L’Adorazione dei Magi di Albrecht Dürer

di Christian Cremona

Se qualcuno disponesse veramente delle idee interiori di cui parla Platone, potrebbe creare attingendo a esse e realizzare un’opera d’arte dopo l’altra senza mai fermarsi (nota 1).

Il potere delle immagini è un tema da sempre considerato e più che mai attuale. Esse possono raccontare, celare o svelare, guarire o sedurre l’osservatore, farlo smarrire oppure orientarlo.
Colui che dispone del dono di esprimere mediante le immagini capisce di avere fra le mani qualcosa di veramente grande: un carisma affascinante che può essere assoggettato al proprio ego, oppure usato da committenze per gli scopi più vari. L’artista riceve le vesti di “Demiurgo”, capace sapientemente di trasformare della semplice materia grezza in materia nutritiva dell’anima.
Di tale condizione si è reso conto Albrecht Dürer (Norimberga 21.5.1471-6.4.1528), tanto che nel celebre Autoritratto del 1499 [Figura 1] scrisse a pennello: Albertus Durerus Noricus/ ipsum me propriis sic effin/ gebam coloribus aetatis/ anno XXVIII (Io Albrecht Dürer di Norimberga, ho creato me stesso a mia immagine con colori eterni, all’età di 28 anni).

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Figura 1. Albrecht Dürer, Autoritratto, 1499, Monaco di Baviera, Alte Pinakoteck.

Nel corso della sua vita, Dürer lavorò costantemente sulla propria immagine, sia attraverso l’espediente dell’autoritratto, sia nel coinvolgimento di sé sulla scena, tanto che Piero Ricasoli sostenne che vi siano poche storie nelle quali egli non vi abbia posto la propria effigie (nota 2).
Fra le numerose rappresentazioni, vi è un’opera di particolare interesse multidisciplinare, recentemente esposta presso il Museo Diocesano per l’iniziativa Un capolavoro per Milano: l’Adorazione dei Magi [Figura 2] dipinta su una tavola di ciliegio nel 1504.

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Figura 2. Albrecht Dürer, Adorazione dei Magi, 1504, Firenze, Galleria degli Uffizi.

Dell’opera non si hanno notizie certe, né della committenza, né della destinazione e neppure di un significato iconografico sicuro. Per ciò che concerne la storia del collezionismo del dipinto non è utile soffermarsi, poiché ne parlano ampiamente diversi testi scientifici, fra i quali il recente di Nadia Righi (nota 3).
Preme, piuttosto, comprendere chi sia Dürer, il contesto storico-culturale in cui si registra la sua attività e le sue relazioni sociali. Il dipinto in questione fa al caso nostro anche per studiarne gli aspetti iconografici e iconologici, confrontabili con altre opere dello stesso autore e del Rinascimento tedesco, le quali hanno comportato non poche difficoltà ai critici che vi si sono imbattuti.
L’approccio di Dürer all’arte procede lungo due strade parallele: la prima essenzialmente artigianale, quella del “mestiere”, aperta dal padre; la seconda è caratterizzata da uno spirito curioso verso la natura e gli aggiornamenti alle correnti umanistiche che stavano attraversando le contrade del mondo germanico, respirabili per esempio nelle bottega di Michael Wolgemuth e Anton Koberger (suo padrino di Battesimo) e in quella di Martin Schongauer.
L’apprendistato di Dürer è particolarmente ricco di viaggi, di incontri e di partecipazioni a contesti sociali internazionali. Muove per le città tedesche, i Paesi Bassi, il nord della Svizzera, visitando centri come Colmar e Basilea: quest’ultima, già attestata città universitaria e polo radiante del clima umanistico internazionale che dall’Italia volgeva verso il nord Europa.
Grazie all’intervento di Koberger, si assicura come illustratore presso Bergamn von Olpe e Johann Amerbach che, a Basilea, danno alle stampe alcuni fra i maggiori successi editoriali dell’epoca, fra i quali Lo specchio delle Virtù di Ritter von Turn e la Nave dei folli di Sebastian Brandt (nota 4).

