Eccezionale placchetta al Museo Bagatti Valsecchi di Milano
di Attilio Troncavini
Si può dire che la placchetta conservata presso il Museo Bagatti Valsecchi [Figura 1] sia da considerare rara, non essendo nota attraverso altri esemplari.
Figura 1. Placchetta raffigurante Cristo con simboli della Passione e dell’Eucarestia, collocato all’interno di un’architettura classica, rame cesellato con tracce di doratura, cm. 22,5 x 14,3, Veneto, fine XV, prima decade del XVI secolo, Milano, Museo Bagatti Valsecchi, Inv. n. 807; XII (Camera Rossa).
Questo potrebbe significare una fusione a cera persa e non da una matrice adatta alla produzione in serie. La qualità è comunque fuori dal comune, sia per il modellato della figura, sia per l’idea originale di collocare il calice in posizione esterna, avanzata rispetto alla scena principale. Insolita è anche la resa del getto di sangue mediante un cavetto applicato successivamente alla fusione. Ancora più curiosa è la circostanza che il retro mostra la stessa immagine speculare a rilievo, anche se assai meno rifinita. Sebbene la placchetta sia in rame, nel prosieguo della trattazione parleremo sempre di bronzo, poiché è il materiale con il quale si identificano normalmente le placchette. Si tenga conto che il bronzo è costituito da un’altissima percentuale di rame (talvolta fino al 95 %).
Iconografia
Dal punto di vista iconografico siamo in presenza di un Cristo che emerge dal Sepolcro, attorniato dal calice e dagli strumenti della Passione. La presenza del calice e il gesto di portare la mano destra al costato ferito lega probabilmente la placchetta al culto del S.S. Sangue e quindi all’ambito di qualche Confraternita a esso dedita. Questa specifica iconografia del Cristo che mostra la ferita sul costato non è affatto comune.
Relativamente più frequenti sono le immagini dove compaiono gli strumenti della passione.
Per restare nell’ambito dei rilievi in bronzo, possiamo citare una placchette di scuola veneziana, databile alla fine del XV secolo e già appartenente alla collezione Imbert, come la nostra in rame dorato. In essa compare, “entro anconetta a colonne scanalate reggenti un timpano animato dal busto del padre Eterno”, il Cristo coronato di spine, sorgente dal Sepolcro e appoggiato alla Croce da cui pendono due flagelli. Il Cristo, la cui ferita al costato è ben visibile, allarga entrambe le braccia a palme aperte mostrando le stigmate [Figura 2].
Figura 2. Placchetta raffigurante Cristo con simboli della Passione (E.Imbert-G.Morazzoni, Le placchette italiane. Secolo XV-XIX, Alfieri, Milano 1941, tav. VII n. 1).
E’ invece di ambito lombardo – pubblicata con qualche dubbio come scuola pavese e datata in epoca non anteriore al primo quarto del Cinquecento – una placchetta in bronzo con il Cristo emergente dal Sepolcro sorretto dalla Madonna e da Giovanni (in realtà dal solo Giovanni sul quale si accascia), con alle spalle una Croce ai cui bracci sono appese due flagelli [Figura 3].
Figura 3. Placchetta raffigurante Cristo sorretto dai Dolenti con simboli della Passione, Lombardia (ambito pavese?), inizi XVI secolo (Francesco Rossi, in: Di Lorenzo-Frangi, a cura di, La raccolta di Mario Scaglia. Dipinti, sculture, medaglie e placchette da Pisanello al Ceruti, Silvana, Cinisello B. [Mi] 2007, p. 74-75).
Il tema del Cristo “sorretto” è particolarmente caro al Moderno, autore della più nota trasposizione di questo soggetto in forma di placchetta, di cui si hanno numerosissime versioni databili oltre il primo quarto del Cinquecento, dove però non compare alcun strumento della Passione. La posizione delle braccia del Cristo nella nostra placchetta aveva fatto addirittura pensare, in un primo momento, che essa derivasse dall’adattamento di uno dei tanti modelli di Cristo sorretto di cui le placchette del Moderno costituiscono un esempio.
Se anche in pittura e scultura l’iconografia del Cristo sorretto è abbastanza frequente, così come quella del Cristo circondato dagli strumenti della Passione in chiave devozionale, non si può dire altrettanto, come già anticipato, del Cristo che espone la ferita al costato, tratto saliente placchetta del Bagatti Valsecchi di cui ci stiamo occupando.
