Maffeo Olivieri e alcune cose veneziane che di lui non si sanno

di Attilio Troncavini

Poiché non tutti sono tenuti a conoscere Maffeo Olivieri, sarebbe meglio iniziare dai fatti che di lui si sanno: Maffeo Olivieri è uno scultore bresciano in legno, pietra e bronzo, attivo durante la prima metà del Cinquecento. Per chi non si accontenta, suggeriamo uno stacco per leggera la scheda (nota 01), poi ripartiamo … dalla granseola.
Riparto dalla granseola un po’ perché la narrazione ci porta da Brescia a Venezia e un po’ perché la sua etimologia ha contribuito ad una riflessione sull’attività di bronzista di Maffeo.
Granseola è il nome veneziano della granceola o grancevola, crostaceo decapode marino con dorso spinoso e chele piccole, ricercato per le sue carni. Di etimologia discussa, risulta composto da granso, granc(h)io e seola, cipolla per la forma (nota 1).
Ora, dovete sapere che in un documento ormai celeberrimo per gli studiosi di Maffeo (nota 2) – nel quale si redige l’inventario dopo la sua morte – viene citato due volte il termine “granso”.
Più precisamente si parla di “un granzo” – ossia di un granchio, presumibilmente in bronzo – e di “una granza di cera”, ossia di un modello in cera per riprodurlo in bronzo con la nota tecnica della cera persa. E’ quindi altamente probabile che Maffeo producesse quel genere di animaletti in bronzo – adibiti a contenitore, forse a calamaio e così caratteristici della produzione veneta, anzi padovana – per i quali si fa quasi sempre il nome di Andrea Brioso detto il Riccio (nota 3). Per inciso, si dice che per questi oggetti zoomorfi, non solo granchi, ma anche rane e altri piccoli animali, si usassero calchi dal vero [Figura 1].

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Figura 1. Granchio, bronzo, Veneto, inizi del XVI secolo, mercato antiquario.

Ma torniamo a noi e al perché questa scoperta può avere una certa importanza.
In una articolo piuttosto complesso su Maffeo e la bronzistica bresciana del Cinquecento (nota 4), lo studioso Francesco Rossi si dilunga sulla matrice culturale di Maffeo e, più precisamente, se egli si debba considerare un “lombardo” seguace artistico dell’Amadeo e degli artisti che gravitavano attorno ai cantieri del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia, quanto piuttosto un “veneto”, ossia debitore di quella cultura che si sviluppa, un secolo prima, attorno a Donatello.
Il pretesto è fornito dall’analisi del cenotafio del nobile bresciano Altobello Averoldi – attualmente conservato in Santa Giulia a Brescia – raffrontato con i due candelieri in bronzo, opera veneziana eseguita per conto dello stesso Altobello che rivestiva a Venezia importanti incarichi ufficiali.
I due candelieri, firmati da Maffeo e datati 1527, si trovano attualmente nella Basilica di San Marco ai lati dell’altare della Cappella della Madonna o dei Mascoli [Figura 2].

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Figura 2. Maffeo Olivieri, candeliere in bronzo (uno di una coppia), 1527, Venezia, Basilica di San Marco.

Poiché non sono note altre opere di Maffeo a Venezia, gli esperti si sono a lungo domandati se i candelieri bastino a giustificare delle affinità stilistiche di Maffeo con i bronzisti veneti.
Ci sembra che un contributo in questo senso, seppure modesto, possa venire proprio dalla constatazione che gli animaletti in bronzo di cui sopra rientrassero nella produzione corrente di Maffeo.
Non si può, inoltre, sottacere l’attività di medaglista di Maffeo, il quale ritrae più volte eminenti personaggi dell’aristocrazia veneta. E’ possibile che, come Altobello Averoldi era un bresciano in missione a Venezia, così alcuni dei personaggi raffigurati fossero dei veneti che la Repubblica inviava a Brescia con incarichi di vario genere, ma è più probabile che questa specifica attivò di Maffeo sia stata esercitata in loco, cioè a Venezia, a stretto contatto con i committenti.
A conferma di ciò, citiamo le medaglie con i ritratti di Publio Augusto Graziani da Udine, poeta e astrologo, di Francesco e Vincenzo Malipiero e di Sebastiano Montagnacco [Figura 3], tutti patrizi veneziani, che si trovano presso la National Gallery of Art di Washington (nota 5).

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Figura 3. Maffeo Olivieri, medaglia di Sebastiano Montagnacco, Washington, National Gallery of Art.

