Claudio Cagliero, La formazione giovanile di Pietro Piffetti, Regio Ebanista alla corte dei Savoia, 216 pagine formato 22 x 18, Hever, Ivrea (To) 2020, euro 35,00.

Avevamo già recensito molto positivamente un precedente lavoro di Claudio Cagliero del 2016 intitolato Un capolavoro di alta ebanisteria nelle Valli di Lanzo e segnalato “sulla fiducia” questa nuova fatica sulla home page di Antiqua nel dicembre scorso, ma dopo aver completato la lettura del testo, si aggiungono nuovi motivi di encomio.
Cagliero ha la fortuna di essere uno studioso che non disdegna le ricerche d’archivio – anzi molte delle scoperte disseminate nel volume sono il frutto di questo paziente e talvolta ingrato lavoro – e, allo stesso tempo, un restauratore e quindi un profondo conoscitore delle tecniche di ebanisteria. Non si tratta però di un volonteroso artigiano prestato allo studio, bensì di un ricercatore a tutto tondo come ce ne sono pochi, qualifica a cui contribuisce una laurea in architettura e l’attività di esperto consulente in materia di arredi lignei antichi.
Le sue conoscenze tecniche gli consentono non solo di supportare alcune conclusioni, ma di confutare, sempre in modo assai garbato, quelle di altri studiosi, alcuni molto celebrati, che di queste conoscenze non dispongono.
Il volume è incentrato sulla formazione di Pietro Piffetti (Torino 1701-1777), tra i più importanti artefici del legno, uno dei pochi universalmente noto, che avviene a Roma in un momento storico in cui la Città eterna richiama artisti da tutto il mondo.
Finalmente, perché la notizia era attesa da tutti gli studiosi, è stato possibile fare luce su quello che è stato il maestro di Piffetti a Roma.
Diversamente da un poliziesco la cui lettura perde di interesse se si conosce in anticipo l’assassino, il libro di Cagliero si leggerebbe volentieri anche se venisse svelato il nome del misterioso maestro di cui si parla. Rispettiamo tuttavia la consegna del riserbo e non anticipiamo nulla.
Lo scoprirete solo leggendo.
Il testo procede con un ritmo incalzante scandito dalla citazione di numerosi documenti, dal resoconto delle opinioni di vari studiosi, da questioni poste come ipotesi di lavoro, poi puntualmente risolte, seguendo Piffetti nei suoi esordi torinesi, nella sua (breve) trasferta a Roma e di nuovo nella capitale sabauda.
Aggiungiamo che la scoperta del maestro non è l’unico “colpo di scena” e che la ricostruzione dell’ambiente artistico romano attorno alla fine terzo decennio del Settecento è molto efficace.

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