Assunzione in avorio del XVIII secolo

di Luigi Athis Buttazzoni

Tra i molteplici oggetti conservati in una collezione privata milanese si trova un piccolo gruppo scultoreo in avorio raffigurante un’Assunzione della Vergine, attribuibile a scuola dell’Italia Meridionale del XVIII secolo [Figure 1 e 1bis].

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Figura 1. Assunzione della Vergine, avorio, cm. 18,5 x 8,5 circa, montata su supporto in acciaio satinato e perspex, Italia meridionale, XVIII secolo, collezione dell’autore.

Intagli simili si trovano in diversi musei quali la Galleria Regionale della Sicilia in Palazzo Abatellis a Palermo [Figura 2], il Castello Sforzesco di Milano (nota 1), il Museo Arqueòlogico di Madrid (due esemplari), il Museo Abbaziale di Klosterneuburg in Austria, il Bayerisches Nationalmuseum di Monaco di Baviere, il Victoria and Albert Museum di Londra (due esemplari) [Figure 3 e 4], il Museo di Dresda e altri.
L’esemplare di Dresda venne inviato da Maria Amalia di Sassonia (Dresda 1724 – Madrid 1760) al padre Federico Augusto III di Polonia elettore di Sassonia, attorno al 1742, dopo il suo matrimonio con Carlo di Borbone re di Napoli, poi Carlo III di Spagna avvenuto nel 1738 (Theuerkauff 1994, n. 54, pp. 14-15, 123-126).

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Figura 2. Giudizio universale, avorio, Italia meridionale, Palermo, Galleria Regionale della Sicilia.

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Figura 3. Assunzione della Vergine, Italia meridionale, avorio, 1700-1720 Londra, Victoria & Albert Museum.

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Figura 4. Immacolata Concezione, Italia meridionale, avorio, 1700-1720 Londra, Victoria & Albert Museum.

Alvar Gonzalez-Palacios (Gonzales-Palacios 1980, n. 542) e altri studiosi indicano per tutte queste opere un intervallo temporale tra gli anni Trenta e Cinquanta del Settecento. Probabilmente Maria Amalia, colta e amante delle arti, la quale nel 1743 contribuì a realizzare la Gran Fabbrica di Porcellane di Capodimonte, fece eseguire da intagliatori di corallo trapanesi queste affollate sculturine che distribuì in dono a principi e regnanti europei dell’epoca.
Opere simili sono state fatte risalire anche alla fine del XVII secolo come quella già in collezione Thurn und Taxis o un’altra al Bayerisches Nationalmuseum di Monaco, datata 1696, attribuite all’austriaco Jacob Auer (Haiming 1645 – Grins 1706) da Eugen von Philippovich (von Philippovich 1961, pp. 170-173) o una terza citata in un inventario del 1658 del cappellano della cattedrale di Palermo data a tale Bernardino Siciliano.
Simonetta La Barbera, riprendendo un’ipotesi di Anna Barricelli del 1985, ritiene che l’esemplare di Palazzo Abatelli (vedi ancora Figura 2) possa essere stato eseguito nella seconda metà del XVIII secolo, opera della bottega di Alberto (1732 – 1783) e Andrea (1725 – 1766) Tipa di Palermo (La Barbera 2001, n. I.27, pp. 118-20) e, in contrapposizione a Gonzalez Palacios (op. cit.) che le accasava a Napoli, ritiene che anche le altre opere sparse per l’Europa, siano state prodotte da botteghe trapanesi influenzate dai fastosi stucchi di Giacomo Serpotta (Palermo 1656-1732). Un motivo relativamente importante per la datazione degli avori potrebbe essere la cornice rococò che spesso li cinge, anche se in Sicilia e a Napoli probabilmente si allungarono i tempi di tale aspetto del gusto arrivando fino alle porte del Neoclassicismo.
Valeria Sola (Sola 2017, n. 38) contraddice La Barbera, sostenendo – abbastanza discutibilmente – la possibilità che gli intagli siano stati eseguiti da maestranze nordiche e successivamente portati a Palermo per essere incorniciati.
In ogni caso, a conferma del gradimento di questo genere di affollate sculture verticali nel Settecento anche in Italia Settentrionale, Francesco Bertos (Venezia 1678-1741) scolpì gruppi di grandi dimensioni con piramidi di figure in marmo o ridotte in bronzo, avendo ben presente l’antesignana di tutte queste sculture: il Toro Farnese (nota 2).

Il suo allievo Agostino Fasolato (Padova 1697-1776), verso la metà del secolo, creò un’opera eccezionale, La caduta degli angeli ribelli, un gruppo in marmo di 168 centimetri d’altezza di forma piramidale costituito da sessanta figurine [Figura 5]. Monica de Vincenti e Simone Guerriero nel 2021 hanno predatato la scultura al 1725-35 attribuendola direttamente al suo maestro Francesco Bertos.

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Figura 5. Agostino Fasolato o Francesco Bertos, La caduta degli angeli ribelli, marmo, cm. 168, 1750 circa, Vicenza, Gallerie d’Italia, Palazzo Leoni Montanari.

Un capolavoro assimilabile al genere delle sculture verticali composte da figurette esiste anche in Lombardia. Si tratta dell’Inferno di Giovanni Giuseppe Piccini (Vilminore di Scalve 1661 – Bergamo 1723), intaglio in legno di bosso inserito tra le fauci spalancate del demonio nell’inginocchiatoio in noce conservato nella Chiesa di San Giovanni Battista a Telgate (Bg) [Figura 6]. L’opera fu prodotta dall’autore senza alcuna committenza, libero di dare sfogo alla sua fantasia nel 1722, già anziano per l’epoca e un anno prima di morire, in pratica il suo testamento artistico libero da ogni costrizione economica e creativa.

