Le cripte basiliane del Basso Salento
della Redazione di Antiqua
(con un intervista al prof. Marcello Andriolo)
Nota: Gli indirizzi e le notizie riportate si riferiscono all’Aprile 2011 quando l’articolo è stato pubblicato e pertanto dovranno essere verificati.
Chi quest’anno decidesse di fare le vacanze in Salento e volesse intervallare i bagni con qualche attività di tipo culturale, consigliamo un tema alternativo al pur straordinario barocco leccese: le cosiddette “cripte” basiliane. Rimandando all’approfondimento in Appendice per saperne di più, diciamo che si tratta di chiese, talune sotterranee altre no, suggestivamente affrescate da artisti di cultura bizantina lungo un arco di tempo che va dal VII al XV secolo. Ve ne sono un po’ ovunque, alcune di recente e recentissima scoperta, non tutte di facile accesso.
Tra le ipogee, la più rinomata è quella delle sante Marina e Cristina a Carpignano Salentino (X-XI secolo) [Figura 1]. E’ normalmente chiusa, quindi informarsi preventivamente per potervi accedere con una visita guidata (339-44025798).
Figura 1. Carpignano Salentino, cripta Sante Marina e Cristina.
Santi Stefani a Vaste di Poggiardo, in non buone condizioni e posta all’interno del ristorante Le Signorie a cui è indispensabile telefonare per gli orari di accesso (info@signorie.org; 329-4483076).
Imperdibile, sempre a Poggiardo è il museo degli affreschi (pro loco 0836-904562; 0836-901766) che consiste nella ricostruzione della cripta di Santa Maria degli Angeli, risalente all’XI secolo, soppressa nel XVI secolo e riscoperta sotto l’attuale chiesa parrocchiale [Figura 2].
Figura 2. Poggiardo, museo degli affreschi.
San Salvatore a Giurdignano è una cripta ipogea con quattro pilastri che determinano una pianta a tre navate (e nove campate) che terminano con tre absidi. Meraviglioso è il soffitto (info 389-5368789) [Figura 3].
Figura 3. Giurdignano, cripta di San Salvatore.
Vi sono poi alcuni edifici ugualmente affrescati, che sono vere e proprie chiese, anche se di piccole dimensioni. La più grande è San Pietro a Otranto, l’antica cattedrale cittadina (spesso chiusa, quindi informarsi pro loco 0836-811640, 339-4245222; consigliamo il bel volumetto di Grazio Gianfreda, Basilica bizantina di S. Pietro in Otranto, Grifo, Lecce 2010, euro 10,00).
A Soleto c’è Santo Stefano, splendida, in genere aperta, ma conviene sempre sincerarsene (per visite guidate e info: Nuova Messapia, via Regina Elena 12, 333-8451218) [Figure 4 e 5].
Figure 4 e 5. Soleto, Santo Stefano.
Meno impressionante, ma di un certo interesse è anche Santa Marina a Muro Leccese, dove ad alcuni affreschi bizantini (tra i quali un’immagine di San Nicola di Mira considerata la più antica che si conosca) si sovrappongono affreschi d’epoca barocca (pro loco 339-7738048) [Figura 6].
Figura 6. Muro Leccese, Santa Marina.
Come viatico alla visita delle cripte salentine consigliamo: Nino Lavermicocca, I sentieri delle grotte dipinte, Laterza, Bari 2001, e soprattutto il capitolo dedicato al Salento bizantino, p. 37-46).
Per poter raggiungere facilmente la maggior parte di queste cripte – e altrettanto facilmente sia il versante adriatico, sia quello ionico per le attività di mare- ci sentiamo di consigliare un ottimo indirizzo: Villa De Pietro a Cursi che offre una valida soluzione B&B. E’ una villa degli inizi del Novecento dal fascino austero, con uno splendido parco interno, dove sarete accolti con grande cordialità e disponibilità, ma anche con molta discrezione. La famiglia che la gestisce produce anche un olio di ottima qualità (www.villadepietro.it); 349-3937327.
Ristoranti da provare:
Riccomaggio, Cursi (tel. 0836-332800 ) cucina molto casalinga, pesce fresco e verdure direttamente dall’orto, a prezzi moto contenuti.
La Lanterna, Martano (tel. 0836-571441), ottima cucina del territorio a prezzi modici.