In seguito a un’epidemia di peste, è assodato da una sua serie di opere su carta un primissimo viaggio verso l’Italia (nota 5), più precisamente in direzione di Venezia, città in stretti rapporti con il mondo tedesco e che stava vivendo una stagione particolarmente vivace nell’ambito dell’editoria. Fra l’autunno del 1494 e la primavera del 1495, Dürer si interessa alle opere di Andrea Mantegna, entra in contatto con la bottega dei Bellini (nota 6) e fa esperienza degli aggiornamenti della cultura rinascimentale-neoplatonica, moderata dagli studi ermetici e matematici di personaggi eminenti della scena lagunare, fra i quali Jacopo de’ Barbari (il suo monogramma è il Caduceo di Mercurio) e la sporadica presenza di Fra’ Luca Pacioli che proprio nel 1494 dava alle stampe la Summa de arithmetica, geometria, proportioni e proportionalità presso l’editore Paganino Paganini (nota 7). È ragionevole ipotizzare che in questo soggiorno fra i territori della Serenissima, Dürer abbia stretto una particolare amicizia con Willibald Pirckheimer, consolidata nel 1497 in seguito al trasferimento di quest’ultimo a Norimberga in qualità di comandante e diplomatico. Insieme costituirono un circolo culturale al quale fecero parte anche Conrad Celtis, Sebald Schreyer, Hartmann Schedel (nota 8), Christoph Gottlieb von Scheurl: tutti frequentatori delle corti tedesche, dei pensatori delle maggiori università europee (soprattutto italiane), nonché fra i primi a partecipare alle avvisaglie dei crucci riformati e al dibattito sull’interpretazione delle Sacre Scritture.
Pirckheimer fu anche promotore degli studi di Johannes Reuchlin (nota 9), buon amico di Galeazzo San Severino (nota 10) e un abile traduttore di testi greci e latini che lo portarono a costituire una biblioteca privata alla quale Dürer ebbe certamente accesso.
Non è perciò possibile leggere un’opera di Dürer senza tener presente il tessuto storico intessuto finora; soprattutto, senza dimenticare il forte legame di amicizia e di interessi comuni con Pirckheimer, il quale, alla morte dell’artista non solo fece scrivere il suo epitaffio, ma dichiarò di “non aver mai provato […] un dolore simile a quello che ebbi apprendendo l’improvvisa notizia della perdita del nostro ottimo, carissimo Dürer” (nota 11).
L’Adorazione dei Magi si colloca proprio nel periodo precedente al secondo viaggio di Dürer in Italia (nota 12) e mostra l’assimilazione da parte dell’artista delle esperienze culturali sino ad allora affrontate. Dal punto di vista tecnico-compositivo, è possibile accostare la tavola a bulino con lo stesso soggetto di Martin Schongauer [Figura 3], eseguito fra il 1470-78 circa, in cui la scena inscritta all’interno di rovine classiche è caratterizzata dall’assenza di San Giuseppe, dalla centralità delle tre figure dei Magi, della ricchezza dei doni, dalla foggia dei dettagli, dalla presenza di un quarto personaggio che estrae dalla borsa un ulteriore dono, dalla prossimità del corteo e dall’inserimento di minimi particolari come la piantaggine, gli speroni e il copricapo del primo re posato a terra.

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Figura 3. Martin Schongauer, Adorazione dei Magi, 1470-1478, incisione a bulino.

Ma a differenza di Schongauer, la tavola di Dürer si mostra maggiormente orchestrata dal punto di vista spaziale, e che risente come tappa intermedia della Natività eseguita per l’Altare Paumgartner [Figura 4], nella quale si respira già un primo tentativo di fusione fra i caratteri tipici della pittura locale e le novità italiane.

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Figura 4. Albrecht Dürer, Natività (parte centrale della cosiddetta Pala Paumgartner), 1502-1504 circa, Monaco di Baviera, Alte Pinakoteck.