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Figura 6. Giovanni Giuseppe Piccini, L’Inferno, intaglio ligneo, 1722, Telgate (Bg), chiesa di San Giovanni Battista.

I numerosi scultori in avorio d’oltralpe presenti in Italia, soprattutto alla corte medicea, hanno nell’anonimo Maestro delle Furie il loro rappresentante più talentuoso: suo l’incredibile Marco Curzio che si getta nella voragine, capolavoro della prima metà del Seicento, la più significativa di tutte le sculture d’avorio con sviluppo verticale [Figura 7].

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Figura 7. Maestro delle Furie, Marco Curzio che si getta nella voragine, avorio, prima metà del XVII secolo, Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti.

Troviamo qualcosa di simile anche nell’arte contemporanea grazie ai fratelli britannici di origine greca Dinos (Londra 1962-) e Jake (Cheltenham 1966-) Chapman, autori di agglomerati di figurette verticali di argomento scioccante [Figura 8] e all’artista veneziano Mauro Bonaventura (Venezia 1965 -) che trasforma barre di vetro lavorate a lume in moltitudini di figurette colorate talvolta molto simili agli intagli d’avorio settecenteschi e di gradevole effetto decorativo [Figura 9].

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Figura 8. Jake e Dinos Chapman, Love is infinity put to the disposal of poodles, 2016, materiali misti, cm. 4,5 x 37,5 x 24,5 (foto di Julie Joubert, per centile concessione degli artisti e della Galleria Blain Southern, Berlino, Londra, New York).

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Figura 9. Mauro Bonaventura, Multicolor Human Tower, vetro, cm. 80 x 24 x 22.

Mauro Bonaventura deve aver ben presenti le sculturine d’avorio settecentesche, La caduta degli angeli ribelli di cui alla Figura 5 e le incisioni di Just de Juste o Giusto Betti Juste (Tours 1505 -1559), manierista della Scuola di Fontainebleau vicino a Rosso Fiorentino [Figura 10].

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Figura 11. Just de Juste (Giusto Betti Juste), piramide di uomini, acquaforte, collezione dell’autore.

Anche Gustav Vigeland (Malan, Norvegia, 1869 – Oslo 1943), tra le duecento sculture che si trovano nel parco a lui dedicato a Oslo, ha eseguito un monolite [Figura 11] che ho scelto di illustrare perché rapportabile alle antiche sculture verticali fin qui citate.

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Figura 11. Gustav Vigeland, monolite, marmo, Oslo, Frognerparken.

Possiamo supporre che l’ispirazione a Vigeland arrivò dalla Colonna Traiana o più semplicemente dai manici d’avorio delle posate sei-settecentesche degli intagliatori mitteleuropei.
Per comprendere come queste piccole sculture d’avorio verticali siano diffuse anche in culture lontane dall’Occidente, propongo questo piccolo intaglio in osso, simile per dimensioni e fattura all’Assunzione [Figura 12].

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Figura 12. Paesaggio, avorio, cm. 18 x 8, Cina, inizi XX secolo.

NOTE

[1] Ho visto personalmente questa scultura molti anni fa quando esisteva al Castello Sforzesco una grande sala dedicata alle arti decorative (avori, medaglie, placchette, maioliche, ecc.), ma nelle visite più recenti non ho più trovato quella sala che forse è stata eliminata. È stato impossibile accedere a tutti gli spazi del museo, inaccessibili per assenza o mancanza di personale. L’esemplare del castello aveva la cornice rococò ed è citato da Alvar Gonzalez-Palacios (op. cit.). Stranamente non è inserito nel catalogo degli avori dello stesso Castello Sforzesco pubblicato da Electa nel 1978 (Oleg Zastrow, Museo d’Arti Applicate. Gli avori, Milano 1978).

[2] Su Francesco Bertos si rimanda all’articolo La straordinaria fortuna di Francesco Bertos (novembre 2011) [Leggi].

Bibliografia
-Eugen von Philippovich, Elfenbein, Braunschweig 1961.
-Alvar Gonzalez-Palacios, scheda del Giudizio Universale di Palazzo Abatellis a Palermo, in Civiltà del ‘700 a Napoli 1734-1799, catalogo mostra, vol. II, Firenze 1980.
-Anna Barricelli, “Montagna di Cavallo”, la scultura di Andrea Tipa in Le arti in Sicilia nel Settecento. Studi in memoria di Maria Accascina a cura di Maria Giuffrè e Manfredi La Motta, Regione Sicilia, Palermo 1985.
-Christian Theuerkauff, Elfenbein, Sammlung Reiner Winkler, vol. II, München 1994.
-Simonetta La Barbera, scheda del Giudizio Universale, San Michele che caccia i diavoli, in Wunderkammer siciliana, alle origini del museo perduto, catalogo mostra a cura di Vincenzo Abbate, Cinisello Balsamo (Mi) 2001.
-Chiara Spanio, Giovanni Giuseppe Piccini, Bergamo 2011.
-Valeria Sola, scheda del Giudizio Finale, in Serpotta e il suo tempo, catalogo mostra a cura di Vincenzo Abbate, Cinisello Balsamo (MI) 2017.
-Monica de Vincenti-Simone Guerriero, La caduta degli angeli ribelli, Roma 2021.

Maggio 2024

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