Appunti sull’ebanisteria a Cremona
di Andrea Bardelli
L’esistenza di un’ebanisteria peculiarmente cremonese non solo non è mai stata accertata, ma nemmeno ipotizzata.
In diversi testi dedicati al mobile antico, così come nei cataloghi d’asta, possono apparire attribuzioni a Brescia, Bergamo, Mantova, rarissimamente a Cremona, tranne ovviamente i casi di mobili firmati e datati che sono però rarissimi.
In generale, la difficoltà di stabilire in modo certo la provenienza di un mobile deriva dalle scarse possibilità di abbinare un mobile alla documentazione d’archivio che lo riguarda. Esse si riducono comunque ad alcuni arredi di altissima committenza oppure a taluni arredi ecclesiastici. Questi ultimi non pongono problemi circa la loro origine, indipendentemente dai documenti, quando, come spesso succede, si trovano ancora in situ,
Per arrivare quindi a identificarne la provenienza di un mobile profano e di media committenza, il metodo che si può adottare è spesso solo quello dell’analisi morfologica e dei confronti, cercando allo stesso tempo di razionalizzare un patrimonio sommerso che nasce dall’esperienza degli addetti ai lavori (antiquari e restauratori) attivi sulle rispettive piazze.
Nel caso che ci riguarda, è stato possibile isolare alcune tipologie e alcune modalità esecutive che si possono ricondurre a Cremona e dintorni – lungo un arco di tempo che parte dal XVII e arriva al XIX secolo – attraverso l’instancabile raccolta di concordanze tra mobili di sicura provenienza da determinati contesti locali. Come tutte le conclusioni che scaturiscono da metodi empirici e sperimentali, anche queste hanno natura di semplici proposte.
Forse l’unico mobile con riferimento al quale l’opinione di una provenienza cremonese è ampiamente diffusa e condivisa è un modello di cassone, databile tra la fine del XVI e la prima metà del XVII, ma prodotto anche successivamente, caratterizzato da spigoli anteriori difesi da cariatidi aggettanti, intagliate con dovizia [Figura 1].
Figura 1. Cassone in noce, Cremona, XVII secolo, Finarte dicembre 1997 n. 106 (con attribuzione alla Toscana).
Su questa tipologia, sebbene in versione “cassetta”, ci siamo già intrattenuti a suo tempo [Leggi].
Decisamente più controversa è l’attribuzione all’ambito cremonese, almeno in via esclusiva, di una famiglia di mobili, noti sul mercato antiquario come “Veneroni”, dei quali ci siamo già occupati [Leggi]; essi sono caratterizzati dalla completa ebanizzatura della superficie, già attribuiti all’ambito pavese, ma in ogni caso riferibili alla Lombardia sud occidentale [Figura 2]. Mostro l’immagine di un cassettone, già pubblicato nell’articolo appena citato, che presenta una struttura molto simile a quella dei cassettoni “neri”, ma, diversamente da questi, è improntato a un colorismo piuttosto acceso [Figura 3].
Figura 2. Cassettone, ambito cremonese, inizi XVIII secolo, Collezione Cagnola, Gazzada (Va).
Figura 3. Cassettone lastronato e intarsiato, ambito cremonese, inizio XVIII secolo, mercato antiquario.
Questa decorazione, incentrata su una particolare disposizione della lastronatura, sulla scelta di legni di diverse essenze, sottolineata dalle profilature ebanizzate, può essere considerata una delle cifre più significative dell’ebanisteria cremonese .
Possiamo considerare i “Veneroni” come i progenitori di una schiera piuttosto numerosa di mobili, soprattutto ribalte e trumeaux databili alla metà circa del XVIII secolo, facenti parte di una tipologia emblematica del mobile lombardo, nota come “mobili decorati con cornicette ebanizzate” [Figura 4].