Si noti, in proposito, a sostegno della tesi di un’attività non sporadica di Maffeo in Veneto, che queste medaglie sono datate tra il 1519 e il 1530.
Infine, vi è forse un’altra circostanza che può giustificare un legame di Maffeo con Venezia: la presenza di un certo Pietro Olivieri, che potrebbe essere, dopo il già documentato Andrea Olivieri, il terzo fratello di Maffeo, non necessariamente in ordine di età, quanto di scoperta.
Con testamento redatto in data 25 ottobre 1515 dal notaio Priamo Businello, il suddetto Pietro Olivieri, iscritto alla Scuola di S.Marco, nomina tre confratelli come commissari affinché, alla sua morte, dispongano di acquistare un terreno e di edificarvi delle case da destinare ai confratelli più bisognosi (nota 6). Infatti, dopo la morte di Pietro Olivieri avvenuta nel 1529, la Scuola di S. Marco adempie alla di lui volontà, fabbricando, per darle ai confratelli poveri, ben ventiquattro case a S. Maria Maggiore in una Corte perciò detta “di S. Marco”.
A parte l’omonimia e una certa concordanza di date, ciò che lega Pietro a Maffeo è il fatto che, nell’atto notarile appena citato, Pietro viene definito q.m. Baldassare, cioè figlio del “fu” (q.m. = quondam) Baldassare e lo stesso Maffeo e il fratello Andrea vengono anch’essi citati come scultori de Claris, cioè di Chari (Bs), figli del “fu” Baldassare (nota 7).
Difficile pensare che si tratti di una coincidenza. Maffeo aveva quindi un fratello – che possiamo supporre il maggiore visto che muore circa 15 anni prima di lui – il quale aveva fatto una discreta fortuna a Venezia.
Non possiamo sapere che parte abbia eventualmente avuto Pietro rispetto alla committenza veneziana di Maffeo, né il ruolo che potrebbe aver avuto Altobello Averoldi a promuoverne l’attività, indipendentemente dall’esecuzione dei candelieri.
Contro l’ipotesi che Pietro e Maffeo si frequentassero, sussiste il fatto che Pietro, nel suo testamento, non lascia nulla ai fratelli, il che può far pensare all’esistenza di qualche dissapore.

NOTE

[01] Nell’articolo pubblicato su Antiqua.mi nel fabbraio 2007, a questo punto, si poteva aprire una scheda con una biografia dell’artista. In questa nuova edizione preferiamo segnalare la biografia redatta nel 2013 da Vito Zani per il Dizionario Biografico degli Italiani [Leggi].

[1] Il Nuovo Zingarelli, Zanichelli, Bologna 1990.

[2] Il testo integrale in latino cinquecentesco è riportato in Valentino Viola, Andrea Marone da Manerbio, pittore, in AAVV, Manerbio nel XVI secolo, p.135.

[3] Davide Banzato e Franca Pellegrini, Bronzi e placchette dei Musei Civici di Padova, Editoriale Programma. Padova, 1989 p.35; Jennifer Montagu, Bronzi, Mursia, Milano 1965 p. 9; Giovanni Mariacher, Bronzetti veneti del Rinascimento, Neri Pozza, Vicenza 1971 scheda 88.

[4] Francesco Rossi, Maffeo Olivieri e la bronzistica bresciana del ‘500, Arte lombarda 1977 nuova serie n.47-48 p. 115.

[5] Sulla collezione di bronzi della National Galleery di Washington, si veda: George Francis Hill, National Gallery of Art. Renaissance Bronzes: Statuettes, Reliefs and Plaquettes, Medals and Coins from the Kress Collection, Washington 1951; G. F. Hill and Graham Pollard, Renaissance Medals from the Samuel H. Kress Collection at the National Gallery of Art, Londra 1967; Carolyn C. Wilson, Renaissance Small Bronze Sculpture and Associated Decorative Arts at the National Gallery of Art, Washington, 1983.

[6] “Voglio che di tutto il resto dei denari che loro [i suoi commissari] se troverà haver, del tutto, et ogni mia cossa, che loro più presto che i possa i compra in questa terra, in quel luogo che a loro parerà, un terren, ovver più, sopra il quale, o sopra i quali, loro farà fabbricar tante case quante loro potrà per i denari che loro se troverà haver del tutto d’ogni cosa. Le quali case voglio che le sia di sorte che quando le se volesse affittar che de fitto no se podesse trager più de ducati 5 in 6 all’anno. E le predette case voglio che le sia date ad habitar a poveri confratelli de la Scola di S. Marco, li quali sopra tutto habbia fioli, e sia persone di buona conditione, le qual loro habbia da galder in vita soa” (trascrizione di un documento di fonte incerta)

[7] “Mapheus et Andrea de Claris q.m. Baldassaris sculptores” (Camillo Boselli, Regesto Artistico dei Notai roganti in Brescia dall’anno 1500 all’anno 1560, Brescia 1977 p.223, così come riportato da Valentino Volta, op. cit., p.134, nota 239)

Un ringraziamento speciale alla dottoressa Maria Da Villa Urbani (Biblioteca della Basilica di San Marco) e al dottor Francesco Turio Bohm (studio Bohn, Venezia).