L’arlecchino ginnasta di Fulvio Bianconi realizzato da “Boboli”

di Luigi Athos Buttazzoni

L’Arlecchino ginnasta fa parte della serie di dodici maschere della Commedia dell’Arte ideata da Fulvio Bianconi (1915-1996) ed esposta per la prima volta nel 1948 alla XXIV Biennale di Venezia [Figura 1].

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Figura 1. Fulvio Bianconi, Arlecchino ginnasta, vetro lattimo “rigadin” con decori a righe orizzontali in vetro rosso e nero, cm. 26 x 14 circa, Venini, Murano (Ve), 1947-1948, collezione dell’autore.

Bianconi si cimenta in due interpretazioni di Arlecchino, tre con Arlecchina; questa è senza dubbio la più spettacolare della serie [Figura 2].

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Figura 2. Fulvio Bianconi, Sei delle dodici figurine della serie della Commedia dell’Arte (Arlecchino in piedi e Arlecchina sono i primi due da sinistra rispettivamente), Venini, Murano (Ve), 1948, Porro 23.5.2018 n. 87 (lotto comprendente l’intera serie).

Arlecchino era in grande auge in quel periodo grazie a Giorgio Strehler che aveva presentato al Piccolo nel 1947 il suo Arlecchino servo di due padroni e qui Bianconi sembra voler interpretare l’opera di Strehler dando alla maschera una postura acrobatica da lui intitolata “el temperamento”.
L’Arlecchino ginnasta di Figura 1 mi arrivò come regalo di nozze nel 1972 da Giancarlo Ligabue (Venezia 1931 – 2015) – il quale aveva senz’altro accesso alla prima scelta del museo Venini – insieme a un Meneghino acrobatico altrettanto bello e divertente, esposto nel 2015 alla mostra monografica su Fulvio Bianconi a Le stanze del vetro della Fondazione Cini nel 2015-2016.
Fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, Ligabue era scherzosamente considerato il “doge” di Venezia, grande imprenditore nel catering industriale, paleontologo, collezionista e mecenate di spedizioni archeologiche ed etnografiche che conduceva in tutto il mondo e il cui esito era riportato nel Ligabue Magazine, rivista specialistica semestrale tuttora in pubblicazione, e nei libri editi dalla fondazione che porta il suo nome. Suo figlio Inti continua l’esperienza paterna in campo culturale con la Fondazione Ligabue, organizzatrice di raffinate mostre a palazzo Loredan in campo Santo Stefano a Venezia.
L’arlecchino in questione è un esemplare migliore di quello della raccolta Venini presentato alla mostra su Fulvio Bianconi sopra citata: le dita delle mani sono ben spaziate e la postura acrobatica è più armonica, nel suo genere un piccolo capolavoro. Inoltre, è piuttosto raro perché la sua realizzazione richiedeva molto impegno da parte dell’esecutore e diverse statuette col tempo si sono spezzate e sono andate perdute.
A questo proposito, la realizzazione materiale dell’oggetto si deve ad Arturo Biasutto detto Boboli, mitico maestro vetraio muranese e storico collaboratore di Bianconi, che lavorò per Venini fino all’inizio degli anni Settanta; devo l’informazione a una comunicazione verbale di Franco Deboni, autore tra l’altro del catalogo generale di Venini del 2007.

 

Bibliografia
-Franco Deboni, I vetri Venini, Torino 1989
-Rossana Bossaglia, I vetri di Fulvio Bianconi, Torino 1993
-Franco Deboni, I vetri Venini, Torino 2007, vol. 1 e 2
-Marino Barovier e Carla Sonego (a cura di), Fulvio Bianconi alla Venini, catalogo della mostra, Le stanze del vetro 13.9.2015-10.1.2016,
-Fondazione Cini, isola di S. Giorgio a Venezia, n. 2906, p. 333 e pp. 319, 320, 321, 330, 335, 337.

Agosto 2024
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