Alcune porcellane di Sèvres alla Corte di Francia, tra feste, balli e “…gelati”
ovverossia
“des patelles à glace” pour Louis Philippe 1er d’Orleans et Napoleon III
Parte prima
di Gianni Giancane
Introduzione
Il presente contributo prende in esame un gruppo di nove piattini da gelato, “patelles à glace”, anzi tre più sei come meglio vedremo, che vennero realizzati tra il 1834 ed il 1859 dalla famosissima Manifattura di Sèvres per i ricevimenti di corte.
In particolare i primi tre [Figure 1 e 2] risalgono all’epoca di Luigi Filippo, che per primo instituì per le varie residenze reali numerosi servizi in porcellana con diversificate destinazioni d’uso.
Figura 1. Fronte delle tre patelles à glace realizzate per un “service des bals” nel periodo Luigi Filippo tra il 1837 ed il 1846 dalla Manifattura di Sèvres. Si noti l’eleganza formale e la finezza esecutiva, con il monogramma reale (formato dalle lettere intrecciate L e P sovrastate da corona con rami di quercia ed alloro uniti in baso da coccardina ed aperti in alto) ed il filetto di contorno sulla tesa, entrambi in oro, unici elementi cromatici su un bianchissimo campo centrale (foto dell’autore).
Figura 2. Retro dei tre piattini con i marchi della manifattura; nei due inferiori, realizzati entrambi nel 1846, il marchio di appartenenza a “Chateau de Tuileries” in rosso. Lo studio dettagliato di siffatte marcature sarà affrontato nella seconda parte del presente lavoro (foto dell’autore).
Gli altri sei [Figure 3 e 4] sono invece riferibili al periodo di Napoleone III che, sulla scia del suo predecessore, continuò a commissionare siffatte stoviglie alla prestigiosa manifattura.
Figura 3. Fronte delle sei patelles à glace realizzate tra il 1853 ed il 1859 sotto l’Impero di Napoleone III e da questi commissionate a Sèvres. Il monogramma in oro formato dalla lettera N avvolta da girali e sovrastata da corona imperiale staglia solitario nel campo centrale dei piattini. Analoghe le considerazioni stilistico-formali alle tre patelles Luigi Filippo (foto dell’autore).
Figura 4. Verso dei sei piattini con i vari marchi in uso nel periodo. Si noti in questo caso la presenza di un cerchio in rilievo al centro di ogni piattino (detto anello di calibrazione) che non compare, correttamente, nelle tre patelles precedenti (foto dell’autore).
Racconteremo della loro scoperta ed acquisizione, tra il serio ed il faceto, in un bel giorno di alcuni anni fa …
Delle “patelles” (nota 1) cercheremo di coglierne l’utilizzo, l’attribuzione ai differenti servizi, immaginando ambienti e scenari che pur distanti quasi due secoli di storia, si aprono improvvisi agli occhi di contemporanei osservatori; vedremo successivamente le tecniche esecutive: i materiali, i procedimenti che scandivano i vari passaggi verso il prodotto finito ad opera di formatori di stampi, tornitori, decoratori, doratori che con maestria e pazienza infinite ne consentivano la realizzazione.
