Iconografia dell’Imago Pietatis
della Redazione di Antiqua
La “… raffigurazione del corpo morto di Cristo estrapolato da qualsiasi contesto narrativo” si forma in ambito bizantino con la definizione di Somma Umiliazione (άκρα ταπείνωσις), ma lo sviluppo più significativo si ha in Occidente dove si parla di Cristo in Pietà o Imago Pietatis [De Marchi 2013, p. 17 e ss.]
Questa iconografia diventa di particolare attualità nel corso del Quattrocento, quando si affermano alcuni movimenti spirituali che sostengono e predicano la necessità di vivere secondo l’esempio di Gesù (Sequela Christi). Tra questi movimenti il più noto è forse la cosiddetta Devotio moderna, nata grazie all’esperienza di Geert Groote, morto nel 1384, il cui manifesto spirituale era un testo noto come De Imitatione Christi, probabilmente attribuibile a Tommaso da Kempis.
Si sosteneva una religiosità intima e soggettiva, contrapposta alla pietà collettiva di stampo medievale, e uno dei capisaldi era costituito dalla meditazione sulla Passione e sull’Eucarestia.
Abbiamo riassunto in poche righe la premesse di una realtà molto complessa che ha generato non poca confusione anche e soprattutto da un punto di vista definitorio. Ed è ancora sulle varie definizioni e sulle relative corrispondenze figurative che cercheremo di mantenere viva l’attenzione.
Dichiariamo subito di voler optare per una definizione allargata di Cristo in Pietà.
Così lo definisce la Gallori: “Con Cristo in Pietà si intende una raffigurazione del Cristo morto che si erge dal sepolcro, talora affiancato da angeli o da Maria e Giovanni dolenti. Si tratta di un’immagine ingannevolmente semplice, che comprendeva però un numero infinito di varianti. Ad esempio, le braccia di Cristo potevano essere raffigurate incrociate davanti al corpo, a imitare il modo in cui i cadaveri venivano composti nel sepolcro, oppure aperte e spalancate, o nel gesto dell’ostensio vulnerum, ovvero con la mano destra sulla ferita del costato …” [Gallori 2011, pp. 20-21, nota 5] (nota 1).
Quindi, possiamo identificare varie ipotesi: il Cristo morto che si erge dal sepolcro da solo, oppure accompagnato da Maria, dai Dolenti (Maria e Giovanni), oppure da due o più angeli (Engelpietà nella dizione tedesca), con le braccia incrociate, oppure con le palme aperte.
Ma anche il Cristo vivo che mostra le ferite (Ostensio vulnerum), spesso circondato dagli strumenti della Passione (Arma Christi), dal cui costato sgorga il sangue che viene raccolto in un calice; il Cristo può anche apparire in piedi a figura intera appoggiandosi alla Croce.
Secondo un’impostazione più restrittiva, condivisa, ad esempio, dal già citato De Marchi, il quale si rifà al celebre iconografo Erwin Panovsky (nota 2), la definizione di Cristo in Pietà (Imago Pietatis) sarebbe da riferire solo all’immagine che si conserva nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma [Figura 1] e che si crede raffiguri l’apparizione di Cristo durante la cosiddetta Messa di San Gregorio (nota 3).
Da quest’immagine, attorno al 1500, è stata tratta una famosa incisione opera di Isrhael van Meckenen [Figura 2], alla base della quale compare la scritta che riporta il riferimento all’Imago Pietatis. La scritta recita: “HEC IMAGO CONTREFACTA EST AD INSTAR ET SIMILITUDINEM ILLIUS PRETIOSISSIME IMAGINIS PIETATIS CUSTODITE IN ECCLESIA SANCTE CRUCIS IN URBE ROMANA …” (Questa immagine è stata fatta al posto e a somiglianza di quella preziosissima immagine della Pietà custodita nella chiesa di Santa Croce nella città di Roma).
