Arte lignaria nel Duomo di Lodi

di Andrea Bardelli

Custode della città. Il Duomo di Lodi e i suoi tesori (a cura di Luca Anelli e Alessandro Beltrami, Bolis Edizioni, Bergamo 2014) è un’opera collettiva (utili le biografie degli autori in fondo al volume) che, come dichiarato in una delle pagine iniziali, coniuga approccio scientifico e finalità divulgative, favorite da un’impaginazione ariosa con bellissime fotografie di Antonio Mazza.
I saggi sono molto brevi (anche questo lo riteniamo un pregio), incentrati su specifici aspetti che seguono la cronologia dal Medioevo al Novecento.
In calce a ciascuno si trovano numerosi riferimenti bibliografici, ai quali si rimanda, mentre è stato scelto di non redigere una bibliografia finale.
Agli arredi lignei e agli artefici del legno viene riservata una certa attenzione e proprio su questi desideriamo concentrare la nostra attenzione, facendo riferimento, ove occorra, a diversi articoli usciti su Antiqua che hanno riguardato gli stessi argomenti (qui richiamati in nota), al fine di confermare, correggere, integrare quanto scritto a suo tempo.
Iniziamo dal Rinascimento, nonostante i primi saggi siano dedicati all’antichità e al Medioevo.
Nel 1475 sarebbe stata intagliata la Maestà di sant’Alberto da Beltramino da Milano, dorata e dipinta da Innocenzo Lupi, fratello di Bongiovanni e Giovanni Bassiano Lupi, intagliatori lodigiani attivi negli anni Ottanta del XV secolo (p.76). Il testo non lo specifica, ma della scultura non vi è più traccia quindi è da considerare perduta.
Sempre durante la carica del vescovo Pallavicino (1456-1497) viene realizzato il Compianto ligneo [Figura 1]. Per quest’ultimo, al quale viene dedicato più spazio in un altro capitolo (pp. 90-99), si fa il nome di Jacopino da Tradate e si propone una datazione attorno agli anni Trenta del Quattrocento.

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Figura 1. Jacopino da Tradate (attr.), Compianto ligneo, seconda metà del XV secolo, Lodi, Duomo.

Sebbene esuli dagli argomenti che ci siamo proposti di trattare, segnaliamo l’importante scoperta di un documento del 30 dicembre 1511 che assegna a Giovanni Antonio e Gerolamo Della Porta detti Novarini, lapicidi del Duomo di Milano, la realizzazione del monumento funebre marmoreo di Bassiano da Ponte (p. 94).
Sempre dalle pagine dedicate al Rinascimento (p. 117) apprendiamo che la Confraternita del Santissimo Sacramento commissiona a Giovanni Pietro Codeferri il nuovo coro ligneo per il Duomo (nota 1).
Passiamo ora all’età barocca “a cavallo di due secoli”. Un disegno che si conserva nell’archivio della Mensa Vescovile potrebbe essere il progetto della nuova cattedrale di Lodi, eseguito nei primi anni Quaranta del XVIII da Giovanni Antonio Veneroni (su incarico del vescovo di Lodi, il pavese Carlo Ambrogio Mezzabarba) e mai realizzato (p. 125). Ne mostriamo un dettaglio [Figura 2] per riflettere ancora sulla derivazione dai modi del Veneroni di una famiglia di canterani trattati su Antiqua, secondo quanto sostenuto dal prof. Ermanno Arslan come riportato da Clelia Alberici nel suo Il mobile lombardo (nota 2).

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Figura 2. Giovanni Antonio Veneroni, progetto per la nuova Cattedrale, 1740 circa.

A pagina 131 del volume sul Duomo lodigiano si legge che “Nel 1763 vennero allestite le nuove cantorie, per opera dell’intagliatore Giuseppe Cerino di Cerro di Parabiago (oggi conservate presso la chiesa di San Cristoforo), che presero il posto di quelle rinascimentali, ai lati del presbiterio”.
Anche ai falegnami di Cerro abbiamo dedicato un articolo (nota 3) nel quale fornivamo questa notizia, ma è ora possibile precisare, come indica la nota 9 a p. 133, che la fonte originaria è rintracciabile in un manoscritto di padre Anselmo Robba dal titolo Annotazioni dal 1761 al 1762, che si trova presso la Biblioteca Comunale Laudense (ms. XXIV A3, 128).
Il saggio non ne fa cenno esplicito, ma osservando una foto scattata ante 1959 (p. 14), è assai probabile che Giuseppe Cerino abbia eseguito anche il pulpito – addossato al pilastro di sinistra all’ingresso del presbiterio – fisicamente e stilisticamente contiguo alla cantoria [Figura 3].

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Figura 3. Giuseppe Cerino (attr.), pulpito, metà circa del XVIII secolo, Lodi, Duomo.