Entreremo così in un mondo lontano, in un tempo in cui l’industrializzazione subentrava a forte vento ad una operatività meno “tecnologica”, forse meno “veloce”, ma più vicina al respiro di uomini sempre chini sul tornio a formare l’argilla con sapienti, robuste e delicate mani, le dita delle quali troviamo talvolta, ancora oggi, impresse su tanti manufatti d’epoca, vera testimonianza di un’espressione antica, “terribilmente umana”. E cercheremo di leggerne le impronte, i segni, i simboli che finalmente incidevano alla fine del loro operato, sul corpo ceramico ancora umido…
Nell’ultimo atto vedremo la manifattura presentare il proprio sigillo, il marchio ufficiale, a protezione di un intero e lungo percorso, a tutela di immagine e proventi, ma affronteremo anche i diversi tentativi, coevi o postumi, di emulazioni, falsificazioni, a volte abili a volte maldestri, tentativi di presentare per Sèvres qualcosa di diverso, in parte o del tutto, ed i mercanti di ieri e di oggi non sempre attenti alle loro proposte …
La scoperta
Una tranquilla ed assolata domenica di maggio di alcuni anni fa, tante bancarelle tutte in fila sui due lati di un lungo viale alberato, alcune baciate, anche troppo, da raggi ormai caldi, altre avvolte da una lieve frescura che proprio non dispiaceva. Venditori e compratori, appassionati acquirenti intenti a scoprire quel qualcosa che “forse non serve, ma è bello, e poi a casa ci può sempre stare”, altri ad investigare su tele dipinte e sul probabile autore, sperando nel gran colpo, restauratori in cerca delle parti mancanti di un mobile, di uno specchio, di un lampadario, ma anche gli immancabili, vivaci, “sapientoni”, pronti a declamare su questo e su quello, conoscenti di tutto e di tutti perché essi studiano, si aggiornano, almeno così vanno dicendo… Ed ancora curiosi, tanti, elargitori di scontati saluti da offrire a destra e a manca, pronti per l’obbligato caffè delle dieci (tipo prescrizione medica, meglio se accompagnato da tradizionale pasticcino locale), da proporre o farsi proporre, chiassosi e chiacchiericci in attesa della partita pomeridiana, se non proprio quella del più imminente anticipo, le ormai famose dodici e trenta… E poi distinte signore, mai sole, lì soltanto a dimenare compassata eleganza e poter confidare all’amica di turno: “toh, vedi quella teiera, ma è proprio come quella che era in casa della nonna…”, reiterata e stucchevole considerazione per l’intera mattinata, quasi ad ogni bancarella…
Tra tanti, però, anche collezionisti attenti ed interessati, oculati osservatori, qualche studioso e conoscitore vero…
Tra questi un discreto signore, accompagnato dalla sua gentilissima consorte, facilmente avvezzi alla conoscenza ed al fiuto del bello e dell’antico, con occhi profondi, ora veloci e a lunga gittata, ora spalancati ed immobili…, pronti a scrutare piccole o grandi preziosità tra immancabili, disseminate cianfrusaglie ed anonime presenze.
Addossata sui gradini di un dismesso edificio, vi era una bancarella tenuta da due distinti signori, lui e lei, che sempre gentili, graziosamente educati, offrivano sovente oggetti mai banali, non eclatanti, ma di gusto ed originali per le epoche descritte, e di tanto in tanto anche qualche opera più interessante. Disposta in un angolo, una pila ordinata di piccoli piattini era nell’ombra, quasi celata tra alcuni orologi d’epoca, simpatiche tazzine policrome e statuine in porcellana dei primi anni del Novecento, eppure “luccicava, eccome luccicava”. Non poteva certamente sfuggire alle mirate attenzioni di chi cerca o è attratto da qualcosa di “autentico”, i nostri “cacciatori” …
Evasi saluti e frasi di facile circostanza, avutone il consenso, essi presero in mano quelle piccole, candide, porcellane. Stupore, sorpresa, piacevole soddisfazione (opportunamente ben celata), e prime considerazioni; sapevano di avere davanti qualcosa di insolito e molto interessante.
Guardate attentamente al recto, al verso e in debole controluce, promettevano bene, anzi già manifestavano tutta la loro “bontà” e perfezione, ed i nostri amici avevano ben colto cosa stessero in realtà maneggiando, anzi quasi accarezzando: tre piattini con il monogramma di un Re e sei con quello di un Imperatore, e di quale manifattura poi…
Visto l’interesse manifestato dai due, il commerciante, che pur conosceva i suoi clienti, si affrettò a tirar fuori l’immancabile manualetto di turno, per lui una sorta di Santo Graal delle ceramiche, dal quale non si staccava mai e che sfoderava prontamente ad ogni evenienza a riprova delle sue verità. Forte del “prezioso alleato” avviò numerose spiegazioni, adducendo origini probabilmente “francesi, perché c’è il simbolo di Napoleone”, che forse “erano dell’Ottocento”, e soprattutto erano fatte “…come quelle che fabbricavano a Sèvres, forse proprio a Sèvres, come diceva un marchio…”, ma non garantendone assolutamente l’originalità, anche perché non c’erano le famose “elle intrecciate” (nota 2).
