Da Mantegna a Leonbruno passando per Mocetto. E Manuzio?
della Redazione di Antiqua
Ci siamo proposti da tempo di approfondire l’origine della figura femminile giacente nuda e addormentata, che compare in una serie pressoché infinita di raffigurazioni.
La si vede anche in una piccola tavola che si trova a Firenze presso il Museo degli Uffizi dove si appoggia a una palla di cannone; accanto a lei una strana figura di guerriero reggente un bastone pastorale e una palma [Figura 1].
Figura 1. Lorenzo Leonbruno, Scena allegorica, dipinto su tavola, cm.39 x 30, 1515-1520 circa, Firenze Galleria degli Uffizi.
Ne parla diffusamente l’articolo “Ab Olympo”: Mercurio e Amymone, dai modelli mantegneschi alla mondanizzazione del mito [Leggi] pubblicato sul sito Engramma che già conoscevamo e che qui abbiamo l’occasione di segnalare e di promuovere.
L’opera è nota come Scena allegorica o Ninfa dormiente ed è attribuita a Lorenzo Leonbruno sebbene non concordemente (nota 1).
Il primo ad attribuire a Leonbruno l’opera, quando ancora si trovava a Milano nella collezione Grandi, è Carlo Gamba nel 1909 (nota 2); egli mette la figura femminile in relazione a una figura analoga che compare in un monocromo attribuito allo stesso Leonbruno [Figura 2].
Figura 2. Lorenzo Leonbruno, Ninfa dormiente, olio su tavola, 1495-1505 circa, collezione privata (già a Parigi, collezione Ray-Spitzer).
Qui la donna giace appoggiata a un’anfora ed è insidiata da alcuni satiri, uno dei quali la scopre, ed è proprio questa la scena che ci interessa. Gamba riteneva che fosse derivata da Andrea Mantegna, insieme al quella incisa, più o meno negli stessi anni, da Girolamo Mocetto [Figura 3, nota 3].
Figura 3. Girolamo Mocetto, Ninfa dormiente, incisione, 1504-1506 circa.
L’articolo segnalato su Engramma dimostra come anche altri personaggi che compaiono nel monocromo di Leonbruno derivano da opere di Mantegna.
Mostra inoltre un disegno molto simile all’incisione di Mocetto, anche se di dimensioni minori, conservato agli Uffizi e reso noto da Giovanni Agosti nel 1992. Il disegno viene attribuito alla bottega di Mantegna, [Figura 4], lasciando supporre “… l’esistenza di un prototipo mantegnesco, oggi perduto, alla base di questa prolifica genealogia di immagini” (nota 4).
Figura 4. Bottega di Andrea Mantegna, Ninfa dormiente, disegno, 1495-1500, Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi.
Tutto ciò premesso, appare strano come la figura muliebre mantegnesca non sia messa in relazione con una xilografia raffigurante un satiro che svela una donna nuda dormiente, che compare nel libro VII della Hypnerotomachia Poliphili edito da Aldo Manuzio nel 1499 a Venezia [Figura 5].
Figura 5. Ignoto incisore, La fontana della ninfa dormiente, incisione, Hypnerotomachia Poliphili, Manuzio, Venezia 1994, f.e I r.
Come spiega Helena K. Szépe nel catalogo della mostra su Manuzio del 2016, l’immagine illustra una ninfa dai cui seni sgorgano acqua calda e fredda che fanno germogliare la vegetazione. La scena suscita il desiderio erotico, stabilendo uno stretto rapporto tra l’arte e il piacere.
Polifilo, il protagonista maschile del libro, fa riferimento alla leggenda della Venere Cnidia di Prassitele [Vedi] che spingeva gli uomini alla masturbazione, per sostenere che anche il corpo in pietra della ninfa provocherebbe la stessa reazione (nota 5).
Un piattino (cosiddetto “scossino”) di maiolica prodotto dalla manifattura di Castelli in Abruzzo, uno dei tanti oggetti ispirati all’immagine di cui stiamo discutendo, sembra interpretare in modo letterale questo riferimento: vediamo la nostra ninfa con accanto un satiro che, inequivocabilmente, si porta la mano destra alle parti intime [Figura 6].
Figura 6. Ninfa dormiente, maiolica, Manifattura di Castelli, metà del XVIII secolo, Wannenes 14.5.19 n. 69.