Figura 1. Ignoto artefice di cultura bizantina, Imago Pietatis, mosaico, Roma, chiesa di Santa Croce in Gerusalemme.
Figura 2. Isrhael van Meckenen, Imago Pietatis, incisione, 1500 circa.
Se quindi è questa l’unica immagine ritenuta degna di raffigurare il Cristo in Pietà,
secondo alcuni sarebbe più corretto il termine Lebender Schmerzensmann (Uomo dei Dolori vivente) per l’iconografia particolare con il Cristo a figura intera, piagato, ma vivo, così come sarebbe da preferire il termine Eucharisticher Schmerzensmann (Uomo dei Dolori eucaristico) per la raffigurazione del calice che raccoglie il sangue sgorgante dal costato [De Marchi 2013, p. 30 n. 4].
Queste definizioni si giustificherebbero anche per l’origine nordica di queste iconografie, collegandosi più direttamente ai precetti della Devotio Moderna che hanno la medesima origine.
Sarebbero quindi da evitare, per identificare lo stesso soggetto, espressioni come Uomo dei Dolori (Vir Dolorum), ispirata a un passo di Isaia (53.3) (Nota 4), oppure il termine di Cristo Passo invalso in area veneta.
Abbiamo espressamente voluto riassumere i termini di una questione squisitamente terminologica per tentare di mettere un po’ di ordine nelle varie definizioni e optare, come già accennato, per definizioni non restrittive capaci di adattarsi di volta in volta alla singola circostanza.
È curioso segnalare che proprio a Isrhael van Meckenen si deve una seconda incisione, spesso confusa con la prima, nella quale compare una rappresentazione “alla tedesca” della Messa di San Gregorio [Figura 3]. Da questa deriva non solo un dipinto attribuito allo stesso autore che si conserva al Museo Nazionale di Varsavia [Figura 4], ma innumerevoli versioni dello stesso soggetto in cui il Cristo compare a san Gregorio Magno sull’altare circondato dagli strumenti della Passione.
Figura 3. Isrhael van Meckenen, Messa di san Gregorio, incisione, 1500 circa.
Figura 4. Isrhael van Meckenen, Messa di san Gregorio, olio su tela, 1515, Varsavia, Museo Nazionale.
Torniamo al mosaico di Santa Croce in Gerusalemme e alla prima incisione di van Meckenen, in quanto, sebbene non vi compaiano angeli, si potrebbe trovare una possibile spiegazione alla loro presenza accanto al Cristo in Pietà.
Da più parti si sostiene che il soggetto di Cristo morto con angeli si diffonde a partire dal prototipo di Donatello dell’altare del Santo a Padova [Figura 5], ma sono le ragioni teologiche ad interessarci maggiormente.
Figura 5. Donatello, Imago Pietatis, bassorilievo in bronzo, Padova, tomba del Santo.
Sulla Croce alle spalle del Cristo nell’icona di Santa Croce in Gerusalemme, compare la scritta O BASILEUS TES DOXES, il Re della Gloria (vedi ancora la Figura 1, anche se nell’incisione Isrhrael von Meckenem ne fa una trascrizione priva di significato).
Il concetto di Re della Gloria compare nelle scritture e in particolare nel Salmo 24, ma a noi interessa in quanto viene ripreso nell’Omelia dell’Ascensione di Gregorio di Nissa, un testo sicuramente letto e diffuso nel Quattrocento (nota 5)
Nell’omelia il Nisseno descrive il momento in cui Cristo sale al cielo coperto ancora dei segni della Passione, talmente sfigurato che gli angeli non lo riconoscono e non lo vogliono lasciare entrare.
E’ solo dopo la recita dei versetti del Salmo 24 (nota 6), quando alla domanda chi sia quell’uomo sfigurato viene risposto“il Re degli eserciti è il Re della Gloria”, gli angeli cedono e lo lasciano passare” [Bona Castellotti 2012 p. 3 e Bona Castellotti 2012b].
