Ebanisti milanesi nella Marca Trevigiana
di Andrea Bardelli
Nei musei civici di Padova si conserva un cassettone riccamente intagliato a motivi vegetali [Figura 1], attribuito all’ebanista milanese Antonio Imbonati.
Figura 1. Antonio Imbonati (attr.), Cassettone, Padova, Musei Civici.
La somiglianza di questo mobile con l’arredo della sagrestia della parrocchiale di Cusignana (Tv) ha indotto a credere che tale sia la sua provenienza (cfr. Franca Pellegrini, a cura di, Musei Civici di Padova. Museo d’Arte, Arti Applicate e Decorative, Skira 2004, p. 83-85).
Di questo mobile si era già occupata anni addietro Clelia Alberici, la quale spiega meglio come l’attribuzione all’Imbonati deriva dal confronto con i mobili di Cusignana, eseguiti appunto da Antonio Imbonati, intagliatore milanese, insieme ai marangoni Antonio Basso e ai fratelli Francesco e Bortolo Grassi fra il 25 gennaio e il 30 aprile 1695.
Su uno dei mobili di Cusignana, infatti, compare una scritta dalla quale risultano gli esecutori e l’epoca, quando “era Pontefice Innocenzo XII, Vescovo Gio. Batta Sanudo, Dose (Doge) Silvestro Valzer […]” (C.Alberici, Il mobile veneto, Electa, Milano 1980, p. 119-132).
Le notizie raccolte in rete sulla parrocchiale di Cusignana, dedicata alla Madonna Assunta, parlano di “preziosissimi i mobili in noce intagliati a rilievo di fogliame in stile classico […]; scrigni, panche, panconi, un cassettone con tre cassette [Figura 2] e una porta a due battenti con specchi e cornici ricche di ceselli”.
Figura 2. Antonio Imbonati-Antonio Basso-Francesco e Bortolo Grassi, Cassettone con alzata, Cusignana (Tv), sacrestia della chiesa della Madonna Assunta (foto Scapis, Cornuda, Tv).
Con riferimento alla sola porta, che si dice “costruita tra il 15 gennaio e il 30 aprile del 1695 su commissione della Fabbriceria”, vengono fatti i nomi di Antonio Imbonadi (sic) e dei falegnami Antonio Basso e Francesco Grassi di Cusignana.
Grazie allo studioso locale Pietro Zanatta siamo in grado di fornire altre e più precise notizie sugli arredi di Cusignana.
Un volume di G. Pagotto edito nel 2000 pubblica le immagini del cassettone e dell’inginocchiatoio (qui sostituita da una fotografia recente) [Figura 3], chiarendo che tutti gli arredi della sagrestia, compresa la porta sono da ascrivere agli artefici di cui sopra (G. Pagotto, Cusignana. Una Pieve millenaria, Roncade, Tv, 2000, p. 72-73).
Figura 3. Antonio Imbonati-Antonio Basso-Francesco e Bortolo Grassi, Inginocchiatoio, Cusignana (Tv), sacrestia della chiesa della Madonna Assunta (foto Scapis, Cornuda, Tv).
Lo stesso autore riferisce l’opinione del Fapanni, studioso trevigiano dell’Ottocento (non sappiamo se Agostino o il figlio Francesco Scipione), secondo il quale gli arredi erano “di stile scorrettissimo”. Breve cenno ai mobili di Cusignana è fatto da mons. Carlo Agnoletti (1845-1913), archivista della Curia vescovile, professore del Seminario, storico della Diocesi di Treviso, autore, tra l’altro, di un’opera voluminosa: Treviso e le sue Pievi. Scrivendo della chiesa di Cusignana, annota “[…] Imbonati intagliò il banco della sagrestia” (C. Agnolotti, Treviso e le sue Pievi, II, Treviso 1887, p. 634).