Un’altra foto (p. 26) , scattata durante gli ingenti lavori di restauro che hanno interessato il Duomo dal 1959 al 1964, mostra il pilastro spoglio, quindi è probabile che anche il pulpito sia finito in San Cristoforo.
E’ inoltre propizia l’occasione per un’ulteriore precisazione a proposito dell’altare ligneo di Capriasca in Canton Ticino di cui si parla nell’articolo sui falegnami di Cerro. La data del 1743 si riferirebbe alla parte inferiore dell’altare, mentre la parte superiore -che stilisticamente appare più antica – rientrerebbe nell’ambito della tipologia degli altari cappuccini e sarebbe da datare alla seconda metà del Settecento (nota 4).
Facciamo un rapido salto indietro solo per citare un intaglio ligneo che accompagna tre tavole dipinte da Callisto Piazza, forse con aiuti nel 1541-1542, per l’ancona di San Giuseppe che oggi si trova al Museo Civico di Lodi. Nel 1603 l’ancora era stata collocata in Duomo nella cappella nota come Cadamosto, attualmente dedicata al SS. Sacramento, sull’altare della Scuola di San Giuseppe che raggruppava i falegnami (p. 135).
Veniamo ora a un artefice del quale Antiqua si è molto occupata: Carlo Antonio Lanzani (nota 5). Si deve a lui la custodia in rovere del tabernacolo per l’altare marmoreo barocco per il quale viene incaricato nel 1682 l’intelvese Giovan Battista Pinchetti (p. 151 e ss.). Il Lanzani esegue anche l’incastellatura per la messa in opera dei marmi. Il tabernacolo viene scoperto al pubblico il 15 agosto 1686, ma la doratura dei pezzi in bronzo viene fatta fare (dal Lanzani) solo nel 1687 (nota 6). A questo proposito, da una richiesta di esenzione dai dazi in data 4.12.1684 (corretta in 25.1.1685) si deduce che già in precedenza il Lanzani era stato incaricato di portare a Milano diversi pezzi del tabernacolo per essere dorati, ma evidentemente ciò non si era verificato (p. 154 n. 6).
Alle vicende che hanno interessato la sacrestia capitolare – e che riguardano ancora Carlo Antonio Lanzani – è dedicato un intero capitolo (pp.160-165).
Attualmente troviamo due serie di armadi sulle pareti contrapposte nord e sud, nelle quali si riconoscono gli stilemi della bottega del Lanzani, documentato in sacrestia capitolare nel 1693 e nel 1696; il corpo centrale (parete ovest) sembra precedente (metà circa XVII secolo), ma di qualità inferiore; la parete est è occupata da una boiserie realizzata negli anni Sessanta del Novecento dove sono collocati un bassorilievo ligneo con san Bassiano (antico, ma di provenienza ignota) e lo stemma del vescovo Gallarati (1742-1765) tratto da un confessionale [Figura 4].

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Figura 4. Carlo Antonio Lanzani (attr.) e altri apporti in parte none coevi, armadi, fine del XVII secolo, Lodi, Duomo, sacrestia capitolare.

Nel 1820, il Capitolo incarica il falegname Antonio Bravo di adattare ai locali della sacrestia gli armadi della soppressa chiesa di S. Marco “cedendo li armari vecchi e legni”. Non è chiaro se il Bravo abbia fatto un adattamento oppure abbia proceduto a una sostituzione integrale; in questo caso, però, anche i mobili provenienti da S. Marco – se sono quelli che vediamo oggi nella sacrestia capitolare – dovevano essere stati fatti dal Lanzani in quanto rispondenti al suo stile.
I fregi superiori in stile rococò, contenenti alcuni medaglioni dipinti sono settecenteschi e vicini allo stile di Francesco Oppizio, al quale si devono gli intagli della sacrestia e della biblioteca del complesso di san Filippo Neri, sempre a Lodi. Questi arredi sono stati a lungo attribuiti ai lodigiani Cavanna prima dell’articolo di Alessandro Beltrami (uno degli autori e curatori del volume in discorso) apparso su Arte Lombarda nel 2005 (nota 7).
Ancora più complessa è la storia delle tarsie lignee di Giovanni da Verona [Figura 5], anch’esse oggetto di un capitolo apposito (pp. 190-195).

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Figura 5. Giovanni da Verona, tarsie lignee, 1522-1525, Lodi, Duomo.

