Alcuni mobili neoclassici di probabile provenienza abruzzese
ovvero
Appunti sull’ebanisteria neoclassica in Abruzzo
di Andrea Bardelli
Vi sono casi in cui l’identificazione della provenienza di un mobile si rileva particolarmente ardua.
Quando non si può contare su firme, documenti, letteratura, semplici attestazioni di origine basate sulla conoscenza dei mobili della propria zona da patte degli antiquari locali, l’unica strada è quella dell’analisi stilistica, ove possibile corroborata da quella tecnico-costruttiva.
Tuttavia, anche in questo caso, la mancanza di casistica e quindi di riferimenti sicuri induce a ragionamenti spesso avventurosi, ma non per questo inutili. Si spera sempre, infatti, di essere da stimolo per associazioni inedite, ricerche più approfondite, segnalazioni di qualunque genere.
Prendiamo in considerazione un cassettone neoclassico intarsiato, transitato sul mercato antiquario come lombardo [Figura 1].
Figura 1. Cassettone neoclassico intarsiato, bottega abruzzese (?), XVIII-XIX secolo, mercato antiquario (ivi definito lombardo).
Diciamo subito che l’impianto decorativo è molto lontano da quello lombardo, mentre trova qualche riscontro in ambito centro-meridionale. Possiamo citare, in proposito, alcuni mobili contesi tra l’ambito romagnolo e quello toscano (nota 1), tuttavia da escludere perché il mobile di Figura 1 impiega l’abete come legno di struttura [Figura 1a], mentre in Emilia-Romagna e Toscana si usa il pioppo.
Figura 1a. Schienale del cassettone di Figura 1.
Lo schienale in abete con assi disposte in senso orizzontale è in uso in Veneto, ma salvo clamorose smentite provenienti da nuove acquisizioni, il Veneto non può essere preso in considerazione per motivi stilistici. Tra gli ambiti esplorati dalla letteratura specifica, le Marche rappresentano l’unica regione dell’Italia centro-meridionale che impiega l’abete e gli stessi criteri costruttivi veneti (se non vogliamo considerare alcuni esemplari ferraresi, non a caso “di confine” tra Veneto ed Emilia).
L’ipotesi Marche è tutt’altro che peregrina, in considerazione degli stretti rapporti stilistici con entrambe le contigue ebanisterie Toscana e Romagnola, ma procediamo con ordine.
Un ingrandimento della parte superiore [Figura 1b] consente di evidenziare alcuni dettagli decorativi che ci possono eventualmente fornire alcuni suggerimenti.
Figura 1b. Dettaglio del cassettone di Figura 1.
Il decoro “alla greca” che separa il piano in marmo bianco dal primo cassetto trova ampio riscontro nei mobili romagnoli di cui all’articolo citato nella nota 1. Viceversa, non ha confronti il decoro al centro dei cassetti, eseguito in modo non particolarmente raffinato; si vedono alcune figure non facilmente identificabili tra le quali si distinguono due draghi volanti. Le maniglie sono di qualità particolare: si noti che la figura reggente con la mano sinistra un oggetto non riconoscibile è diversa nelle due maniglie di sinistra rispetto a quelle di destra, nel senso che è orientata, in un caso, verso destra e, nell’altro caso, verso sinistra, quindi frutto di diverse fusioni. La profilatura che scontorna le tre parti in cui è ripartito ciascun cassetto, costituita da piccole sfere scure all’interno di rombi chiari su sfondo verde, mostra un cromatismo che trova ampia diffusione nel mobile dell’Italia centrale (Romagna, Toscana, Marche e Roma).
Le lesene decorate con listelli di diverse essenze lignee e colore sono di origine francese e praticate a Napoli e in altre regioni “francesizzanti” (Piemonte e Liguria), molto più raramente a Roma e nelle Marche.
L’eventualità che il mobile in discorso sia un unicum e pertanto sganciato da qualunque contesto è stata scongiurata dalla comparsa sul mercato di un secondo mobile che potrebbe essere stato realizzato nella stessa bottega del primo [Figura 2].
Figura 2. Cassettone neoclassico intarsiato, bottega abruzzese (?), XVIII-XIX secolo, mercato antiquario (ivi definito Italia settentrionale).
L’impostazione è la medesima per quanto riguarda la scansione della fronte, la presenza di un bordo decorato sotto il piano (qui una sequenza di rombi che si intersecano), le riquadrature sui fianchi.