Rispetto alla Natività Paumgartner, l’Adorazione dei Magi del 1504 è ancor più arricchita da una seconda e migliore meditazione su Mantegna e sui Bellini, da una prospettiva più precisa, dal paesaggismo e dalle vesti alla moda della laguna veneta, dalla lezione di Leonardo per ciò che concerne l’osservazione della natura, dell’anatomia e della gestualità umana, così dolce ed evidente nel Bambin Gesù e nel gruppo dei portatori di doni.
Dal punto di vista iconografico, Rosa Giorgi affronta l’argomento con accuratezza scientifica utile a chiarire gli aspetti storico-artistici e religiosi basilari per affrontare il tema dei Magi (nota 13).
In linea con ciò che è enunciato nel suo scritto, è sufficiente ribadire che l’artista segue la tradizione medievale, nella quale essi rappresentavano i tre ceppi della storia umana post-diluviana e le tre Età dell’Uomo.
Dürer si colloca realmente sulla scena nelle vesti del “Magos” adulto che volta le spalle alla Madonna con Bambino; un gesto che non pone formalmente particolari considerazioni, in quanto riscontrabile in opere di altri autori. Ma situandosi sulla scena, l’artista costituisce un dato cronologico-cristologico interessante: nel 1504 egli aveva trentatré anni, ovvero gli stessi di Cristo crocifisso. In questo modo è riuscito a inserire in un unico episodio l’intero percorso della vita di Gesù, e a identificarsi in esso come aveva già fatto in altre occasioni. Ciò che è importante notare, e alla luce di quanto esaminato sin ora, è l’uso che l’artista fa non solo di sé stesso, ma dei simboli in generale.
Perciò urge domandarsi: quale motivo lo spinge a farne uso, e quale connotazione ne da?
Buona parte della sua opera è già stata ampiamente indagata dalla critica sia sotto il profilo letterale che ermetico-religioso, con esempi di testi eccellenti e autorevoli come quello di Panofsky (nota 14) o quello di Calvesi per ciò che concerne la celebre Melancolia del 1514 [Figura 5, nota 15], rimeditando la sua produzione alla luce di queste ricerche nella cerchia dell’artista e nel Rinascimento in generale (nota 16).

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Figura 5. Albrecht Dürer, Melancolia, 1514, incisione.

Tuttavia, non sono stati fatti studi precisi sull’Adorazione dei Magi del 1504 e che, come enunciato nella prima parte di questo saggio, offre uno spunto per orientare l’opera di Dürer in questo clima.
Esaminando nel dettaglio la tavola, si vuole porre l’attenzione sui contenitori dei doni: oggetti largamente concepiti nelle botteghe orafe dell’epoca e riscontrabili sia con quelli prodotti dall’esercizio del padre, sia con calici e coppe presenti nelle incisioni di Albrecht Altdorfer. Melchiorre porta uno scrigno contenente oro, simbolo della regalità, dell’incorruttibilità e dell’età solare, su cui è rappresentato il soggetto di San Giorgio che vince il drago, allegoria della lotta fra il Bene e il Male; Baldassarre/Dürer porta una coppa contenente incenso, simbolo del sacerdozio, della consacrazione e dell’età lunare, con all’apice una ghianda girata, allegoria dell’unione dell’elemento maschile e femminile; Gaspare porta una sorta di reliquario simile all’apfelpokal del Germanisches National-Museum di Norimberga (nota 17) contenente mirra, indice dell’amarezza, della sofferenza che precede la dolcezza e dell’età del ferro, con all’apice l’Uroboro, simbolo palingenetico del tutto che si rigenera posto a dominio sul globo.
Una quarta figura, sul lato destro, cerca nella borsa probabilmente un altro dono: è curioso notare come la borsa dipinta sia molto simile a quella usata in seguito dall’artista per la Melancolia, opera di emblematica valenza alchemica.
Una verosimile chiave di lettura del gruppo dei Magi, ma che non è possibile dimostrare con una certezza scientifica, alluderebbe alla personificazione nelle tre figure delle principali fasi alchemiche: nigredo (il personaggio di etnia africana), albedo (con un’intrigante allusione al nome Albrecht), e rubedo (il vecchio re dal manto rosso).
Queste fasi conducono l’alchimista a ottenere la quintessenza: la Pietra Filosofale, segno dell’immortalità e della ricchezza eterna, poiché da essa si ricavano l’elisir di lunga vita e l’oro.
La pietra è anche metafora della “Verità” tanto ricercata dai filosofi del mondo antico, e per poterla cercare mediante i tre stadi, l’incamminato deve seguire la stella, proprio come descritto nel Vangelo di Matteo.
Nella tavola del 1504, Dürer affronta l’iconografia della stella in linea con quanto dipinto già nella Natività Paumgartner: non è chiaro se l’astro in alto a sinistra sia effettivamente la stella di Gesù o il Sole.
In un bulino dello stesso anno, egli non incide la stella ma delinea un pozzo svuotato da un vecchio (forse San Giuseppe) intento a riempire un’anfora [Figura 6], probabilmente in linea con testi come il Liber Miraculorum, l’Omiliario e gli Otia Imperialia, i quali narrano che un pozzo aveva accolto la cometa dopo l’arrivo dei Magi. Una spiegazione plausibile potrebbe essere la soluzione dell’astro in Cristo Bambino.

