Iconografia di Tomiri e possibili fraintendimenti

della Redazione di Antiqua (*)

Nel sesto secolo a.C., in una regione dell’Asia Centrale a est del mar Caspio, vivevano i Massageti, un popolo iranico di stirpe sciita e Tomiri era la loro regina.
Si narra – la fonte principale è Erodoto (Storie, Libro I, pag. 204 e ss.) – che Ciro il Grande avesse invaso il territorio dei Massageti dopo aver chiesto invano la mano di Tomiri. Sconfitto una prima volta, Ciro attrae una parte dell’esercito sciita in un tranello e la distrugge, provocando la morte per suicidio di Spargapise, figlio di Tomiri. La regina promettendo vendetta, sfida Ciro in campo aperto e lo sconfigge definitivamente. Lo stesso Ciro muore nella battaglia e Tomiri ne fa immergere la testa decollata in un otre pieno di sangue umano.
La vicenda è stata ripresa da diversi altri autori con qualche variante (Strabone, Pompeo Trogo, Polieno, Cassiodoro, Giordane) e lo stesso Dante la cita – chiamandola Tamiri – nel Purgatorio (Canto XII, 55: “sangue sitisti, ed io di sangue t’empio”) per esemplificare la punizione della superbia di Ciro.
Sebbene molti artisti l’abbiano rappresentata, la vicenda di Tomiri è assai meno nota rispetto a quella di altre “decollatrici”, quali Giuditta oppure Salomè/Erodiade, soggetti di dipinti ancor più numerosi.
La storia di Giuditta è contenuta nel libro omonimo che appartiene ai libri deuterocanonici della Bibbia, riconosciuti solo da cattolici e ortodossi, giudicati apocrifi dai protestanti e non accolti nella Bibbia ebraica. Giuditta, una vedova ricca, bella e virtuosa di Betulia in Giudea, si reca presso il generale babilonese Oloferne che cinge d’assedio la sua città; Giuditta si fa ricevere nella tenda di Oloferne, accompagnata da una serva, fingendo di voler tradire la sua gente e di assecondare i suoi desideri, ma al momento opportuno taglia la testa al generale con la sua spada.
L’iconografia di Giuditta la mostra nell’atto di tagliare la testa a Oloferne oppure di riporre la testa in un sacco per portarlo come prova agli abitanti di Betulia che la accolgono con grandi onori.
Qui la vediamo in un dipinto di Giuseppe Vermiglio che si trova alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano [Figura 1].

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Figura 1. Giuseppe Vermiglio (1587-post 1635), Giuditta e Oloferne, olio su tela cm. 103 x 136, Milano, Pinacoteca Ambrosiana, Inv. n. 672.

Sebbene nella storia di Tomiri si parli di un otre, molto più simile a un sacco che a un recipiente metallico (come vedremo tra poco) e nonostante l’elaborata acconciatura e l’abito elegante (Giuditta era per altro una persona ricca e si era adeguatamente addobbata per sedurre Oloferne), la presenza della vecchia serva non pone dubbi circa il riconoscimento di Giuditta nella figura femminile qui rappresentata.
Nessun dubbio tra Tomiri e Giuditta quando si vede una donna nell’atto di tagliare la testa: è sempre Giuditta, sia perché la scena è in genere ambientata in una tenda e non in un campo di battaglia, sia perché Tomiri non esegue direttamente la decollazione (tanto meno lo fanno Salomè ed Erodiade come vedremo tra breve).
Tomiri è facilmente riconoscibile quando appare in abiti regali, su un terreno di guerra e circondata dal proprio seguito, nell’atto di riporre una testa decollata in un sacco-otre, come del disegno di Alexander Zick, pittore e illustratore tedesco [Figura 2] e ancor più quando in questo contesto appare un recipiente all’interno del quale si vede il sangue nel quale la testa di Ciro è in procinto di essere immersa, come nel dipinto di Rubens [Figura 3].

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Figura 2. Alexander Zick (1845 Koblenz – 10 November 1907 Berlin), Tomiri immerge la testa di Ciro in un otre piena di sangue, disegno, ubicazione ignota.

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Figura 3. Pieter Paul Rubens, La testa di Ciro portata alla regina Tomiri (1622-23), olio su tela cm. 205 x 361, Boston, Museum of Fine Art, inv. 41.40.

Mentre l’illustrazione di Zick, che è un artista moderno, si sforza di rappresentare fedelmente l’evento sul piano storico, Rubens si esprime secondo l’estetica barocca inserendo la scena in un ambiente sontuoso dove i personaggi sono abbigliati con i costumi dell’epoca del pittore e l’otre-sacco viene sostituito da un contenitore metallico lavorato artisticamente.
Solo quando, assai più raramente, Tomiri viene rappresentata con poche altre persone in scena e con abiti normali, si può creare qualche possibilità di confusione con le altrettanto rare raffigurazioni di Giuditta tornata a casa mentre mostra agli Ebrei la testa del nemico.
Più complessa si può presentare la corretta identificazione del soggetto quando è in gioco la possibilità che si tratti di Salomè o di Erodiade con la testa di san Giovanni Battista.
Come è notò, Erodiade chiede alla figlia Salomè di sedurre con la danza il re Erode e di ottenere come premio la testa del Battista del quale Erodiade era gelosa per l’influenza esercitata dal santo sul sovrano.
Alcune raffigurazioni di Tomiri, infatti, la mostrano in compagnia di due o più personaggi e accanto a loro compare un recipiente concavo contenente una testa. Si veda ad esempio la versione della vicenda di Tomiri fornita dal pittore Antonio Zanchi [Figura 4] e quella di Giusppe Montalto [Figura 5].

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Figura 4. Antonio Zanchi, Tomiri e la testa di Ciro (1660-67), Venezia, Collezione R. Ceschina (foto Alinari, Fondazione Zeri, scheda 56178).

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Figura 5. Giuseppe Montalto, Tomiri fa immergere nel sangue la testa di Ciro (1661-64 circa), Novara, Palazzo Civico, già palazzo Cabrino (AAVV, Giovanni Stefano e Giuseppe Montalto. Due pittori trevigliesi nella Lombardia barocca, Scalpendi, Milano 2015, ill. 49 p. 134).

Entrambe queste versioni possono ingenerare il dubbio che, anziché Tomiri, si tratti della scena in cui uno sgherro di Erode presenta a Salomè o a Erodiade la testa del Battista, sebbene, tradizionalmente, la testa del santo venga esibita su un piatto.
Vale però anche viceversa, ossia che la presentazione della testa del Battista venga presa per l’immersione del capo di Ciro, soprattutto quando, al posto del più classico piatto di cui si è appena detto, la testa sta per essere posta in un recipiente concavo.
Si vedano, ad esempio, le versioni del san Giovanni Battista decollato di Andrea Solario [Figura 6] e quella di Bernardino Luini, dove, accanto a una Salomé tutt’altro che contrita, appare una vecchia (presumibilmente Erodiade), la quale ricorda molto da vicino la vecchia serva di Giuditta [Figura 7].

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Figura 6. Andrea Solario, Salomè con la testa del Battista (1520-24), olio su tavola cm. 59 x 58, Vienna, Kunsthistorisches.

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Figura 7. Bernardino Luini, Salomè con la testa del Battista (1527 circa), olio su tavola cm. 51 x 58, Firenze, Uffizi.

(*) Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Antiqua nel gennaio 2016 a firma Fausto Riva (nome di fantasia).

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