L’intarsio al centro dei cassetti raffigura due putti alati che saltellano ai lati di un vaso [Figura 2a].
Figura 2a. Dettaglio del cassettone di Figura 2.
Abbiamo verificato che anche la costruzione è la stessa: la struttura è in abete con lo schienale formato da assi disposte orizzontalmente e inchiodate nello spessore del fianco.
Le principali differenze risiedono nel piano in legno, riquadrato da una doppia profilatura molto semplice, la stessa che scontorni i cassetti (diversa da quella del mobile precedente), lesene e piedi privi di decori, questi ultimi di forma leggermente più allungata.
Anche in questo caso, le maniglie, seppur completamente diverse dalle precedenti, sono di qualità speciale: la tipica maniglia neoclassica circolare ad anello reca al centro una placca in lamiera rivestita da un sottile strato di porcellana, decorata in alcune con il volto di una dama, in altre con un veliero [Figure 2b e 2c].
Figure 2b e 2c. Maniglie del cassettone di Figura 2.
La presenza di un’imbarcazione non si può considerare casuale e dobbiamo quindi pensare che questo cassettone – e di conseguenza anche l’altro – siano da collocare in una località costiera.
Incrociando tutte le informazioni finora raccolte, sembra che la regione Marche, come sopra già ipotizzato, sia la candidata più accreditate per essere il luogo di origine dei due cassettoni.
Senonché … da una collezione privata spunta un terzo cassettone che si connette innegabilmente con quelli fin qui esaminati e che sappiamo provenire da un’antica famiglia di Chieti [Figura 3].
Figura 3. Cassettone neoclassico intarsiato, bottega abruzzese (?), XVIII-XIX secolo, collezione privata (Cose Antiche n. 17 marzo 1994 p. 68).
Che i mobili di cui stiamo trattando siano stati eseguiti da una bottega abruzzese costituisce per ora una suggestione che abbiamo provato a sottoporre ad alcune verifiche.
Va subito detto che anche negli anni “ruggenti” dell’editoria sul mobile antico il mobile abruzzese non ha beneficiato di una pubblicazione monografica, come per altro la maggior parte delle realtà meridionali.
Una ricerca rapida effettuata su circa 2500 schede tratte dal Catalogo dei Beni Culturali relative a diverse opere dell’ambito culturale abruzzese (mobili, porte, sculture, arredi sacri, ecc.) ha consentito di reperire un solo cassettone neoclassico, per altro di foggia così modesta da non costituire un termine di paragone significativo [Figura 4].
Figura 4. Cassettone neoclassico, bottega abruzzese, XIX secolo, Ocre (Aq), proprietà ente religioso cattolici, numero catalogo generale 00145774.
Possiamo solo osservare che, pur nell’estrema semplicità dell’esemplare già sopra evidenziata, alcune caratteristiche come la fascia piuttosto alta tra piano e primo cassetto e le gambe di forma allungata siano riscontrabile anche nei cassettoni delle Figure 1, 2 e 3.
La catalogazione dei Beni Culturali ha il pregio di schedare beni riferendoli con precisione al luogo in cui sono ubicati. Tuttavia, l’attribuzione è determinata, come anche in questo caso, su base stilistica, ignorando talvolta la possibilità che le opere siano state in realtà eseguite altrove.
La ricerca di cui sopra ha permesso di rintracciare diversi mobili ottocenteschi attribuiti a bottega abruzzese che però risultavano paragonabili alla coeva produzione napoletana e, in qualche caso, a quella pugliese (di cui alcuni esemplari sono stati isolati), lasciando aperta la possibilità che in Abruzzo ci fossero stati portati.
Nel caso dei nostri mobili, invece, non è stato possibile, come sopra evidenziato, metterli in relazione a un ambito territoriale la cui produzione di mobilia è nota. Resta quindi aperta, almeno teoricamente, la possibilità che siano stati eseguiti in Abruzzo.
Il neoclassicismo in Abruzzo
A questo punto abbiamo voluto esaminare il contesto storico e sociale in cui questi mobili avrebbero potuto vedere la luce, anche se, per comprensibili ragioni di tempo e di spazio, si tratta di un’analisi condotta per sommi capi su vari materiali di storia locale disponibili in rete.