Una valutazione positiva dell’opera dell’Imbonati viene invece sinteticamente espressa da un altro prelato, mons. Costante Chimenton (deceduto nei primi anni Sessanta), autore di una collana di monografie sulle chiese ricostruite dopo la prima guerra mondiale. Tra queste vi è anche quella di Cusignana, il cui tetto, organo, ecc. furono gravemente danneggiati il 15 giugno 1918 da una bomba austriaca. A proposito comunque dei mobili, che non riportarono danni da quell’evento, si legge: “[…] L’Imbonati intagliò l’armadio maggiore della sagrestia, opera preziosa eseguita con tale finezza d’arte e con tanta profusione di rilievi da eccitare la meraviglia degli intelligenti” (C. Chimenton, E ruinis pulcriores: 3. La Chiesa di S. Maria Assunta in Cusignana di Arcade, Treviso, 1923, p.7).
Detto per inciso, la dizione “Cusignana di Arcade”, dipende dal fatto che tale località, sino al febbraio 1960, faceva parte del Comune di Arcade. Da quest’ultima data, è parte del territorio comunale di Giavera del Montello.
Su Antonio Imbonati non sono state reperite notizie in ambito milanese, mentre, con una certa sorpresa sono emerse notizie, seppure con qualche discordanza onomastica, sui falegnami.
Più o meno nella stessa epoca, infatti, si registra la presenza a Milano di un Francesco Grasso, intagliatore, figlio di Teodoro, abitante a porta Ticinese, parrocchia di San Sisto. Tra il 1666 e il 1667, insieme a Carlo Giuseppe Bazzo, realizza un coro di ventitre stalli per la chiesa di San Bernardino dei Morti. Di questo coro non vi è più traccia e pare che fosse rimasto incompiuto fin dall’inizio e oggetto di una lite con i committenti (Vincenzo Forcella, Intarsiatori e scultori di legno che lavorarono nelle chiese di Milano, Milano, 1895, p.62; M.T.Fiorio, Le chiese di Milano, Electa, Milano, 2006, p. 280).
Sulla diversa grafia dei cognomi (Grasso/Grassi, Basso/Bazzo) non è lecito formalizzarsi poiché i nomi di famiglia erano indicati con una certa libertà. Altre discordanze, ad esempio Carlo Giuseppe per Antonio (Basso), possono indicare errori di trascrizione, oppure potrebbe trattarsi di membri della stessa famiglia, come nel caso di Bortolo Grasso che compare a Cusignana e non a Milano.
Non avendo ancora alcun riscontro oggettivo, potrebbe essere successo di tutto.
La coppia Basso-Grasso potrebbe essere costituita da milanesi e non da veneti, attivi a Milano negli anni Sessanta del XVII secolo per poi recarsi a Cusignana (essi stessi o membri della stessa famiglia) al seguito dell’Imbonati alla fine del secolo. Oppure, i due potrebbero essere veneti “in trasferta milanese”, successivamente tornati a casa portandosi dietro l’Imbonati conosciuto a Milano.
Sia stato quel che sia stato, preme sottolineare una questione incontrovertibile: gli intagli floreali dell’Imbonati sono ciò che di meno milanese e più veneto si possa immaginare. Questo fa riflettere sull’annosa questione del “genius loci” ossia se l’espressione di un artefice sia maggiormente debitrice della cultura d’origine oppure di quella acquisita. In questo caso sembrerebbe accreditarsi la seconda ipotesi.
Infine, una nota a margine: segnaliamo una famiglia abbastanza omogenea di cassettoni intagliati, più volte presentati come bergamaschi o bresciani [Figura 4] per i quali ancora non è stato ancora definitivamente chiarito se siano da considerare o meno veneti in senso stretto (poiché in senso lato anche Bergamo e Brescia erano all’epoca province venete).
Figura 4. Cassettone, fine del XVII secolo, Semenzato maggio 2001 n. 1115.
L’autore ringrazia vivamente Pietro Zanatta e Luigi Pivetta per essersi prodigati nel fornire notizie e immagini.
Rispetto alla prima pubblicazione (10.8.2009) è stata sostituita la Figura 3 con un’immagine a colori (inserendo i crediti fotografici a questa e alla Figura 2). Inoltre è stato modificato l’ultimo paragrafo in cui si attribuivano senza riserve al Veneto alcuni mobili intagliati classificati sul mercato come bergamaschi o bresciani. La questione merita di essere ulteriormente approfondita [9.10.2020 ndr].
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, 10 agosto 2009
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