Si discute da molto circa l’origine di queste cornicette nere, secondo alcuni derivanti da analoghe decorazioni marmoree presenti sugli altari delle chiese dell’epoca. A mio avviso non si tratta di un rapporto di derivazione, ma dall’appartenenza degli uni (i mobili) e degli altri (altari) a un unico linguaggio decorativo. Ciò che desidero sottolineare è che questi mobili passano per lombardi tout court e, in qualche caso, per milanesi. Sebbene a Milano siano documentate alcune botteghe che li hanno prodotti, è improbabile che il capoluogo ne avesse l’esclusiva. Anzi, è lecito supporre che in ambito cremonese (allargato alle attuali provincie di Lodi e Pavia) operassero diverse botteghe che fabbricavano mobili di questo genere. Ciò lo si ricava da una serie di dettagli decorativi, non facili da riassumere in questa sede, che documenterebbero una sorta di evoluzione dai mobili “neri” fino agli esemplari di cui stiamo parlando. Se quanto sopra (provenienza e derivazione), per ora plausibile in via ipotetica, venisse confermato, ad esempio, dal ritrovamento di qualche esemplare di provenienza certa, potremmo finalmente assegnare all’ambito cremonese tanti mobili definiti genericamente lombardi, oppure “milanesi”.
Come testimonianza della diffusione “provinciale” del motivo delle cornicette nere non possiamo non citare lo scalone di palazzo Affaitati, attuale sede del Museo Civico Ala Ponzone, fatto costruire dai Magio nel 1769 [Figura 5].
Figura 4. Cassettone a ribalta con alzata, ambito cremonese (?), metà circa del XVIII secolo, già Finarte, ottobre 1998 n. 1217.
Figura 5. Particolare dello scalone d’accesso alla Pinacoteca Ala Ponzone, Cremona, Museo Civico.
Facciamo un salto indietro di qualche decennio e posizioniamoci entro la metà del XVIII secolo per parlare di una tipologia piuttosto ricca e variegata (nel senso che è stata eseguita in varie declinazioni per quanto riguarda alcuni aspetti formali e soprattutto decorativi), che una sorta di prassi consuetudinaria, invalsa sul mercato antiquario, attribuisce a Cremona. Si tratta dei cassettoni cosiddetti “a lambrecchini”, che sono quei festoncini dorati che decorano la parte inferiore del bordo del piano [Figura 6]. Anche a questa tipologia abbiamo dedicato un contributo [Leggi].
Figura 6. Cassettone “a lambrecchini”, ambito cremonese, primo quarto del XVIII secolo, mercato antiquario.
Quando sopra parlavo di “concordanze tra mobili di sicura provenienza”, intendevo dire che, quando è stato possibile rintracciare arredi cremonesi, oppure cataloghi d’asta relativi alla dispersione di arredi della medesima provincia, è stata riscontrata la presenza di mobili di questo tipo. Per mobili di questo genere è stata accertata la provenienza anche da altre zone della Lombardia nord occidentale e del Piemonte orientale (Novarese, Lago Maggiore), ma non se ne trova traccia presso famiglie bresciane o mantovane (e nemmeno milanesi).
Questo ci autorizza a pensare che in ambito cremonese vi fossero botteghe che, per un certo tempo, hanno prodotto mobili del genere, sebbene non in modo esclusivo e con stilemi peculiari.
Riguardo a quest’ultimo punto, vorrei sottolineare come i “lambrecchini” in questione siano lungi dal poter essere considerati un’espressione del genius loci cremonese, trattandosi di una derivazione dal baldacchino berniniano in san Pietro a Roma, replicati nei capo cielo sopra l’altar maggiore nelle chiese di mezza Italia. E’ però curioso notare come uno stilema “importato” possa attecchire in un dato contesto in modo così forte da diventare così peculiare e contribuire a contrassegnare geograficamente una classe di mobili.
Possiamo notare come il motivo a lambrecchini sia stato ripreso, sebbene in forma intarsiata, in questo trumeau [Figura 7] appartenete a una famiglia di mobili, molto diversi tra loro, usciti però sicuramente dalla stessa bottega, come si è potuto accertare eseguendo, su tre di essi, un’accurata analisi comparata di materiali e metodi di costruzione e assemblaggio. Il nome del presunto artefice, anzi il soprannome “Sartirana” (che ne identificherebbe il luogo d’origine in un borgo della Lomellina), è scritto a matita sul cassetto di uno di essi.