Quando si pensa all’Abruzzo, la persistenza di alcuni luoghi comuni duri da sradicare rimandano a un’economia arretrate, incentrata prevalentemente sulla pastorizia. Effettivamente, con riferimento al Settecento, un sistema ancora prettamente feudale non lascia spazio all’iniziativa nel settore manifatturiero e l’attività artigianale – segnatamente quella legata ai lavori di falegnameria e alla produzione di arredi lignei – non sembra adeguatamente strutturata bensì relegata ai tempi morti sottratti ai lavori agricoli (Tanturri 2009, p. 28). Tuttavia, accanto a un’economia che possiamo definire montana, capace tra l’altro – per quanto attiene l’argomento di nostro interesse – di produrre il legname necessario alla produzione di mobili, esiste un’economia propria dell’entroterra marino che aveva proprio in Chieti il suo centro gravitazionale. Giuseppe Maria Galanti, intellettuale illuminista che visitò l’Abruzzo nel 1791 per conto del re di Napoli, ebbe a scrivere “L’Abruzzo ha molte città, la prima delle quali è Chieti, che si deve riguardare superiore a tutte le città del regno per li comodi della vita” (Nigro 2017, p. 72).
Chieti fu sicuramente una delle protagoniste di un certo sviluppo economico promosso da alcune famiglie, alcune delle quali qui giunte fra il XVII e il XVIII; “Arricchita di un apparato di magistrati, funzionari e militari, Chieti era, dunque, ancora nel Settecento, uno snodo politico, economico, burocratico di grande rilievo nel reame, vera e propria calamita per chiunque nel circondario volesse aspirare ad una significativa scalata sociale e professionale” (Ciccarelli 2020-2021, p. 39).
Più in generale, l’Abruzzo fu appena toccato dalla ventata di novità che si ebbe altrove con l’arrivo delle armate francesi. L’esperienza fu di brevissima durata perché i francesi misero in fuga l’esercito napoletano nel 1798, ma solo un anno dopo la rivoluzione partenopea fu soffocata nel sangue.
Si deve quindi attendere, addirittura, la seconda metà dell’Ottocento perché, almeno in campo architettonico, si sviluppi una corrente neoclassica abruzzese (nota 2).
Dal quadro così rapidamente tratteggiato emerge comunque la presenza di una nobiltà e di un’alta borghesia locale tra i cui ranghi potevano trovarsi i committenti dei mobili di cui stiamo trattando che preferivano rivolgersi saltuariamente a maestranze locali piuttosto che far venire gli arredi da Napoli.
Che in Abruzzo esistesse un artigianato d’eccellenza è testimoniato dalle manifatture di maiolica di Castelli in provincia di Teramo, celebri fin dal XVI secolo, la cui attività era in pieno svolgimento proprio nel periodo da noi considerato. Non abbiamo purtroppo, al momento, alcun elemento per collegare alla maiolica castellana – caratterizzata invero da una particolare policromia – le placche che adornano le maniglie del cassettone della Figura 2 (vedi ancora Figure 2b e 2c).
Tra i soggetti raffigurati a Castelli troviamo il veliero, collocato in un più ampio contesto portuale [Figura 5], ma non le dame in acconciatura settecentesca.
Figura 5. Francesco Grue (ambito di), Scena di porto (uno di una coppia), 1735-1746, maiolica, diametro cm. 43, casa d’aste Wannenes 18.11.2013 n. 3 (uno di una coppia).
Possibile allargamento del catalogo
Quella del mobile neoclassico abruzzese resta un’ipotesi di lavoro che può diventare paradigmatica di una complessa realtà centro-meridionale, attirando l’attenzione su vari mobili pencolanti tra ambito marchigiano e napoletano, allo stato attuale dell’arte di difficile collocazione. L’Abruzzo, in quanto cerniera tra i territori dello Stato della Chiesa e le province più estreme del Regno di Napoli, di cui faceva parte, diventa il luogo ideale dove collocare queste produzioni.
Prendiamo, ad esempio, una ribalta passata come veneta in un’asta romana [Figura 6].
Figura 6. Cassettone a ribalta neoclassico intarsiato, bottega abruzzese (?), XVIII-XIX secolo, casa d’aste Gelardini giugno 2023 n. 126 (ivi definita veneta).
Di napoletano questo mobile ha le lesene fatte a listelli di colore chiaro scuro intercalato e il vasetto nella cartella centrale (nota 3); per contro, il modello a ribalta è pressoché sconosciuto nell’ebanisteria neoclassica partenopea, mentre questa tipologia, caratterizzata da un piccolo davanzale antistante il piano ribaltabile, è ampiamente diffusa in ambito marchigiano e, più in generale, in Italia centrale. Non abbiamo avuto modo di visionare il mobile, ma l’attribuzione al veneto – non altrimenti giustificabile sul piano stilistico – potrebbe essere stata indotta dalla costruzione “alla veneta” con gli interni in abete, circostanza questa che ci riporta alle Marche e ai nostri cassettoni.