Inoltre “…quei piattini erano privi delle corrispettive tazze, che peccato…!” (osservazione questa mai avanzata dai nostri acquirenti, che invece ne avevano già intuito un più probabile utilizzo), pertanto “erano in vendita così”, ad un “buon prezzo, …ma se ci fossero state anche le tazzine, beh, allora sarebbe stata un’altra storia”.
Così recitava il nostro onesto e simpatico venditore, con l’inevitabile avallo della gentilissima sua signora, con in mano l’“indiscutibile” manuale sbandierato verso l’alto ed invogliando a comparare i piattini, almeno per la loro elegante semplicità, oltre ad un prezzo così vantaggioso…
Chiuse facili e veloci contrattazioni, accuratamente incartati, facevano ormai parte di un’altra collezione, scrupolosamente custoditi dai nuovi proprietari nella loro passeggiata che proseguiva tra le tante bancarelle ancora tutte da esplorare.
Questo mi riferiva un po’ di tempo fa qualcuno, consentendomi oggi di raccontarlo…
Cenni sull’ambiente storico-politico-sociale nei ricevimenti di Corte dal 1830 al Secondo Impero
Ma cosa avevano di tanto rilevante quei piattini da meritare l’attenzione della coppia, ed oggi anche la nostra?
Una semplice considerazione preliminare non può che partire dalla presenza di un monogramma reale (o imperiale) in bella e centrale presenza su un fulgido campo, bianchissimo, scevro da qualsiasi altro decoro se non il filetto dorato sul bordo ondulato di una tesa scannellata.
Un insieme di superba ed inalienabile eleganza.
Simili oggetti non potevano essere stati previsti e realizzati per gente comune, seppur danarosa; dovevano avere una marcia in più.
Ed è questo il punto di partenza della nostra ricerca.
L’ascesa al trono del Duca di Orleans nel 1830 segnò certamente le vicende storiche e politiche della Francia che veniva da un trentennio alquanto tormentato, con continui cambi di scena e di attori, protagonisti e non.
Non è questa la sede, né scopo del presente lavoro, entrare nei dettagli di tale periodo, con ingombranti ripetizioni di eventi a noi peraltro tramandati da tonnellate di volumi di storia e senz’altro ai più conosciuti, e non ci soffermeremo pertanto sulle pregresse vicende storiche che dalla Rivoluzione all’Impero ed alla successiva Restaurazione, portarono Luigi Filippo sul trono di Francia (né a quelle che videro l’ascesa ed il consolidamento dell’impero di Napoleone III alcuni decenni dopo).
Vorremmo però richiamare le idee di colui che era stato reduce da giovanili simpatie liberali, trasferite verso una gestione del regno prima non contemplata, abbandonando il nuovo sovrano l’Assolutismo dei precedenti regnanti ed aprendo verso un’amministrazione più borghese, comprovata dal titolo del quale volle ufficialmente fregiarsi: “Re dei Francesi” e non “Re di Francia” come invece era avvenuto fino a Carlo X, suo predecessore più immediato.
E siffatti stili comportamentali, tali da fargli meritare il titolo di Re Borghese, (ricordiamo su tutto la carta costituzionale data dal Parlamento e non dal Re), non potevano non prevedere una vita “mondana” parallela, anzi complementare e compresente a quella più formale, costellata da una nutrita schiera di eventi, ricevimenti privati ed ufficiali, concerti, balli, banchetti, ristretti ed allargati, dove di fatto si sarebbero contemplate anche iniziative e prese decisionali di radicale importanza verso le sorti del paese …
Gli ambienti fisici erano quelli dei palazzi reali, dal castello dove il re con la sua famiglia normalmente alloggiava, Château de Tuileries, alle altre residenze parigine o nelle immediate vicinanze (Trianon a Versailles, Fontainebleau), o quelli delle residenze “private” tipo Bizy, Eu, Neuilly.
