Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori
Mostra a cura di Wes Anderason e Juman Malouf
Milano, Fondazione Prada, Largo Isarco 2
20 settembre 2019 – 13 gennaio 2020
Nonostante sia piazzato in una vetrina (n. 25) al centro dello stanzone dove si svolge la mostra, il sarcofago di toporagno (spitzmaus, da cui il titolo) non si vede.
O almeno io ho rischiato di non vederlo, se non avessi chiesto ai custodi, tanto ero piacevolmente frastornato da una mostra a mio modesto giudizio imperdibile.
Confesso che non conoscevo Wes Anderson, regista e sceneggiatore americano – che poi ho scoperto essere, tra l’altro, l’autore del film Grand Budapest Hotel (2014) – e nemmeno sua moglie Juman Malouf, illustratrice nata a Beirut [Figura 1].
Figure 1. Wes Anderson e Juman Malouf davanti al sarcofago di toporagno, Egitto, IV sec. a.C. circa, KHM Egyptian and Near Eastern, inv. ÄS 10068 (foto Rafeal Proell).
Giustamente il loro nome è stato inserito nel titolo della mostra perché il loro lavoro è molto più di una “semplice” curatela; un lavoro da far tremare i polsi per due persone abbastanza giovani, Wes è appena cinquantenne e Jouman è del 1975.
Lo confermano loro stesso scrivendo nell’introduzione che pensavano fosse facile, ma si sbagliavano entrambe (“We thought in particular it would be easy […] Of course we were wrong”).
Si è trattato di costruire una mostra scegliendo un insieme di pezzi – tutti provenienti dal Kunsthistorisches Museum, in breve KHM, di Vienna – con il dichiarato proposito di influenzare lo studio della storia dell’arte e delle antichità in modo sottile, superficiale eppure visibile per le generazioni future, grazie alle scelte insolite relative alla collocazione e alla suddivisione degli oggetti. Questa frase è tratta dal primo tabellone che si incontra all’ingesso della mostra e traduce il pensiero della coppia che però vorrei riportare nella versione originale: “… we do harbor the humble aspiration that the inconventional groupings and arrangement of the works on display may influence the study of art and antiquity in minor, even trivial, but nevertheless DETECTABLE ways for many future generations to come”.
Troviamo oggetti di valore accanto ad altri d’uso comune di epoche e provenienze diversissime, accostati con un criterio non sempre facilmente comprensibile, ma proprio per questo di grande suggestione; sono gli stessi curatori a dichiarare che alcuni collegamenti sono più espliciti di altri (“Some of the links are more immediately apparent than others”) [Figure 2, 3 e 4].
Figura 2. Figura in ceramica smaltata, Cina XIX sec., KHM Weltmuseum East Asia, inv. 46562.
Figura 3. Granchio in ceramica, Giappone, Edo1600, KHM Weltmuseum East Asia, inv. 2799; granchio in bronzo, Padova XVI sec., KHM Kunstkammer, inv. KK5926.
Figura 4. Una vetrina.
Il risultato è a mio avviso sorprendente e lo scopo pienamente raggiunto: far dialogare gli oggetti in forme non convenzionali per suscitare curiosità e quindi interesse secondo un modo nuovo di “fare museo” che mira comunque a un maggior coinvolgimento del pubblico.
A questo coinvolgimento contribuisce un delizioso opuscolo distribuito all’ingresso in cui sono riportate, purtroppo in miniatura, le silhouette di tutti gli oggetti in mostra, corredate da brevissime didascalie. Si scatena quindi una divertente caccia all’oggetto partendo dall’opuscolo oppure, muovendo da quanto esposto nelle vetrine o sulle pareti, si cerca la corrispondenza sull’opuscolo, mettendo a dura prova, in entrambe i casi, la vista di miopi e presbiti.
A.B.