Questo riferimento “letterario” è stato utilizzato per spiegare un’eventuale relazione tra il testo di Gregorio di Nissa e l’iconografia dell’Imago Pietatis, nella forma più semplice tramandata dal mosaico di Santa Croce in Gerusalemme, ma ciò potrebbe riguardare anche le varie raffigurazioni del Cristo in Pietà con angeli, dove questi ultimi potrebbero essere rappresentati nel momento in cui, riconosciuto il Cristo, danno sfogo a tutto il loro dolore.
NOTE
[1] Il lavoro della Gallori è stato già citato nell’articolo La placchetta del Bagatti Valsecchi: nuove ricerche iconografiche (settembre 2014)[Leggi]; “Anche altri motivi, nella stessa narrazione della Passione di Cristo, come lo svenimento della Vergine, l’abbraccio stretto al corpo esanime del figlio, il pianto degli angeli, e via dicendo, hanno un’origine bizantina, ma vennero interpretati e caricati di un afflato più autentico e di sfumature più ricche nella pittura occidentale, secondo una migrazione di immagini che vide esautorarsi la fortuna di questi stessi temi nell’alveo bizantino da cui derivavano, per fruttificare altrove” [De Marchi 2013, p. 17 e ss.] [2] Erwin Panofsky, Imago Pietatis, Lipsia 1927, ed. it. 1998 p. 262-308.
[3]
L’evento miracolo noto come Messa di San Gregorio affonda nella tradizione per non dire nella leggenda. Durante una messa, di fronte all’incredulità di molti fedeli, a papa Gregorio I sarebbe apparsa un’immagine del Cristo circondato dai simboli della Passione.
A san Gregorio si collega un altro miracolo eucaristico, che spesso si sovrappone al primo, avvenuto a Roma nella chiesa di San Pietro nel 595: una nobildonna che aveva confezionato, come d’uso al tempo, le ostie per la messa era incredula del fatto che potessero trasformarsi nel corpo di Cristo, cosa che avvenne materialmente sotto gli occhi di tutti. Questo secondo miracolo è narrato, tra gli altri, da Paolo Diacono nel 787 in Vita Beati Gregorii Papae e la reliquia si trova a Andechs in Germania, presso il locale monastero benedettino.
Non vi è accordo nemmeno sull’origine dell’icona in questione, secondo alcuni si tratta di un manufatto paleologo databile verso il 1300, giunto in Italia solo alla fine del XIV secolo [De Marchi 2013, p. 21], secondo altri un oggetto di manifattura pugliese o sinaitica, databile agli inizi del Trecento [Bona Castellotti 2012b].
[4]
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia
(Isaia 53.3).
[5] In Ascensionem Christi, J.P. Migne, PG 46, Parigi 1863 p. 690-694.
[6]
8.chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.
9.Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
10.Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
(Salmo 24, testo CEI 2008).
Bibliografia
-Corinna Tania Gallori, Il monogramma dei nomi di Gesù e Maria. Storia di uniconografia tra scrittura e immagine, Gilgamesh, Asola, Mn, 2011 [Gallori 2011].
-Marco Bona Castellotti, in AAVV, Gli Angeli della Pietà. Intorno a Giovanni Bellini, catalogo mostra Rimini 2012, Allemandi 2012, p. 11-16 [Bona Castellotti 2012a]
-Marco Bona Castellotti, La storia dell’Imago Pietatis, Sole 24 ore 9.12.2012 [Bona Castellotti 2012 b]
-Andrea De Marchi, Im Laufe der Zeit: la “Pietà” di Giovanni Bellini, in AAVV, Giovanni Bellini dallicona alla storia (catalogo mostra Poldi Pezzolo, Milano 2012-13), Allemandi, Torino 2013, pp. 17-31 [De Marchi 2013].
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, aprile 2017
© Riproduzione riservata