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Figura 6. Albrecht Dürer, Natività, 1504, incisione.

Compare invece in un’altra Adorazione del 1511 [Figura 7] sotto la forma di digramma a sei punte simile alla “Stella di David” o “Sigillo di Salomone”, già usato da Schongauer e adottato anche nell’ermetismo per indicare che si è sulla via corretta per ottenere l’Opus Magnum.

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Figura 7. Albrecht Dürer, Adorazione dei Magi, 1511, incisione.

Per quanto riguarda la Vergine Maria, è agevole osservare come sia stata pensata alla luce primordiale dell’appassionato dibattito sulla sua figura che troverà ampio spazio fra i pensatori riformati (nota 18). Denota infatti il medesimo umile aspetto riscontrato nella Natività Paumgartner e nell’Adorazione del Trittico di Dresda [Figura 8] caratterizzato dalle assenze dell’aureola e della veste rossa.

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Figura 8. Albrecht Dürer, “Trittico di Dresda”, 1496-1497 circa, Dresda, Gemäldegalerie.

Il velo è bianco in virtù della purezza, la veste è blu per la grazia divina e suoi capelli sono biondi come vuole parte della tradizione occidentale e il reale modello tedesco a disposizione dell’artista. Anche in questo caso è possibile disporre una verosimile interpretazione in chiave alchemica, attraverso le tre sostanze: la Maria bianca e la Maria Blu, ovvero il sale e il mercurio, la solidità e la liquidità in relazione al principio maschile zolfo (nota 19). La presenza delle farfalle sugli archi sembrerebbe avvalorare questa tesi attinente al composto volatile, al concetto classico di metamorfosi e all’anima liberata dalla materia del corpo, tema caro alla Gnosi, non dimenticando che la farfalla resa più trasparente è della specie Apollo. L’insetto scuro sull’arco più piccolo sembrerebbe appartenere alla famiglia della Rosalia Alpina, o piuttosto a una giovane femmina di Cervo Volante, il che entrerebbe in relazione con il maschio in primo piano sulla destra, se ciò trovasse un riscontro scientifico.
L’Adorazione dei Magi del 1504 ha permesso di sfogliare le pagine della vita di Dürer, aprendone un confronto su tematiche assolutamente importanti per una meditazione più ampia che vuole, grazie alla continuità degli studi accademici di alte personalità della storia dell’arte e alla riscoperta di opere e documenti, dare una chiara lettura di ciò che fu il Rinascimento.

NOTE

[1] A. Dürer in A. Roob, “Il Museo Ermetico. Alchimia & Mistica”, Taschen Bibliotheca Universalis, Köln 2015, p. 20.

[2] P. Ricasoli in G. M. Fara, “Albrecht Dürer nelle fonti italiane antiche, 1508-1686”, Olschki, Firenze 2014, p. 9.

[3] N. Righi, “L’Adorazione dei Magi di Dürer”, in AAVV (a cura di N. Righi) “Albrecht Dürer. L’Adorazione dei Magi”, pp. 15-27.

[4] S. Massari, F. Negri Arnoldi, “Arte e scienza dell’incisione: da Maso Finiguerra a Picasso”, Carrocci Editore, Roma 2008, p.52.

[5] Una serie di opere su carta, mostrano vedute delle città di Innsbruck, Arco e Trento.

[6] G. M. Fara, “Albrecht Dürer nelle fonti italiane antiche, 1508-1686”, op. cit, p. 2.

[7] Jacopo de’ Barbari è credibilmente identificato in nota manoscritta di Dürer all’introduzione del suo libro sulle proporzioni umane: “Non ho trovato nessuno che abbia scritto qualcosa sui canoni delle proporzioni umane, eccetto un uomo chiamato Jacob, nato a Venezia e pittore affascinante. Mi mostrò le figure di un uomo e una donna, che realizzò in base a dei canoni matematici di proporzione, così ebbi modo di vedere ciò che intendeva, anche se egli non volle mostrarmi completamente i suoi principi, come intesi chiaramente”.  Jacopo de’ Barbari stilò un manoscritto sulle proporzioni matematiche e studi di geometria che consegnò alla Duchessa Margherita d’Asburgo e che Dürer cercò di appropriarsene, invano, alla sua morte. Egli lavorò anche alla grande xilografia in più blocchi della Veduta di Venezia, stampata da Anton Kolb a fine ‘400 su permesso della Serenissima.