Tornando all’immagine del Polifilo (come è d’uso abbreviare la Hypnerotomachia Poliphili), la Szépe suggerisce, per sottolineare come essa abbia influenzato la cultura visiva veneziana, che Giorgione l’abbia ripresa nella celebre Venere dormiente di Dresda. [Vedi].
Recentemente, Elisabetta Fadda (nota 6) ha scritto che anche Correggio ha desunto “in parte” dall’immagine manuziana l’idea per il dipinto Venere e Cupido dormienti spiati da un satiro di Correggio che si a trova al Louvre [Figura 7].
Figura 7. Antonio Allegri detto Correggio, Venere e Cupido dormienti spiati da un satiro, olio su tela, 1527-28, Parigi Museo del Louvre.
L’ipotesi è plausibile, ma desideriamo prendere, per ora, in considerazione solo le trasposizioni più fedeli della ninfa dormiente e non le sue libere interpretazioni che sono numerosissime.
Interessa però riportare quanto la Fadda dice a proposito dell’incisione del Polifilo, ossia della sua “… probabile derivazione di un modello archeologico conosciuto nel Rinascimento raffigurante Arianna addormentata” (nota 7).
La Fadda fornisce anche una sua interpretazione a proposito della simbologia dell’incisione, ossia che si tratti “ …della raffigurazione della Terra, Maia o Mater Magna, figlia di Fauno dai desideri incestuosi, che sapeva resistergli anche da ubriaca. Ma Fauno si tramuta in serpente e riesce a possederla …”. Per questo quindi, alla base dell’incisione del Polifilo, leggiamo la scritta PANTON TOKADI, ossia “Alla madre di tutte le cose”.
NOTE
[1] L’anticonvenzionale blog di Michele Danieli non parla di quest’opera, ma pubblica diversi articoli su Leonbruno, prendendo spunto da un dipinto raffigurante San Girolamo, mettendo in discussione il suo catalogo: Fine del mito di Leonbruno e articoli connessi [Vedi].
[2] Carlo Gamba, Un nuovo dipinto del Leonbruno, Rassegna d’Arte n. 2 del 1909, pp. 30-31.
[3]
Il monocromo e l’incisione erano già stati segnalati dallo stesso Gamba in un articolo apparso anch’esso su Rassegna d’Arte (1906, n. 6 p. 91 *). Lì suggeriva che la donna giacente personificasse Mantova e l’acqua sgorgante dall’anfora simboleggiasse il suo lago, dal momento che Leonbruno era un protetto da Isabella d’Este, marchesa di Mantova.
*L’articolo non è stato rintracciato; il riferimento è fornito dallo stesso Gamba in un articolo pubblicato su Bollettino d’Arte (vedi oltre nota 7), mentre nell’articolo del 1909 sopra citato parla di anno IV (ossia 1904) n. 5-6.
[4] L’attenzione è concentrata sulla sola ninfa dormiente; per quanto riguarda il personaggio virile della tavola degli Uffizi si rimanda al testo pubblicato da Engramma. Monocromo, incisione e disegno sono spesso intitolati Amymone. Non pare tuttavia di riconoscere nella scena la rappresentazione della vicenda di Amymone, figlia di Danao, come viene abitualmente narrata [Vedi ].
[5] Helena K. Szépe, L’Hypnerotomachia Poliphili, l’avventura tra sogno ed erotismo stampata da Aldo Manuzio, in AAVV, Manuzio (catalogo mostra), Marsilio, Venezia 2016, pp. 137.154. Dal testo si intuisce che il corpo della ninfa sia di pietra e che quindi si tratti di una fontana, da cui il titolo dato all’immagine.
[6] Elisabetta Fadda, Come in un rebus Correggio e la camera di San Paolo, Olschki, Firenze 2018, p. 53). Il volume è stato recensito su Antiqua [Leggi].
[7] Alle tante raffigurazioni dell’Arianna addormentata nella statuaria e alle infinite derivazioni anche di questo soggetto dedicheremo presto un articolo su Antiqua. Desideriamo però segnalare come il sopra citato Carlo Gamba, in un articolo apparso su Bollettino d’Arte e scritto per comunicare l’acquisto da parte dello Stato per gli Uffizi, nel gennaio 1909, della tavola da cui siamo partiti, ipotizzava, a proposito della ninfa dormiente, “… che l’origine di questa figura debba ricercarsi in qualche statua antica della collezione Gonzaga …”; di questo articolo non si hanno gli estremi, ma è disponibile in rete [Leggi).
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, giugno 2019
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