Locanda dei camini, Botrugno (tel. 0836-993733), grande varietà di pesce (crudo e cotto) a prezzi adeguati.
Appendice. Approfondimento sulle cripte basiliane
Ci si chiede come le cosiddette cripte basiliane si inseriscano nel processo storico-religioso che vede l’affermarsi e il persistere della cultura bizantina in Puglia, segnatamente in Terra d’Otranto. Lo facciamo rivolgendo una serie di domande al prof. Marcello Andriolo (*).
Innanzi tutto perché si parla di monaci Basiliani ?
Il nome deriva da San Basilio il Grande (330-379), vescovo di Cesarea in Cappadocia, cui va il merito di aver codificato le regola del monachesimo orientale di cui le cripte sono un’espressione.
A quando risale la tradizione liturgica bizantina e la presenza dei monaci basiliani in Puglia ?
Per comprendere i motivi della tradizione liturgica bizantina in Terra d’Otranto bisogna risalire a ritroso lungo il corso dei secoli. Presenze ellenofone in Salento sono già attestate prima della venuta di Cristo. Quindi la lingua ha costituito un punto a favore nei confronti della successiva accoglienza e dello sviluppo in loco della cultura e degli usi civili e liturgici bizantini.
Risale però alla seconda metà del IV secolo la presenza di monaci basiliani che si distinguono per i luoghi di culto scavati nella roccia e poi affrescati: le famose cripte basiliane.
Occorre però subito smontare uno dei più diffusi luoghi comuni che, con pressappochismo, riduce la presenza bizantina nel Mezzogiorno al solo monachesimo basiliano. Oltre a tale importantissima esperienza di vita religiosa orientale, infatti, non si può prescindere dal considerare il resto degli ecclesiastici bizantini con le funzioni e le prerogative loro proprie. I basiliani non vanno confusi con il clero greco!
Così come un altro mito da sfatare è che i monaci scavassero le cripte per nascondersi. Non è vero.
Tra il V e VI secolo sorgono ovunque nel Salento cripte, ma anche chiese, cenobi e laure che si trasformano in nuovi poli di attrazione del popolamento contadino e avviano un processo di cristianizzazione delle campagne. Questo processo prosegue ininterrottamente fino al XI secolo.
Ecco perchè cripte è indicato tra virgolette nel titolo.
Si parla di clero e rito greco, in altri casi di clero e rito bizantino. Ci spiega la differenza ?
Una prima distinzione si deve operare tra chiesa occidentale e chiesa orientale, risalente di fatto alla divisione dell’Impero resa definitiva dopo la morte di Teodosio (395), nel senso che la chiesa orientale, pur mantenendosi legata a Roma, si differenzia progressivamente in termini liturgici dando origine, tra gli altri, al rito bizantino (gli altri, corrispondenti ad altrettante chiese orientali, sono quello copto o alessandrino, siro occidentale o antiocheno, siro orientale o caldeo o persiano e armeno).
Lo scisma del 1054 determina la divisione anche “politica” tra la chiesa di Roma e quella cosiddetta ortodossa. La chiesa ortodossa segue il rito bizantino, per cui si parla spesso, indifferentemente, di chiesa ortodossa o bizantina.
In realtà, in alcuni territori, segnatamente in Terra d’Otranto, si fa riferimento a un rito che si continua a definire bizantino, proprio della chiesa cattolica di tradizione orientale (potremmo dire “pre scismatica”), alla cui confessione appartiene fino almeno al XVI secolo gran parte del popolo salentino.
Quindi, sebbene abbastanza identici sul piano dottrinale, esiste un rito bizantino proprio della chiesa ortodossa e un rito bizantino della chiesa salentina all’interno della chiesa cattolica. Vi è però un’importante differenza: nei paesi di religione cristiana-ortodossa, la lingua greca è stata abbandonata (tranne ovviamente che in Grecia) a favore delle lingue nazionali, soprattutto slave, in cui è stata tradotta la liturgia bizantina, mentre in Salento si è mantenuto l’uso liturgico dell’originale lingua greca.
Sebbene si prediliga oggi ovunque l’espressione “rito bizantino”, il termine “rito greco” potrebbe essere plausibile proprio in Italia meridionale.
Sempre restando in Puglia, che relazione esiste tra la dominazione bizantina e lo sviluppo del rito bizantino ?