[8] Hartmann Schedel collezionò opere di Jacopo de’ Barbari che furono rilegate in una raccolta nel dicembre 1504.

[9] Johannes Reuchlin fu riferimento emblematico in ambito tedesco per la diffusione del neoplatonismo fiorentino di Poliziano e Pico della Mirandola, nonché amico di Aldo Manuzio e autore del De Verbo Mirifico, e del De Arte Cabbalistica: scritti che svilupparono un atteggiamento di ricerca alternativa all’interpretazione biblica della Vulgata, promuovendone un approccio più filologico e una conciliazione con gli insegnamenti cabalistici e la mitologia antica, vicina alla zoroastrismo e alla scuola pitagorica.

[10] Galeazzo Sanseverino fu dal 1487 capitano generale dell’esercito sforzesco. Egli possedeva delle scuderie presso la corte, molto frequentate da Leonardo da Vinci per gli studi sui cavalli. Galeazzo Sanseverino visitò più volte la casa di Pirckheimer a Norimberga e potrebbe esser stato in queste occasioni veicolo di materiale leonardesco, come è possibile riscontrarne un’influenza in alcune stampe di Dürer.

[11] S. Salamon (a cura di), “Albrecht Dürer. Bulini puntesecche acqueforti”, catalogo della mostra (17 aprile-14 giugno 1997), L’Arte Antica. Silverio Salamon, Torino 1997, p. VII.

[12] Il viaggio, finanziato da Pirckheimer, aveva lo scopo di difendere il privilegio sulla serie originale La Vita della Vergine, “contraffatta” a bulino con il suo monogramma da Marcantonio Raimondi. L’artista colse l’occasione di cercare alcuni libri di Euclide e carpire gli ultimi segreti sulla prospettiva. Questo secondo viaggio ebbe molta eco fra gli editori del Cinquecento che tradussero le sue opere teoriche.

[13] R. Giorgi, “L’iconografia dell’Adorazione dei Magi”, in AAVV (a cura di N. Righi) “Albrecht Dürer. L’Adorazione dei Magi “, pp. 29- 39.

[14] E. Panofsky, “La vita e le opere di Albrecht Dürer”, La Feltrinelli, Milano 1967.

[15] M. Calvesi, “La Melanconia di Albrecht Dürer”, G. Einaudi, Torino 1993. Per un ulteriore approfondimento è consigliabile la lettura della scheda scientifica redatta da V. Sgarbi per la Fondazioni Magnani Rocca [Leggi].

[16] Una delle prime opere manoscritte di alchimia in tedesco fu il Libro della Santa Trinità del 1415. Pochi anni dopo (1419), Cristoforo Buondelmonti portò a Firenze gli Hieroglyphica di Orapollo, ritrovati sull’Isola di Andros. Quest’ultimo fu un libro di particolare importanza per gli Umanisti di fine Quattrocento, e certamente fonti di questo genere furono consultate dall’autore dell’opera Hypnerotomachia Poliphili pubblicata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1499. La prima edizione degli Hieroglyphica è quella incompleta di Pietro Vasolli da Fivizzano nel 1547. Non è quindi inconsueto osservare come nel Rinascimento simboli derivanti dalle culture greco-orientali ed ebraiche siano stati accostati a immagini cristiane.

[17] N. Righi, “L’Adorazione dei Magi di Dürer”, in AAVV (a cura di N. Righi) “Albrecht Dürer. L’Adorazione dei Magi”, p. 24.

[18] Per utili approfondimenti è da suggerirsi la lettura degli scritti di Martin Lutero, Giovanni Ecolampadio, Philipp Schwartzerdt, Ulrico Zwingli nella raccolta di testi “Maria. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo”, a cura della Comunità di Bose, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A, Milano 2000, pp. 777- 812.

[19] Per uno studio serio sul tema della Vergine Maria in chiave alchemica nell’arte, consultare il testo di M. Calvesi, “Duchamp invisibile: la costruzione del simbolo”, Officina Edizioni, Roma 1975.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, gennaio 2017

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