Medaglie aretiniane “satiriche”

di Attilio Troncavini

In un interessante articolo sull’iconografia di Pietro Aretino (1492-1557), al secolo Pietro Bacci, pubblicato nell’ormai lontano 1992 sulla Rassegna di Studi e Notizie del Castello Sforzesco di Milano (nota 1), l’autore Ettore Camesasca si occupa delle medaglie convenzionalmente note come satiriche.
Prendiamo spunto, in particolare, da una tavola riproducente una medaglia in cui Pietro Aretino compare di profilo sul Diritto con la scritta “D. PETRUS. ARETINUS. FLAGELLUM PRINCIPUM” [Figura 1], tratta dalle illustrazioni dell’opera La vita di Pietro Aretino di G. M. Mazzuchelli, pubblicata a Padova nel 1741.

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Figura 1. Ignoto xilografo, riproduzione di medaglia, illustrazione (Tav. V) per La vita di Pietro Aretino di G. M. Mazzuchelli (Padova 1741, Brescia 1763), Milano, Raccolta Bertarelli n. RI p. 8-94 [B], Ettore Camesasca, op. cit. p. 67.

Nella tavola il Rovescio della medaglia non compare a seguito di un “intervento autocensorio”. Il Rovescio, infatti, rappresenta una testa maschile composta di falli contornata dalla scritta: TOTUS. IN. TOTO. ET. TOTUS. IN. QUALIB[ET]. PARTE, richiamante la frase scolastica sull’essenza dell’anima “Tutto in tutto, e tutto in qualsiasi parte”, qui utilizzata come riferimento all’omosessualità del personaggio ritratto [Figura 2].

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Figura 2. Medaglia di Pietro Aretino, bronzo diametro cm. 4,76, XVI secolo. Questo esemplare si trova a Firenze presso il Museo Nazionale del Bargello con attribuzione a fonditore anonimo.

L’ipotesi più probabile secondo il Camesasca è che queste medaglie fossero state fatte coniare da qualche avversario dell’Aretino.
I sospetti si appuntano su Niccolò Franco (1515-1570), già allievo di Pietro Aretino, poiché, tra vari indizi, si colloca la sua Priapea, una raccolta di 91 sonetti dedicata al suo ex maestro del quale prende in giro l’omosessualità. Chiunque sia stato il responsabile del conio incriminato, avrebbe potuto anche prendere spunto dai Modi dell’Aretino – laddove si dice che certi componimenti “fatti a c….” assomigliano ai lettori – estendendo la somiglianza all’Aretino stesso.
Il Camesasca scrive che tra i sospettati c’è anche il vescovo comasco Paolo Giovio (1483-1552).
È noto come tra i due ardesse una certa polemica, sempre con riferimento alle reciproche accuse di omosessualità, e pare che sia l’Aretino l’autore di un epitaffio recitante: “Qui giace Paolo Giovio ermafrodito, che seppe fare da moglie e da marito”.
Camesasca sostiene che Paolo Giovio potrebbe aver fatto coniare la medaglia “fallica” dell’Aretino per vendicarsi di una medaglia simile con il suo ritratto nel Diritto, che l’Aretino avrebbe fatto realizzare in precedenza. Esiste una medaglia nella quale compare il profilo di un satiro vestito all’antica, con naso pronunciato e tracce di corna sul Diritto e una testa fallica sul Rovescio [Figura 3] ed è probabile che a questa alluda il Camesasca; tuttavia, non siamo del tutto certi che essa raffiguri Paolo Giovio, nonostante vi sia sicuramente un legame con la medaglia “fallica” dell’Aretino.

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Figura 3. Medaglia raffigurante un satiro (Diritto) e una testa fallica (Rovescio), presunto ritratto di Paolo Giovio, bronzo, diametro cm. 4,8, XVI secolo, Milano, Civico Gabinetto Numismatico e Medagliere, Castello Sforzesco.

Su questo argomento torneremo nel prosieguo.
Una cosa interessante riferita da Camesasca è che l’immagine della testa formata da falli precede le invenzioni dell’Arcimboldo (1526-1593).
Quanto alla sua origine, difficilmente la si può rintracciare in una maiolica di Casteldurante datata 1536, esposta insieme a un esemplare della medaglia in discorso nella mostra Effetto Arcimboldo del 1987 a Palazzo Grassi a Venezia (nota 2); pare che invenzioni del genere circolassero in ambito leonardesco (nota 3), ma è assai più probabile che il prototipo sia da rintracciare in qualche prodotto di età classica.
Fin qui il Camesasca, il quale ha avuto modo di consultare alcuni testi specialistici antecedenti il 1992 (G. Habich, Die Medaillen der italienischen Renaissance, vol. 2, Berlino-Stoccarda 1922-23; F. Panvini Rosati, Medaglie e placchette italiane dal Rinascimento al XVIII secolo, catalogo, Roma 1968; J.G. Pollard, Medaglie italiane del Rinascimento nel […] Bargello, vol. III, Firenze 1985).
Nel 1991 si era tenuta ad Aquileia (Ud), per iniziativa del Gruppo Archeologico Aquilense, la mostra Attila e gli Unni, ma il relativo catalogo a cura di Silvia Blason Scarel, contenente contributi di Elisabetta Chino e di Alvise Scarel, viene pubblicato solo nel 1995, quindi il Camesasca non poteva tenerne conto, a meno che non avesse partecipato all’evento aquilense (nota 4).
In questi saggi si parla di una serie di medaglie raffiguranti sul Diritto un profilo di Attila con corna e orecchie bestiali, naso pronunciato, barba e capelli arruffati, per farne emergere le qualità negative così come tramandate dalla storia. La medaglia, databile alla prima metà del XVI secolo è nota in varie versioni con la scritta ATTILA REX (o scritte simili) e con la riproduzione della città di Aquileia sul Rovescio [Figura 4].