Che i trumeaux in questione siano riferibili a Cremona lo raccontano singoli dettagli decorativi, come dimostra il confronto con gli arredi eseguiti da Santo Ferrari e dai Tiraboschi in Cattedrale. Questi particolari sono distribuiti nei vari esemplari in modo difforme ed è proprio da questa diversità che si possono trarre importanti indicazioni. Chi ha un minimo di dimestichezza con gli stili dei mobili non avrà difficoltà a riconoscere come questo trumeau tragga ispirazione dall’ebanisteria veneta. Per conto, un altro mobile della stessa famiglia è chiaramente ispirato a moduli piemontesi [Figura 8].
Figura 7. Sartirana (attr.), Cassettone a ribalta con alzata, Cremona (?), prima metà del XVIII secolo, Finarte dicembre 2000.
Figura 8. Sartirana, Cassettone a ribalta con alzata (firmato), Cremona (?), Sartirana, prima metà del XVIII secolo, mercato antiquario.
Faccio notare, tra le altre cose, il sapiente e generoso uso della radica di noce che riprenderemo più avanti. Non vi è modo in questa sede di insistere ulteriormente su una serie di confronti, ma possiamo senz’altro sostenere che l’influenza combinata piemontese e veneta è una caratteristica del mobile cremonese (che trova riscontro parallelo anche in abito emiliano).
Qualcuno potrebbe dire, anche in base a quanto detto sopra a proposito dell’origine barocca romana del “lambrecchino”, che questo motivo non sia sufficiente a determinare l’origine cremonese di un dato mobile. La critica è assolutamente pertinente, eppure, guarda caso, ritroviamo gli stessi lambrecchini intarsiati su un mobile attualmente conservato nei depositi del Museo Civico, pressoché coevo ai trumeaux sopra esaminati [Figura 9].
Figura 9. Cassettone intarsiato, Cremona, prima metà del XVIII secolo, Cremona, Museo Civico, depositi.
Questo cassettone è di particolare interesse al fine di sottolineare, ancora una volta, il carattere “cosmopolita” della mobilia cremonese perché, lambrecchini a parte, il resto del mobile risponde in modo abbastanza puntuale, nella forma, ma soprattutto sul piano decorativo, alla maggior parte dei criteri in genere consoni all’ebanisteria bresciana. Mi riferisco in particolare alla fronte di ciascun cassetto tripartita in formelle intarsiate costituite da un motivo vegetale frastagliato con al centro una riserva in radica (spesso di pioppo nelle declinazione rigorosamente bresciana), analogamente ripreso sul fianco. Ciò dimostra ancora una volta un debito verso l’ebanisteria veneta anche se, in questo caso specifico, mediata da quella bresciana.
Altri lambrecchini compaiono anche su un cassettone sulla cui origine cremonese non è lecito dubitare, essendo firmato e datato Gaetano Corvi, 1781, fece a Cremona [Figura 10].
Figura 10. Gaetano Corvi, Cassettone lastronato e intarsiato, Cremona 1781, mercato antiquario.
Il mobile, presente in tempi recenti sul mercato antiquario, mostra un impianto rococò per quanto riguarda la sinuosità delle linee, mentre il decoro di tipo geometrico è già neoclassico: la marqueterie, (secondo un gusto francese che ha molto attecchito in Piemonte, per nulla in Lombardia) e le riserve figurate all’interno delle quali si vede un paesaggio (sulla fronte) e un violino (sul piano). Il centro del coperchio è incernierato e si solleva a guisa di leggio, rivelando al suo interno un vano presumibilmente destinato ad accogliere gli spartiti musicali.
Non avrebbe potuto essere diversamente, ma mobili decorati a intarsio con panoplie di strumenti musicali oppure mobili con forme e accorgimenti confacenti all’esecuzione o all’ascolto della musica sono plausibilmente riferibili a Cremona.