In particolare alle Tuileries, dopo i lavori che il sovrano fece realizzare successivamente al suo insediamento nel 1831, le sale utilizzate per balli e danze erano: “la Salle des Marèchaux” e “le Salon de la Paix”, ambienti che spesso si “intersecavano” con altri quando la musica si sposava con rinfreschi, pranzi, cene (nota 3).
Ed in tali circostanze occorreva presentare stoviglie ed apparati di primissima qualità, ma destinati ad un “pubblico più allargato”.
Luigi Filippo istituì allo scopo, per ognuna delle residenze reali, quattro tipi di servizi in porcellana bianca che commissionò alla Manifattura di Sèvres ed ognuno dei quali si adattava alle diverse situazioni di rappresentanza.
In ordine di importanza crescente, come riferisce Cédric Henon in Authenticité.fr (nota 4), troveremo:
Le Service des Offices, Le Service des Officiers, Le Service des Bals, Le Service des Princes, che bisogna intendere rispettivamente per:
Servizio del personale (numerosi gli operatori che a vario titolo prestavano i loro servigi nelle residenze reali), servizio degli ufficiali (precettori, cappellani, medici, segretari, ufficiali, aiutanti di campo etc.), servizio dei balli (pensato per i ricevimenti nei quali le danze erano parte fondamentale di un evento che prevedeva comunque un importante rinfresco o banchetto), servizio dei Principi (utilizzato dal Re ed i suoi familiari per i pasti quotidiani ed in occasione delle visite che spesso i Principi rendavano, spostandosi nelle differenti residenze).
Al di sopra di essi c’era poi Le Service du Roi (del Re), cosiddetto Service d’Apparat, in porcellana policroma.
Di norma tutti i pezzi dei vari servizi riportavano al verso, oltre al marchio della manifattura di Sévres, il sigillo del castello (o dimora) per il quale era stato realizzato, particolare necessario a differenziare le varie destinazioni in caso di “prestito temporaneo” di alcune stoviglie da una residenza all’altra.
Inoltre ogni servizio si distingueva dagli altri per il decoro, più o meno ricco o di diverso colore [Figura 5].
Figura 5. In alto coppia di piatti di uno dei vari “service des office”. In basso a destra ciotola a forma di navetta di un “service des officiers”; in basso a sinistra brocchetta per acqua di un “service des Princes”. Realizzati tutti sotto il regno di Luigi Filippo, si differenziano per la tipologia del decoro e per differenti cromìe utilizzate (fonte Expertissim.com).
Il servizio dei balli rivestiva un’importanza notevole e parimenti a quello dei Principi si fregiava del monogramma reale (o imperiale al tempo di Napoleone III) racchiuso tra due rami intrecciati, uno di quercia ed uno di alloro, ma si differenziava per la mancanza della ghirlanda di foglie d’edera sulla tesa dei piatti o su altre parti delle diverse stoviglie.
Ed è esattamente al servizio dei balli, come vedremo meglio nella prossima puntata, nella quale affronteremo anche gli aspetti tecnici, costruttivi dei piattini da gelato, che appartengono le nostre Patelles à glace.
NOTE
[1] Pare che l’origine della parola “patelle” sia da mettere in relazione con il mollusco gasteropode movalve “patella”, per analogia delle striature radiali sulla conchiglia con le scannellature presenti sulla tesa dei piattini. Il termine a sua volta è preso probabilmente in prestito dalla parola “patella” degli antichi romani (piatto per cuocere e/o servire vivande, ma anche per offrire sacrifici agli dei – Félix Gaffiot, Dictionnaire latin-français, Définitions et illustration de la patella dans Le Gaffiot latin-français, pag. 1124, Hachette, Parigi 1934).
[2] Le due famose lettere L contrapposte utilizzate dalla manifattura nel XVIII secolo e che tanti, per la loro semplice presenza, pensano possano garantire una porcellana uscita del celebre opificio …
[3] Ai tempi di Napoleone III i fasti alle Tuileries divennero eclatanti con ricevimenti ufficiali in pompa magna destinati a diversi regnanti europei.
[4] Vedasi anche: – Barbe, G., Le service du Roi Louis-Philippe au Château de Fontainebleau, Atelier Graphique de Saint-Jean, Albi, 1989.
Settembre 2020
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