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Figura 4. Medaglia raffigurante Attila in veste di satiro (Diritto) e Aquileia (Rovescio), bronzo, diametro cm. 5, prima metà del XVI secolo, Udine, Civici Musei. Si suppone che queste medaglie siano state prodotte a partire dalla prima metà del XVI secolo.

Questa medaglia deriverebbe da una placchetta di forma ovale uniface, ossia senza alcuna immagine o scritta sul Rovescio, in cui compare la medesima testa di Attila accompagnata dalla scritta ATILA FLAGELLUM DEI, databile alla metà circa del XV secolo [Figura 5, nota 5].

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Figura 5. Placchetta raffigurante Attila in veste di satiro, metà circa del XV secolo, Budapest, Magyar Nemzeti Mùzeum.

La Chino (op. cit.) sostiene che la medaglia con il profilo di satiro vestito all’antica sul Diritto e una testa fallica sul Rovescio [vedi ancora Figura 3], costituisce un esemplare “stravagante” della medaglia con Attila sul Diritto e Aquileia sul Rovescio, noto in due versioni: una con la scritta ATTILA REX (della quale non viene però mostrata alcuna immagine) e un’altra priva di scritte.
Il fatto che esista una versione con la scritta ATTILA REX rende difficile identificare sic et simpliciter con Paolo Giovio, come già accennato sopra, l’uomo raffigurato con sembianze di satiro, nonostante la stessa Chino, sembri avallare quest’ipotesi.
In ogni caso la Chino sostiene che la medaglia raffigurante l’Aretino derivi da questo esemplare per quanto riguarda la testa fallica e dalla placchetta con la scritta “flagellum dei” per la scritta “flagellum principum”.
Concludo citando un volume piuttosto raro, perché stampato in pochi esemplari (A. Ubertazzi-E. Guglielmi, Ein gelüftetes Geheimnis. Das unsichtbare Möbel. Un arcano rivelato. Il mobile invisibile, Edizioni Imagna, 2011), che fornisce un’interpretazione ancora diversa della medaglia con testa di satiro sul Dritto e testa fallica sul Rovescio [vedi per l’ultima volta la Figura 3].
È destino che anche questa spiegazione si presti a fraintendimenti poiché gli autori confondono a un certo punto il Diritto con il Rovescio; il satiro sarebbe un ritratto dell’Aretino, mentre la testa fallica sarebbe un ritratto di Paolo Giovio (poco cambierebbe se fosse viceversa), accomunandoli nel dileggio su un’unica medaglia. Ancora più discutibile quanto sostenuto dagli autori a proposito del fatto che dal Rovescio di questa medaglia derivi l’espressione “testa di c….” che “identifica gli individui fastidiosi e inconcludenti”.

NOTE

[1] E. Camesasca, Pietro Aretino nelle stampe della Raccolta Bertarelli, RSN vol. XVI, anno XVI (1991-1992) p. 53-86.

[2] Piatto e medaglia sono stati riproposti nel 2011 nel corso della mostra Arcimboldo. Artista milanese tra Leonardo e Caravaggio, curata Sylvia Ferino-Pagden presso il Palazzo Reale di Milano (catalogo Skira, Milano 2011, p. 237) [Figura A].

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Figura A. Francesco Urbini (attr.), piatto in maiolica, diametro cm. 23,2, 1536, Oxford, Ashmolean Museum, University of Oxford.

[3] A. Parronchi, Inganni d’ombre, in Achademia Leonardi Vinci, 1992 (con riferimento a un disegno in collezione privata fiorentina). Nota: lo stesso disegno è pubblicato sul catalogo della mostra milanese del 2011 già citata in nota 2 con un’attribuzione a Francesco Salviati (catalogo Skira, Milano 2011, p. 236, fig. 4) [Figura B].

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Figura B. Francesco Salviati (attr.), testa fallica, penna su carta, cm. 36 x 27, 1530-1540 circa, collezione privata.

[4] E. Chino, Attila nella medaglistica del Rinascimento (IV a) e A. Scarel, Alcuni esempi di medaglie con il tipo dell’Attila faunesco tra Rinascimento italiano e Ottocento ungherese (IV b), entrambi sub La figura di Attila nell’espressone artistica, in Attila e gli Unni, catalogo a cura di Silvia Blason Scarel, Erma di Bretschneider, Roma 1995, p. 113-123.
Il lavoro di Camesasca non viene considerato in questi saggi, per altro incentrati sulla figura di Attila e non dell’Aretino.

[5] A proposito della placchetta, Elisabetta Chino cita due date: il 1433, anno in cui cessa il racconto della storia veneta in un manoscritto di Donato Contarini, dove compare un’illustrazione con un profilo faunesco e la scritta ATILA, e il 1498, anno in cui si trasferisce a Milano lo scultore Giovanni Antonio Amedeo, al quale si deve (in collaborazione con i fratelli Mantegazza) la facciata della Certosa di Pavia dove compare un grande medaglione con il profilo di Attila e la scritta ATILA FLAGELLUM DEI. La studiosa ipotizza che la placchetta sia stata realizzata per la prima volta in Italia verosimilmente nel 1453 “millenario della morte del temibile barbaro”.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, maggio 2016

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