Prescindendo dai soggetti intarsiati e dal colorismo (che abbiamo già imparato a distinguere come tipico dell’ebanisteria cremonese), il solo intarsio figurato con scene di rovine richiama il lavoro di un grande artefice del legno cremonese: Giovanni Maffezzoli (1776-1818), uno degli allievi prediletti da Giuseppe Maggiolini, alla cui bottega si aggrega attorno al 1791. Nel 1795 risulta già attivo a Cremona, anche se pare che solo nel 1803 egli lasci il suo maestro per aprire una propria bottega [Figura 11].
Non è di Maffezzoli, bensì di ignoto artefice locale una bella ribalta intarsiata che si conserva nei depositi del Museo Civico, interessante in quanto richiama nei moduli decorativi sia l’ebanisteria lombarda, sia quella piacentina [Figura 12].
Figura 11. Giseppe Maffezzoli (attr.), Toeletta, Cremona, fine del XVIII secolo, già Semenzato novembre 1991 n. 55.
Figura 12. Cassettone a ribalta, (Cremona o Piacenza), fine del XVIII secolo, Cremona, Museo Civico, depositi.
Per quanto riguarda i mobili databili dal 1800 al 1825 circa, lo stile dominante è lo stile Impero di derivazione francese che si attarda poi in versioni più borghesi e rassicuranti. In essi è difficile riscontrare un carattere prettamente locale, eppure si noti il piano ribaltabile di un bel secretaire che mostra, da chiuso, un bella lastronatura in radica di noce [Figura 13]. Non possiamo certo considerare questo aspetto una prerogativa cremonese; la troviamo diffusa, in quest’epoca, in Veneto, in Emilia e in zone limitrofe come nel Mantovano (gli arredi di palazzo d’Arco lo testimoniano), dove i colori chiari e una certa luminosità derivano dallo stile Biedermaier austriaco, attecchito qui più che altrove. Non si può però negare che a Cremona l’uso della radica è piuttosto diffuso.
Si veda in proposito un bel tavolino conservato nella Sala 1 del Museo di Scienze, databile alla metà circa dell’Ottocento [Figura 14].
Figura 13. Secretaire, Cremona, epoca del tardo Impero (1825-30 circa), Cremona, Palazzo Comunale.
Figura 14. Tavolino, Cremona, metà circa del XIX secolo, Cremona, Museo di Scienze, Sala 1.
Basti pensare all’altra grande figura dell’ebanisteria cremonese, Paolo Moschini (1789-post 1850), il quale dell’uso sapiente della radica di noce, (oltre che dell’acero e dell’olmo) e dell’intarsio filiforme, ha fatto la cifra stilistica della sua arte. Mostriamo un mobile di Moschini in stile Carlo X, tratto da un’immagine di repertorio [Figura 15].
Figura 15. Paolo Moschini, Cassettone, già palazzo Barbò di Soresina a Cremona, collezione privata.
Mi sono spesso domandato se, a parte i riferimenti iconografici nei soggetti intarsiati, è esistito un nesso tra la produzione di mobilia a Cremona e quella che è considerata la più importante “industria” locale, quella liutaria. Per trovare un punto di contatto certo tra liuteria ed ebanisteria a Cremona bisogna risalire alla seconda metà del XIX secolo e alla vicenda di Gaetano Antoniazzi (1825-1897), ebanista e liutaio [Leggi], del quale mostro nuovamente il piano di un tavolo datato e firmato [Figura 16].
Figura 16. Gateano Antoniazzi, piano di tavolino impiallacciato e intarsiato, misure: n.d., Cremona, 1869 (o 1864), Milano collezione privata.
E’ interessante notare, in conclusione, come questo tavolo riprenda in sintesi alcuni elementi “cremonesi” che abbiamo preso in considerazione: il disinvolto cromatismo, l’ebanizzatura, l’accostamento di legni e materiali diversi, gli inserti di radica, la tradizione dell’intarsio figurato che, attraverso Maffezzoli, fonda le sue radici negli intarsi di Giovanni Maria Platina per la Cattedrale.
L’autore rivolge un sentito ringraziamento a Mario Marubbi, Bernardo Falconi e Alessandra Squizzato.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, febbraio 2013
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