L’asse della ribalta, decorata con un’ampia scena di caccia è piuttosto inconsueta. Troviamo qualche affinità con i cassettoni di cui sopra anche nel decoro intarsiato che separa il piano dal primo cassetto – particolare ignoto a Napoli – e nella riquadratura dei cassetti – questa condivisa con il classico cassettone napoletano – e soprattutto dei fianchi.
Alla ribalta di Figura 6 si possono sicuramente associare due mobili molto simili, entrambi pubblicati come napoletani, l’uno da Giacomo Wannenes nel 1990 [Figura 7, nota 4], l’altro in uno Speciale mobili allegato alla rivista Antiquariato nel maggio 1993 [Figura 8].
Figura 7. Cassettone a ribalta neoclassico intarsiato, bottega abruzzese (?), XVIII-XIX secolo, mercato antiquario (Wannenes 1990 p. 181, ivi definito napoletano).
Figura 8. Cassettone a ribalta neoclassico intarsiato, bottega abruzzese (?), XVIII-XIX secolo, mercato antiquario (Speciale mobili rivista Antiquariato maggio 1992, ivi definito napoletano).
Per quanto possa valere, facciamo notare che il vasetto intarsiato al centro dei cassetti nel cassettone a ribalta di Figura 8 è del tutto simile a quello che possiamo vedere nella stessa posizione nel cassettone di Figura 2 [Figura 8a e 2d].
Figura 8a. Dettaglio del cassettone a ribalta di Figura 8.
Figura 2d. Dettaglio del cassettone di Figura 2.
Conclusione
Con questo articolo si vuole attirare l’attenzione su alcuni mobili difficilmente classificabili, frettolosamente assegnati ad alcuni tra gli ambiti territoriali più noti e investigati (Lombardia, Veneto, Napoli), che presentano caratteristiche “ibride” che li collocano virtualmente in zone di confine. Nel caso specifico, mobili che presentino caratteri riconducibili contestualmente all’ebanisteria marchigiana e a quella napoletana, fanno pensare a una loro provenienza da qualche ambito intermedio e viene spontaneo, per non dire scontato, pensare all’Abruzzo.
Chiarito che esistono le condizioni sociali ed economiche per giustificare la presenza in questa regione di botteghe artigiane dedite alla produzione di mobilia, restiamo in attesa di altre e più convincenti conferme.
NOTE
[1] Si rimanda all’articolo Cassettoni neoclassici romagnoli e l’ebanista che si firma “MRACH” (dicembre 2022) [Leggi].
[2]
Con riferimento a questa breve analisi storico sociale, sono stati consultati i seguenti testi:
-Costantino Felice, L’operosità economica in un contesto difficile: le manifatture dell’Aventino-Verde (Abruzzo), Atti del convegno, Pievebovigliana (AP), 24 settembre 2005, in Proposte e ricerche 2006 vol. 26 fasc. 56, Università Politecnica delle Marche.
-Alberto Tanturri, La pubblica istruzione in Abruzzo tra Sette e Ottocento: il caso di Castel di Sangro, Proposte e ricerche 2009 vol. 32, Università Politecnica delle Marche.
-Paola Nigro, Fiumi, corsi d’acqua e costumi nel Regno di Napoli: l’Abruzzo e le sue popolazioni al tramonto del XVIII secolo in Il paesaggio italiano raccontato a cura di Sara Lorenzetti e Valeria Merola, Il Capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage n. 16, 2017, Edizioni Università Macerata (EUM) 2017
-Cristina Ciccarelli, Storie locali nell’Abruzzo di età moderna (1504-1806), dottorato di ricerca AA 2020-2021, Università di Udine.
[3] Vedi Il cassettone Luigi XVI a Napoli [Leggi]. L’ebanisteria napoletana in senso stretto utilizza il pioppo come legno di struttura, mentre in ambito provinciale (Puglia, Calabria, ecc.) si utilizzano anche altre essenze come abete e castagno, talvolta in forma mista.
[4] G. Wannenes, Mobili italiani del Settecento, Leonardo, Milano 1990, p. 181.
Ringrazio Enrico Sala per l’invio di alcune immagini ad alta risoluzione e lo scambio di idee.
Giugno 2024
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