A differenza di ciò che si potrebbe presumere, l’uso della liturgia bizantina non è spiegabile, almeno in forma assoluta, in virtù dell’appartenenza del Salento, come di altre numerose regioni italiche all’impero bizantino. Infatti, dopo la conquista del Meridione nel 535, i Bizantini non entrano in merito a questioni prettamente religiose e il rito latino, da poco introdotto con la prima evangelizzazione, non viene affatto bandito o soppiantato. Risulta più sensato, ma non esaustivo, il voler ricondurre le origini salentine del rito bizantino alle già citate “radici greche” sulle quali si innesta l’immigrazione di centinaia di uomini, in special modo monaci, che tra il VII e il IX secolo furono costretti ad abbandonare la propria terra (Grecia e Asia Minore) per trovare rifugio oltremare.
Quali i motivi ?
Per prime le guerre contro Slavi ed Avari e quella contro la Persia che occupano ininterrottamente il periodo che va dal 565 al 619. Poi, a partire dal 630, l’invasione araba che, drammaticamente, assomma in sé nefasti fattori politici e religiosi. Infine, nel 726, un editto dell’imperatore Leone III l’Isaurico (717-741) che proibisce il culto delle immagini sacre (iconoclastia). A pagarne maggiormente le spese sono soprattutto i monaci iconoduli che si vedono costretti a emigrare portando con se le preziose immagini. In realtà, secondo taluni storici, la lotta contro le icone non è stato che un pretesto dottrinale per muovere guerra contro il monachesimo greco, accusato di essere il maggior latifondista dell’impero e quindi d’ostacolo allo sforzo prodotto dal governo per riformare l’agricoltura.
Qual’è l’atteggiamento della chiesa di Roma nei confronti di questi esuli ?
Molto favorevole. Il papa di Roma, cui appartengono quei territori, si dimostra apertamente contrario alle disposizioni dell’imperatore di Bisanzio.
D’altro canto, come già evidenziato, le comunità di rito bizantino dell’Italia meridionale, pur mantenendo propri usi liturgici bizantini, rimangono a tutti gli effetti legate al Papa e al cattolicesimo. Si tratta di un fenomeno che precorre, sebbene in modo anomalo, il cosiddetto uniatismo (riunificazione alla chiesa di Roma) che avrebbero caratterizzato in special modo alcune chiese orientali di etnia slava nel corso dell’età moderna.
La benevolenza del Papa, suscita la reazione dell’imperatore Leone III che, nel 732, si annette parte del territorio pugliese. Probabilmente è questo il periodo in cui la penisola salentina rinsalda i legami con la chiesa di Costantinopoli. Risalgono a tale epoca, infatti, le notizie circa la comparsa dei primi vescovi greci. Basti pensare che a Otranto, agli inizi del IX secolo, si attesta, addirittura, la presenza di un vescovo iconoclasta.
Come si evolve la situazione ?
Ai Bizantini subentrano i Normanni, fedeli alla chiesa di Roma (XI-XII secolo), che attuano una politica di sostanziale tolleranza nei confronti della comunità di rito greco.
Questo atteggiamento non cambierà sotto la dinastia sveva (1194-1266), mentre è sotto gli Angioini (1266-1442) che le comunità bizantine in Salento patiscono alcune persecuzioni.
Infine, la caduta di Costantinopoli per mano dei Turchi (1453), avvenuta durante il regno Aragonese determina la definitiva recisione dei contatti con la “madre patria”.
Tra alterne vicende, il rito bizantino si conserva ancora a lungo in Salento per estinguersi alla fine del XVII° secolo. L’ultimo “papas” muore infatti a Castrignano nel 1668, ma i suoi successori, tutti di rito latino, continuano ad amministrare i sacramenti in lingua greca, con apposita dispensa arcivescovile.
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Marcello Andriolo insegna da vent’anni Religione Cattolica presso Istituti d’Istruzione Secondaria Superiore statali. Dopo gli studi giuridici ha approfondito le Scienze Religiose per seguire interessi culturali personali, spesso interessandosi alla ricerca di testimonianze storiche sui diversi aspetti del culto nelle civiltà antiche del territorio salentino. Da anni cura, nella città di Lecce ed in ambito provinciale, l’organizzazione di convegni inerenti il dialogo interreligioso.