La Flagellazione del Moderno e Michelangelo

di Attilio Troncavini (*)

Questo scritto costituisce un modesto contributo all’approfondimento di una delle placchette più famose del Rinascimento, ossia la Flagellazione del Moderno eseguita in molteplici esemplari conservati in numerose collezioni pubbliche e private e corredata da un’ampia ed esaustiva letteratura [Figura 1].

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Figura 1. Moderno, Flagellazione, bronzo, post 1506, Berlino, Museo Bode.

Al centro della scena vediamo Cristo legato a una colonna che si contorce sotto i colpi di diversi flagellatori mentre altre persone assistono. La colonna si appoggia a un porticato ad archi, uno dei quali, quello di destra, è spezzato.
Un esemplare della placchetta, in argento parzialmente dorato e firmato OP.MODERNI, si trova al Kunsthistorische Museum di Vienna ed è considerato una sorta di protipo da cui sarebbero derivate le numerose versioni in bronzo, alcune delle quali di epoca più tarda (nota 1).
Il rilievo di Vienna faceva parte della collezione del cardinale Domenico Grimani insieme a quello raffigurante la Madonna in trono con santi, anch’esso in argento dorato e conservato nello stesso museo, al quale dedicheremo prossimamente uno specifico contributo.
Per quanto riguarda la Flagellazione, i diversi autori che se ne sono occupati si sono prodigati al fine di identificare le fonti iconografiche delle varie figure rappresentate, anche al fine di formulare delle ipotesi circa la corretta datazione della placchette.
Con riguardo alla figura del Cristo, tutti concordano che essa derivi dal Laocoonte rinvenuto a Roma sull’Esquilino nel 1506, assunta concordemente come data post quem [Figura 2].

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Figura 2. Laocoonte, gruppo marmoreo, Città del Vaticano, Museo Pio-Clementino.

Ci si vuole qui concentrare su un aspetto specifico: la figura del Cristo e gli eventuali, ipotetici rapporti del Moderno con Michelangelo.
Il Cristo raffigurato dal Moderno ha il braccio destro più o meno nella stessa posizione che possiamo riscontrare nel Laocoonte, così come lo vediamo oggi [Figura A e B], ma quel braccio non c’era nel momento in cui la scultura è stata riportata alla luce, essendo stato ritrovato dall’archeologo tedesco Ludwig Pollak nel 1906. E’ stato poi reintegrato da Filippo Magi tra il 1957 ed il 1960 in sostituzione dei vari rifacimenti che si sono succeduti in precedenza, come vedremo subito.

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Figura A

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Figura B

Una fotografia di inizio secolo [Figura 3] mostra com’era il Laocoonte prima del ritrovamento del braccio mancante e come doveva essere apparsa all’atto nel ritrovamento nel 1506 (nota 2).

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Figura 3. Immagine tratta dal volume Grundriss der Kunstgeschichte, di Wilhelm Lübke e Max Semrau, 1903.

Nel 1520 lo scultore fiorentino Baccio Bandinelli esegue una copia del gruppo che oggi si trova a Firenze agli Uffizi, pare dopo aver eseguito alcuni restauri dell’originale [Figura 4].
Dopo lunghe discussioni, nel 1532, spetta a Giovanni Angelo Montorsoli il compito di ricreare il braccio mancante, optando per un braccio teso verso l’alto, che esegue in terracotta. Tra il 1725 e il 1727, Agostino Cornacchini esegue un restauro del gruppo scultoreo che versava in condizioni di degrado, sostituendo il braccio di terracotta del Laocoonte e quello in marmo del figlio con altri dall’identica posa [Figura 5].

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Figura 4. Baccio Bandinelli, Laocoonte, copia in marmo, 1520, Firenze, Museo degli Uffizi.

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Figura 5. Il Laocoonte dopo il restauro del Cornacchini.

Tornando alla placchetta della Flagellazione, alcuni studiosi sostengono che la conoscenza da parte del Moderno del gruppo marmoreo non fosse di prima mano, bensì mediata da alcune incisioni, raffiguranti il Laocoonte come quella di Giovanni Antonio da Brescia che risale al 1509 circa [Figura 6], oppure quella di Marco Dente del 1521 circa [Figura 6bis, nota 3].