Troviamo un riscontro abbastanza preciso nell’opera del pittore Hans Memling e ci riferiamo, in particolare, a una rappresentazione di Maria che sorregge il Cristo (1475) che si trova a Granada nella Cappella Real [Figura 4].
Figura 4. Hans Memling, Maria che sorregge il Cristo (1475), Granada, Cappella Reale (Giorgio T. Faggin, L’opera completa di Memling, Rizzoli, Classici dell’arte n..27, Milano 1969 p. 103 n. 48, Tav. XLI).
In questo caso il Cristo è morto, ma la posizione delle braccia è molto simile a quella della nostra placchetta e, alle spalle della coppia, sono ritratti personaggi e simboli direttamente collegabili alla Passione.
Datazione
Per quanto concerne l’epoca, la critica si è espressa nel senso di collocare la placchetta del Bagatti Valsecchi tra la fine del XV e gli inizi del XVI (nota 1), ipotesi con la quale concordiamo perfettamente.
Il Cristo è di stampo donatelliano, dal fisico tonico ma di corporatura snella, quindi anteriore alle rappresentazioni di un Cristo più muscoloso che caratterizzano la scultura dalla seconda decade del XVI secolo.
La datazione sarebbe confermata anche dall’ordine architettonico della cornice. La sua scelta è da collocare tra la fine del Quattrocento e il primo quarto del Cinquecento, non oltre, e ciò per il tipo di modanature utilizzate e per “la sovrapposizione semplice e incerta del timpano curvilineo sulla trabeazione” (nota 2).
Provenienza
Assai più complessa si presenta la questione della provenienza, fin’ora contesa tra Lombardia e Veneto. La placchetta è indubbiamente di gusto veneto, veneziano o padovano, ma per conciliare le due provenienze fin’ora autorevolmente proposte, quella veneta e quella lombarda, si sarebbe tentati di assegnarla a uno dei territori della Lombardia attuale, segnatamente Brescia e Mantova, nei quali era più forte l’influenza politica, culturale e artistica di Venezia o del suo entroterra.
Per quanto riguarda Brescia, dobbiamo notare che, all’epoca da noi considerata, è ancora fortemente radicato in quell’area un linguaggio artistico e architettonico di gusto gotico (nota 3), al quale la placchetta in discorso pare totalmente estranea.
Si potrebbe allora suggerire una provenienza mantovana.
Non solo Mantova ospita il Moderno e l’Antico, suo illustre predecessore, ma annovera la presenza di una delle più importanti Confraternite impegnate a promuovere la devozione al Preziosissimo Sangue, al cui ambito la nostra placchetta sarebbe potuta appartenere: quella fondata a Mantova nel 1459, alla quale viene affidata nel 1488 la cappella dell’Immacolata nella chiesa di Sant’Andrea.
Tuttavia, anche l’ipotesi mantovana appare plausibile, ma non pienamente convincente.
In ultima analisi, le placchette “lombarde”, ivi comprese quelle bresciane e mantovane, mostrano quasi sempre un segno corsivo e vernacolare che la nostra placchetta, nonostante il soggetto di chiara devozione popolare, non possiede. Pare quindi, sulla base di considerazioni prettamente stilistiche, che la provenienza venete sia da sostenere a tutti gli effetti, non solo per quanto riguarda l’originaria matrice culturale.
NOTE
[1] Marco Collareta in AAVV, Museo Bagatti Valsecchi, Vol. II, Electa 2004 p. 637.
[2] Tratto da una comunicazione del 7 settembre 2011 del prof. Arch. Massimo De Paoli dell’università di Brescia che ringrazio.
[3] Lucchesi Ragni-Gianfranceschi-Mondini, Il coro delle monache. Cori e corali, Skira, Milano 2003, p.19.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, luglio 2010
© Riproduzione riservata
Post Scriptum
Questo articolo è stato seguito da un articolo intitolato La placchetta del Bagatti Valsecchi: nuove ricerche iconografiche (settembre 2014) ) [Leggi] e da un successivo intitolato Ancora sulla placchetta del Bagatti Valsecchi (luglio 2016) [Leggi] che riprendevano la questione iconografica con qualche riflesso sulla provenienza della placchetta. Abbiamo scelto di riproporli in sequenza in Archivio (inserendo in ciascuno il link agli altri) senza tentare di accorparli.