Proviamo a riassumerne in sintesi la genesi.
Nel 1522 vengono ordinate da Filippo Villani, priore dell’abbazia di Villanova Sillaro, “quadri 33 di prospettive” al celebre intarsiatore olivetano Giovanni da Verona per il coro di un’erigenda chiesa (con annesso monastero) dedicata all’Annunciata a Lodi (nota 8). L’autrice del saggio chiarisce (Nota 1 p. 193) che le tarsie non sono mai state ordinate per l’abbazia di Villanova Sillaro come sostenuto da altri autori.
Nel 1525 l’intarsiatore muore per cui ne vengono consegnate solo 23, prelevate a Verona e collocate nella chiesa di Santa Chiara Vecchia a Lodi.
Nel 1528 muore Filippo Villani, la chiesa dell’Annunciata ancora in costruzione viene abbattuta e il materiale dirottato verso la costruzione della chiesa lodigiana di san Cristoforo.
Dal testo non si capisce esattamente quando, ma si presume nel 1558, le tarsie vengono fatte restaurare a Giovanni Pietro Capoferri e collocate in numero di 16 nel coro vecchio della chiesa di san Cristoforo e le restanti 7 nel refettorio.
Nel 1586 un certo magister Paolo Sasono viene incaricato di riunificare i 23 quadri nel coro nuovo della stessa chiesa di san Cristoforo.
Nel 1612 le 23 tarsie vengono “aggiustate” nelle sedie del coro fatte fare “con avanzi” (a eccezione della sedia del priore risalente al 1281) e lì risultano anche nel 1623; appare quindi infondata la notizia che 12 tarsie siano bruciate nell’incendio del 1524 (nota 4 p. 193).
A seguito delle soppressioni napoleoniche del 1798, ma in epoca imprecisata, le tarsie vengono traslate nella chiesa di Santa Maria della Clemenza a San Bernardo dove vengono rinvenute nel 1867. Una targa lignea eseguita in stile e riprodotta nel volume ci dice, infine, che le 11 tarsie superstiti sono state conservate nella chiesa di San Bernardo fino al 1963 per essere poi portate in Duomo e inserite negli stalli lignei attuali, disegnati da Alessandro Degani (direttore delle trasformazioni novecentesche) ed eseguiti da Giuseppe Gandini di Chiari (Bs) nel 1965.

NOTE

[1] Rimandiamo all’articolo di Pierluigi Majocchi L’attività di Giovanni Pietro Codeferri a Lodi [Leggi ], nel quale si specifica che l’accordo con Giovanni Pietro Capoferri (alias Codeferri) risale al 1560 e che la costruzione del coro per il Duomo è in pieno svolgimento nel 1564, mentre i pagamenti si prolungano almeno fino al 1571.
In una recente comunicazione(11.1.2015) Majocchi riferisce di una testimonianza riportata in Ferruccio Pallavera, Il Duomo di Lodi. Dal Barocco al Romanico (PMP, Lodi 2014, p. 299-301), secondo la quale il coro ligneo del Codeferri, che si riteneva perduto, è forse quello restaurato e ricostruito nella sala del Capitolo del Duomo durante i lavori del 1958-1966.

[2] Canterani ebanizzati lombardi: i “Veneroni” [Leggi], Canterani lombardi, i “post Veneroni” [Leggi], E se “i Veneroni” fossero dei “Guarini”? [Leggi ].

[3] I falegnami di Cerro [Leggi].

[4] Devo la precisazione al prof. Biondelli, che ringrazio, il quale ne parla in un capitolo del suo volume sugli arredi lignei del Duomo di Castiglione delle Stiviere (Mn) da noi recentemente recensito [Leggi].

[5] Ci siamo occupati di Carlo Antonio Lanzani in diverse occasioni: Carlo Lanzani e il coro ligneo di Sant’Alessandro a Milano [Leggi ]; Precisazioni su Carlo Antonio Lanzani [Leggi]; Notizie inedite sull’intagliatore Carlo Antonio Lanzani [Leggi].
Fa piacere che per aggiornare la cronologia su Carlo Antonio Lanzani, una nota al volume in discorso (p. 163 n.1) rimandi proprio a quest’ultimo articolo.

[6] L’autore del saggio (nonché co-curatore del volume) Alessandro Beltrami scrive di aver tratto molte delle informazioni riportate dall’articolo di Giovanni Vanini dal titolo Il tabernacolo dell’altare maggiore della cattedrale, apparso su Il Cittadino in data 1 giugno 2013, rimproverando a quest’ultimo di non aver citato le fonti. Evidentemente Vanini aveva scelto per quell’occasione un taglio divulgativo, riservando un taglio scientifico al saggio scritto su Archivio Storico Lodigiano, anno 2012 (p. 439 e ss.), pubblicato nel marzo 2014 e sfuggito a Beltrami.

[7] Alessandro Beltrami, Note sul complesso settecentesco di San Filippo Neri a Lodi, Arte Lombarda n. 144 2005/2 p.77-87. Vedi anche: La questione Cavanna. Seconda parte [Leggi].

[8] Altre fonti (compreso l’articolo citato alla nota 1) riferiscono che le tarsie sono state eseguite nel 1519, ma la cronologia 1522-1525 è da considerare ora più attendibile.

L’autore ringrazia Pier Luigi Majocchi per avergli fornito una serie di precisazioni.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, febbriao 2016
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