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Figura 6. Giovanni Antonio da Brescia, Laocoonte, incisione, 1509 ca., Londra, British Museum.

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Figura 6 bis.Marco Dente, Laocoonte, incisione, 1521 ca.

Attorno al 1509 Giovanni Antonio da Brescia esegue anche un’incisione raffigurante una Flagellazione in cui compare uno sfondo architettonico simile a quello adottato dal Moderno per la sua Flagellazione, al punto da far ritenere ad alcuni studiosi che la fonte della placchetta sia proprio da ricercare in queste incisioni (nota 4).
Altri studiosi ritengono invece che siano le incisioni di Giovanni Antonio a Brescia a derivare dalla placchetta, sostenendo che l’esecuzione della placchetta sia quindi da collocare tra il 1506, ritrovamento del Laocoonte, e il 1509, presunta data delle incisioni (nota 5).
Tuttavia, se Giovanni Antonio o Marco Dente avessero avuto davanti la placchetta del Moderno, perché Laocoonte viene raffigurato da entrambi senza braccio?
Può essere invece che il Moderno sia sia fatto influenzare dallo sfondo architettonico che compare nell’incisione, collocando l’esecuzione della placchetta post 1509, ma può anche darsi che sia lui sia Giovanni Antonio abbiano preso spunto da un fonte comune.
In ogni caso, pensiamo che la figura del Cristo, con riferimento alla posizione del braccio, costituisca un’elaborazione del Moderno, sganciata da modelli incisi.
Qui entrerebbe in gioco Michelangelo.
E’ noto come Michelangelo sia stato uno dei primi ad accorrere al ritrovamento del gruppo marmoreo del Laocoonte e che abbia attivamente partecipato al dibattito suscitato dalla scoperta.
Pare inoltre che Michelangelo avesse immaginato il braccio destro di Laocoonte nella posizione che poi si è rivelata quella corretta.
Se riflettiamo, la Flagellazione del Moderno appare come la più antica trasposizione di quest’intuizione, al punto da pensare che il Moderno, la cui presenza è accertata a Roma in quegli anni, possa averne fatto tesoro, magari dopo averne discusso direttamente con Michelangelo, il quale potrebbe addirittura avergli “consegnato” la sua idea.
Contro quest’ultima suggestiva eventualità gioca il fatto che il Montorsoli, autore della versione con il braccio teso, era stato allievo e collaboratore di Michelangelo.

* Questo articolo è stato pubblicato su Antiqua.mi nell’ottobre 2018 siglato A.B.

NOTE

[1] Come prova della derivazione delle versioni in bronzo, dorato e non, da quella in argento, si reca la circostanza che le prime sono di dimensioni leggermente minori; pare faccia eccezione la placchetta in bronzo dorato del Museo Bardini di Firenze che presenta le stesse dimensioni di quella viennese (Vannel Fiorenza-Toderi Goiseppe, Medaglie e Placchette del Museo Bardini di Firenze, Polistampa, Firenze 1998, n. 188 p. 155). Sono note alcune versioni con il fondo sottostante gli archi traforato; si ritengono di epoca posteriore al Moderno le placchette con la variante dell’arco di destra ripristinato (Cannata Pietro, Rilievi e placchette dal XV al XVIII secolo, catalogo mostra, De Luca, Roma, n. 26 p. 50).

[2] Sul Laocoonte e in particolare sul suo restauro, si rimanda per testo e immagini alla voce di Wikipedia (Leggi).

[3] Sulla datazione delle incisioni i pareri non sono unanimi. Vi è chi data quella del Laocoonte di Giovanni Antonio da Brescia al 1506-1508 e chi data quella di Marco Dente al 1515-1517.

[4] La questione delle fonti relative agli altri personaggi raffigurati nella placchetta e allo sfondo sarà oggetto di un prossimo articolo.

[5] E’ quanto sottoscrivono Vannel-Toderi nel 1998 (op. cit.), riprendendo anche altri autori, in una scheda ben argomentata a proposito dell’esemplare conservato a Firenze nel Museo Bardini.