La produzione di manufatti in bronzo e l’arte della guerra

della Redazione di Antiqua (*)

Esiste un rapporto tra produzione di cannoni, campane, bronzetti, placchette e altri manufatti in bronzo? Come mai la realizzazione di placchette in bronzo si concentra in Germania, Fiandre e Italia?
Alcune di queste domande hanno trovato risposta nella lettura estiva di un volumetto dello storico divulgatore Carlo Maria Cipolla dal titolo “Vele e cannoni” (Il Mulino, Bologna 1983).
A proposito della prima questione, dice Cipolla: “Il bronzo […] è più facile da fondere e in tutta Europa vi erano artigiani che conoscevano bene il procedimento per via dell’antica e diffusa richiesta di campane [Figura 1].

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Figura 1. Campana proveniente dalla chiesa della Madonna del Castello di San Lorenzo in Collina di Bologna, ora di proprietà della Cassa di Risparmio di Imola, fusa nel 1314 dal maestro Toscolo.

E’ un’ironia della storia che una tecnica perfezionata per la fabbricazione di oggetti essenzialmente gentili finisse per favorire lo sviluppo di armi mortali” (Cipolla, op. cit. p. 12). La produzione di campane e antichissima e precede quindi, in ordine di tempo, quella di cannoni (che inizia a svilupparsi durante il XIV secolo) [Figura 2].

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Figura 2. Uno dei quattro cannoni, due dei quali recanti l’effige di Santa Caterina e di Vincenzo I Giustiniani, realizzati da Luigi Rocca nel 1747 (Renato G. Ridella, Un cannone con l’effigie di Vincenzo I Giustiniani, Marchese di Bassano [Romano], nelle dotazioni d’artiglieria della Repubblica di GenovaLeggi ).

Purtroppo la storia ha più volte intersecato le vicende di cannoni e campane, sempre a discapito di queste ultime. Durante la Rivoluzione francese, ad esempio, numerose campane, comprese le dodici di Notre Dame, furono rifuse. In Italia, durante la seconda guerra mondiale, diverse migliaia di campane furono confiscate per riutilizzare il metallo a scopi bellici (G. Merlatti, di bronzo e di cielo, Ancora, Milano 2009, p. 146).
Gli artefici che fabbricavano cannoni e campane erano spesso gli stessi perché sfruttavano una tecnologia del tutto simile. Ciò parrebbe confermato da alcuni casi concreti come la storia dei Rocca, famiglia di tecnici-imprenditori liguri attiva nella produzione sia di bocche da fuoco in bronzo, sia di campane, dalla seconda metà del Seicento.
E’ assai probabile che gli stessi artefici fossero dediti anche alla produzione di mortai, qui da non intendersi più nell’accezione di bocche da fuoco, bensì in quella di recipienti in bronzo destinati alla frantumazione di varie sostanze [Figura 3].

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Figura 3. Mortaio realizzato a Padova nel 1803, presumibilmente da Domenico Canciano, recante la scritta “CANCIANI VENETUS FUSORIS OPUS”, conservato a Roma presso il Nobile Collegio Chimico Farmaceutico.

Si può citare in proposito Bartolomeo Pisenti, attivo a Verona nel Seicento, i De Maria, fonditori di campane originari della Valdobbiadene, documentati a Vicenza nel Sei e Settecento, Innocenzo Maggi, attivo a Brescia nel Settecento e la famiglia Canciano, attiva in Veneto tra Settecento e Ottocento.
Vi sono poi i cosiddetti bronzetti, costituiti da raffigurazioni antropomorfe o zoomorfe, talvolta oggetti d’uso comune come alari, candelieri, calamai, battacchi, ecc., un fenomeno tipicamente italiano che ha il suo apice tra Quattro e Cinquecento. Si ritiene che essi fossero eseguiti da specialisti oppure da artefici legati alle botteghe dei maggiori scultori in bronzo. E’ raro, per contro, che questi ultimi si dedicassero alla fusione di campane. Un’eccezione sarebbe rappresentata da una campana attribuita al Verrocchio: la cosiddetta Piagnona, legata alla cattura di Gerolamo Savonarola e ora al museo San Marco di Firenze (Merlatti, op. cit. p. 124).
Per quanto riguarda altri tipi di manufatti in bronzo, come le placchette devozionali, si pensa che, pur sfruttando una tecnica del tutto simile, esse fossero realizzate in gran parte da orafi, che avevano maggiore dimestichezza con le fusioni di ridotte dimensioni in oro e argento, così come dai costruttori di armi bianche. Anche qui, si registrano eccezioni come quella di Giuseppe Levi, celebre fonditore di campane veronese, il quale firma e data 1577 il rovescio di una placchetta in bronzo raffigurante una Deposizione, che si trova presso i musei civici di Ferrara.
Queste diverse categorie di artefici, nell’ambito della divisione dei rispettivi lavori che pure si prestava a numerosi scambi e sovrapposizioni di competenze, sfruttavano tutti lo stesso materiale: il bronzo, alla cui produzione erano necessarie materie prime di diversa provenienza: il rame (in genere in misura pari al 78%) da Ungheria, Tirolo, Sassonia e Boemia, lo stagno (22 %) da Inghilterra, Spagna e Germania (Cipolla, op. cit. p. 13). Tornando ai nostri cannoni in bronzo, indipendentemente dalla disponibilità di materia prima, la loro produzione nella prima metà del XVI secolo si concentrava per quantità e qualità in Germania, Paesi Bassi e Italia.
A parte l’Italia, la cui produzione di armi bastava appena a soddisfarne il fabbisogno, i cannoni fiamminghi e tedeschi erano in larga misura esportati in Inghilterra (che solo in un secondo momento si specializzerà nella fattura di cannoni in ferro), ma soprattutto verso Spagna e Portogallo (Cipolla, op. cit. p. 16) [Figura 4].

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Figura 4. Antica fonderia dedita alla produzione di cannoni.

E’ forse la disponibilità di bronzo per scopi bellici che accomuna Germania, Paesi Bassi e Italia, nonché il possesso di particolari tecnologie nella fusione, a far sì che proprio in questi paesi si sia concentrata, soprattutto durante il XV e XVI secolo, la produzione di placchette con scene di soggetto religioso, quali si possono ammirare in tante collezioni pubbliche e private.

(*) Questo articolo è stato originariamente pubblicato a firma Maritina Betocchi (nome di fantasia).