelle chiese di tutta Italia. Come ho già detto, ho contato oltre 300 esempi di questo rilievo e molti di quelli trovati nelle chiese sono calchi “moderni”».